Non è una buona annata, per i carciofi, il 2021. Almeno fino ad oggi le cose non stanno andando bene. Intanto c’è una riduzione della domanda che, con molta probabilità, va legata alla chiusura dei ristoranti causa pandemia. Ma anche l’andamento climatico non aiuta. In Sardegna, ad esempio, le alte temperature hanno ritardato la produzione. Citiamo non a caso la Sardegna, perché è una delle Regioni italiane vocate per la produzione di carciofi insieme con la Puglia e la Sicilia. Fresh Plaza riporta una dichiarazione di Salvatore Lotta, direttore commerciale dell’O.P. sarda Agricola Campidanese, dello scorso Novembre: “Non abbiamo volumi costanti di carciofi: ci sono dei giorni in cui i produttori non scaricano merce presso lo stabilimento, anche se le nostre linee di lavorazione sono continuamente operative. D’altra parte, non tutti i mali vengono per nuocere. Infatti, se avessimo avuto le quantità tipiche di questo periodo, si sarebbe sicuramente creato un surplus di offerta, con conseguente deprezzamento, in quanto la domanda non è molto alta. “Rispetto a novembre 2019, registriamo un calo degli ordini di circa il 30%. Per le note limitazioni del canale Horeca, i mercati non sono al pieno della loro operatività, ma anche nella GDO le richieste sembrano diminuire, soprattutto nelle regioni con una domanda più alta, come Lombardia e Piemonte”. Poi, sempre in Sardegna, è arrivato il maltempo che ha ‘annegato’ molte carciofaie. Allagamento che, secondo la Coldiretti, hanno provocato danni ingenti.
E in Sicilia? Leggiamo ancora su Fresh Plaza un articolo di una decina di giorni addietro. A parlare è Giuseppe Scudera, amministratore di Golden Fruit, azienda siciliana impegnata nella coltivazione di carciofi nella Piana di Gela, in provincia di Caltanissetta: “Da più di due settimane, la situazione commerciale dei carciofi è crollata totalmente. Subiamo l’onta di prezzi stracciati: solo 12 centesimi di euro a capolino. Sono quotazioni che si dovrebbero vedere solo ad aprile, periodo della carciofina, cioè sulla parte finale della stagione in cui il prodotto, giunto ormai a fine ciclo, viene destinato alle industrie di trasformazione. La situazione attuale è inaccettabile – prosegue l’imprenditore – perché siamo in un fase relativamente iniziale della campagna, i cui proventi dovrebbero servire a ripianare le spese di produzione. Il grosso dei volumi sta per arrivare e ci tocca assistere a un deprezzamento che mortifica un prodotto, come quello italiano, coltivato secondo i paramenti di legge più stringenti al mondo. Qui si rischia di andare al tracollo. Scudera spiega che, oltre alla crescente e sempre più strutturata concorrenza da parte del prodotto di Egitto e Tunisia, “dobbiamo fare i conti con la pandemia e le relative restrizioni al settore Horeca. Basti pensare che buona parte dei nostri carciofi viene richiesta proprio dai ristoranti, attualmente in grande sofferenza. Purtroppo, neanche la GDO risponde con le richieste che eravamo soliti ricevere. Siamo al collasso!”. Problemi anche in Puglia, dove i prezzi di carciofi sono in calo.
Chi la pensa diversamente è Mario Di Mauro, portavoce della Comunità TerraeLiberAzione: “Se i carciofi della mia Ramacca vengono svenduti a 10 cent. ‘a capocchia’, non è ‘colpa’ dell’Agricoltura egiziana o tunisina (animata, peraltro, da molti europei, siciliani inclusi: che vi si sono trasferiti per poter lavorare). Stamattina, a Catania, nei supermercati della Gdo (Grande distribuzione organizzata) dell’imperialismo europeo ‘multipolare’, un carciofo lo vendevano a 70 cent. Chiaro? Non ci credete? Un carciofo della mia Ramacca, stamattina, a Catania, in Gdo era ‘quotato’ 70 cent. (Tra l’altro era macari ormai ‘tintu’). E non ci si lamenti comunque – come alibi – di ‘controlli fitosanitari’ contro altri Stati, chè quanto ad agro-farmaceutica velenosa, da 40 anni, la Sicilia, nel Mediterraneo, batte a cuegghjiè, a partire dalle Serre vittoriesi, che pompando bromuro di metile in vesciche gonfiate in forma di melenzane, produssero rubinetti d’oro in case abusive e figli drogati… grazie al Lavoro di immigrati ridotti ad Attrezzi… fino alla Piana di Catania i carciofi ramacchesi, per dirne una, erano dopati perfino col Parathion: la Comunità TerraeLiberAzione li fece desistere, negli Anni Ottanta, quando ancora si ragionava di Consorzi e Qualità. Tutto fallito. Resta il ‘secolare problema’: in Sicilia siamo capaci di produrre anche buona Materia Prima, ma non si è capaci di sviluppare un sistema di vere Filiere agro-industriali di trasformazione e valorizzazione di Materia Prima. I semi marci di una Economia rozza e coloniale producono i frutti avvelenati della Miseria, che è Culturale ancor prima che Colturale. E’ tempo di riflettere seriamente sul SUICIDIO SECOLARE dell’AGRICOLTURA SICILIANA. Quanto ai ‘Fondi Europei – PSR e dintorni – andrebbero semplicemente eliminati: serve una Banca di Sviluppo Agricolo che ridisegni il Paesaggio agrario siciliano, bloccando il ‘land grabbing’ colonialista delle ipocrite ‘energie pulite’. Vaste programme. Qui non vedono a un palmo dal naso, ma si sentinu tutti ‘cacoccila’! I carciofi della mia Ramacca andrebbero commercializzati a 10 cent a…cosca”!
P.s.
Noi non siamo del tutto d’accordo con il nostro amico Mario Di Mauro: giusto limitare l’uso di pesticidi, corretto puntare sulle filiere, d’accordo pure sulla Gdo che penalizza l’agricoltura siciliana: ma se il prodotto africano, in questo caso i carciofi di Egitto e Tunisia invadono la Sicilia – che è quello che sta succedendo – non abbiamo dove andare. Ricordiamo all’amico Di Mauro che il costo del lavoro in agricoltura, in Nord Africa, è venti volte inferiore al costo del lavoro della Sicilia. Se vogliamo salvare l’agricoltura siciliana dobbiamo bloccare la globalizzazione dell’economia, riducendo drasticamente, se non eliminando, l’importazione di ortofrutta che la Sicilia è in grado di produrre. E la stessa cosa vale per l’olio d’oliva.