L’avventura di Emanuele Macaluso in Sicilia, dal milazzismo fino ai nostri giorni

19 gennaio 2021
  • Oggi è scomparso Emanuele Macaluso. Noi proviamo a ricordare qual è stato il suo ruolo in Sicilia 
  • Gli inizi all’Ars, quando era comunista duro e puro
  • Il ciclone Mattei in Sicilia
  • … e Don Sturzo, pur di fare lo sgambetto a Fanfani, appoggia Mattei
  • Il togliattiano Macaluso prova a rompere l’unità dei cattolici in politica in Sicilia 
  • La strana maggioranza a sostegno di Milazzo
  • Macaluso e il ritorno di Pio La Torre in Sicilia
  • La sconfitta alle elezioni politiche del 1992
  • Il battibecco tra Macaluso e Angelo Capodicasa

Oggi è scomparso Emanuele Macaluso. Noi proviamo a ricordare qual è stato il suo ruolo in Sicilia 

E’ morto Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci. Siciliano di Caltanissetta, classe 1924, ha cominciato a fare politica da giovanissimo nel sindacato e nel Partito comunista italiano. E’ stato un protagonista, per tanti anni, della vita politica siciliana ed italiana. Vicino a Palmiro Togliatti, Macaluso, dal 1964 – anno della morte di Togliatti – è sempre stato tra i riformisti del Pci, detti anche ‘miglioristi’, insieme con Giorgio Napolitano, Gerardo Chiaromonte e altri dirigenti del partito. Non è esagerato affermare che Macaluso ha attraversato la storia della Repubblica italiana dall’Assemblea Costituente fino ai giorni nostri. Fino all’ultimo ha preso parte al dibattito politico italiano, scrivendo su giornali e riviste. E anche dando alle stampe libri. Macaluso è stato anche giornalista e ha diretto l’Unità – lo storico giornale del Pci – dal 1982 al 1986. Ed è stato tra i protagonisti dell’esperienza de Il Riformista, giornale del quale è stato direttore dal 2011 al 2012.

Gli inizi all’Ars, quando era comunista duro e puro

Della vita politica di Macaluso nel contesto nazionale troverete notizie su altri giornali. Noi, invece, proveremo a raccontare, per sommi capi, la vita politica di Macaluso in Sicilia. Cominciamo col dire che Macaluso è stato un protagonista della prima fase dell’Autonomia siciliana. Non aveva ancora trent’anni quando, dopo un’esperienza nel sindacato, viene eletto deputato del Parlamento dell’Isola. Corre l’anno 1951. Abbiamo scritto – e lo leggerete anche su altri giornali cartacei e on line – che Macaluso è stato uno dei leader della corrente riformista. Ma se andate a leggere i resoconti della prima legislatura di Macaluso all’Ars, ebbene, di riformista c’è ben poco, anche perché nei primi anni ’50 del secolo passato lo scontro politico tra mondo cattolico e mondo comunista e socialista era piuttosto acceso.

Il ciclone Mattei in Sicilia

Già nella seconda legislatura l’atteggiamento di Macaluso cambia. In Sicilia si dibatte la questione del petrolio. Enrico Mattei, presidente dell’ENI, vorrebbe mettere radici nella nostra Isola per cercare petrolio e gas in terra e in mare. Ma si scontra con il cartello che lo stesso Mattei definiva ‘Le Sette sorelle’, ovvero con le multinazionali che operavano e operano ancora nel mondo degli idrocarburi (Exxon (ora ExxonMobil), Mobil (ora ExxonMobil), Chevron, Gulf Oil (ora Chevron), Texaco (ora Chevron), BP e Shell). Mattei va per le spicce, salta il Governo nazionale e decide di mettersi direttamente d’accordo con la Regione siciliana. Per farlo deve prima mandare a casa il presidente della Regione dell’epoca, il democristiano Giuseppe la Loggia.

… e Don Sturzo, pur di fare lo sgambetto a Fanfani, appoggia Mattei

L’operazione non è semplice, perché se Mattei può contare sull’appoggio di alcuni settori della DC più avanzati, ha contro la vecchia guardia della stessa Democrazia Cristiana, contraria a Mattei e alla presenza dello Stato nell’economia. La situazione è, per certi versi, paradossale. Anche se ufficialmente mai democristiano, Don Luigi Sturzo – il fondatore del Cattolicesimo sociale italiano e del Partito Popolare Italiano – in quel momento è molto critico con la DC e, in generale, è critico verso l’intervento dello Stato nell’economia. Però in quella fase storica – siamo nell’Estate del 1958 – Sturzo appoggia Mattei e il candidato che Mattei vuole piazzare alla presidenza della Regione al posto di Giuseppe la Loggia: Silvio Milazzo. Perché Don Sturzo appoggia Mattei? Non certo perché condivide i programmi e (soprattutto) i metodi piuttosto ‘sbrigativi’ del presidente dell’ENI. L’obiettivo di Don Sturzo è ridimensionare Amintore Fanfani che, in quel momento, rappresenta l’ala più avanzata della DC e ricopre tre incarichi chiave: segretario nazionale della DC, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri. Chi ne farà le spese sarà il presidente della Regione, il citato Giuseppe La Loggia, fedelissimo di Mattei, che verrà sostituito dal citato Silvio Milazzo, che Don Sturzo pensava essere suo fedele discepolo.

Il togliattiano Macaluso prova a rompere l’unità dei cattolici in politica in Sicilia 

In realtà, in quella che è passata alla storia come “l’operazione Milazzo”, ognuno dei protagonisti tirava acqua al proprio mulino: Mattei voleva capire se in Sicilia c’era il petrolio (soprattutto nel mare di Ragusa) e voleva comunque dare alla nostra Isola un corretto sviluppo industriale; Don Sturzo voleva ridimensionare Fanfani; Milazzo – più furbo che politicamente intelligente – voleva giocarsi la sua partita, magari con un nuovo soggetto politico d’ispirazione cattolica; il presidente di Sicindustria, Domenico ‘Mimì’ La Cavera, cercava da dare alla Sicilia un futuro industriale; Emanuele Macaluso che, con dietro Togliatti, provava a rompere l’unità dei cattolici in politica a partire dalla Sicilia.

La strana maggioranza a sostegno di Milazzo

Già, l’unità dei cattolici in politica. Va detto che il milazzismo ha rotto, anche se per una fase breve, l’unità dei cattolici in politica in Sicilia. La Dc ufficiale, a Roma come a Palermo, non voleva l’elezione di Silvio Milazzo alla presidenza della Regione siciliana (allora il presidente della Regione veniva eletto dall’Assemblea regionale siciliana). Ma Silvio Milazzo venne eletto lo stesso da uno schieramento politico e parlamentare molto eterogeneo: in suo favore votarono alcuni democristiani, i socialisti, le destre con i monarchici e con l’appoggio del Pci. Era l’Autunno del 1958 e in piena ‘Guerra fredda’ un Governo regionale in una Regione strategica come la Sicilia retto, di fatto, con i voti del Pci era un’eresia politica. Qui trovate un approfondimento sulla stagione milazziana. Quello che possiamo dire a proposito di Macaluso – perché è di lui che scriviamo oggi – è che, durante la fase dei Governi Milazzo (furono tre i Governi presieduti da Milazzo: il primo di rottura, il secondo e il terzo raccogliticci e contraddittori), è che il dirigente comunista fu molto abile e, per una fase, contribuì alla rottura dei cattolici in politica: questo avvenne alle elezioni regionali del 1959, quando il partito cattolico fondato da Milazzo, da Ludovico Corrao e, soprattutto, dal professore Francesco Pignatonel’USCS, Unione Siciliana Cristiano Sociale – superò di poco il 10% del consensi eleggendo a Sala d’Ercole 10 deputati. Solo Raffaele Lombardo, 40 anni dopo, con il Movimento per l’Autonomia, riuscirà a fare di meglio. La stagione politica del milazzismo non è stata esaltante. Macaluso ha sempre difeso l’esperienza milazziana, vista dalla sua parte, ovviamente. E ha anche scritto un libro: Comunisti in Sicilia. Don Sturzo, da parte sua, poco prima di passare a miglio vita, si prese un grandissimo dispiacere. Quando Mattei concluse la sua avventura politica in Sicilia, mettendo da parte il petrolio del mare di Ragusa (allora considerato diseconomico) e iniziando a lavorare per il petrolchimico di Gela, con Fanfani ridimensionato, Don Sturzo invitò Milazzo a farsi da parte, rientrando nella DC. Ma Milazzo – di Caltagirone come Sturzo – si rifiutò. Don Sturzo non gliela perdonerà.

Macaluso e il ritorno di Pio La Torre in Sicilia

Dopo l’esperienza con l’operazione Milazzo, a partire dai primi anni ’60, Macaluso verrà eletto al Parlamento nazionale e manterrà il seggio fino al 1992, quando non verrà eletto in seguito a uno scontro dentro quello che non era più il Pci, ma il PDS fondato da Achille Occhetto. Prima di arrivare alle elezioni politiche del ’92 – anno tragico per la Sicilia, l’anno in cui si consumano le stragi Falcone e Borsellino (con le morti di uomini e donne delle scorte dei due magistrati) – qualcosa va anche detta a proposito di Pio La Torre, considerato molto vicino a Macaluso. Lo ricordiamo perché Macaluso, già negli anni ’70, era piuttosto avversato all’interno del suo partito in Sicilia. E quando, nel 1981, La Torre tornò in Sicilia per ricoprire l’incarico di segretario regionale del Pci dell’Isola, ebbene, venne avversato anche lui perché considerato vicino a Macaluso e ai ‘miglioristi’. Dopo l’omicidio di La Torre di queste cose (e anche di altre cose) non si è parlato più. Ma noi che – anche se allora molto giovani – siamo stati testimoni delle difficoltà che La Torre incontrò quando tornò a dirigere il Pci in Sicilia, questo lo dobbiamo ricordare. Si chiama onestà di cronaca.

La sconfitta alle elezioni politiche del 1992

Le elezioni politiche del 1992, infine. Quando Macaluso dovette cedere il posto di parlamentare all’allora segretario del Pci siciliano, Pietro Folena. Anche allora, come gli era sempre successo, Macaluso trovò difficoltà. Maggiorate dal fatto che tutti i giovani scalpitanti del PDS siciliano erano in buona parte contrari a lui. E infatti non venne eletto. Il fatto di non essere rientrato in Parlamento non ha minimamente scalfito il carisma che Macaluso ha conservato fino all’ultimo. E’ sempre stato un attento commentatore dei fatti politici e sociali italiani e un po’ meno di quelli siciliani. E ha sempre mantenuto un’autonomia di giudizio, anche scontrandosi con i protagonisti delle tesi dominanti.

Il battibecco tra Macaluso e Angelo Capodicasa

Ricordiamo, per concludere, un episodio avvenuto nella Sala Gialla del Palazzo Reale di Palermo. Si era da poco consumata l’esperienza politica del Governo siciliano presieduto da Angelo Capodicasa, esponente storico della sinistra comunista dell’Isola. Agrigentino, ex delfino di Michelangelo Russo, per anni parlamentare comunista all’Ars, Capodicasa viene eletto presidente della Regione nell’Autunno del 1998. E rimarrà presidente fino alla Primavera del 2000. Quel giorno, nella Sala Gialla, si celebrava un convegno e tra i relatori c’era anche Macaluso. Qualcuno fece una domanda sul Governo Capodicasa e Macaluso liquidò la questione etichettando quell’esperienza come una manifestazione di debolezza politica. Capodicasa, che era lì presente, si risentì un po’, forse più di un po’: e forse non aveva tutti i torti. Quello che ricordiamo è che, quella volta – cosa stranissima per Capodicasa, uomo politico di grandissimo equilibrio – stava quasi per replicare. Ma non replicò.

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