- Agricoltura, ‘caporalato’ e concorrenza sleale dei Paesi esteri
- La ‘Rete del lavoro agricolo di qualità’
- La rincorsa ai costi più bassi
- Le aziende “sane e virtuose”
- Molte colture vengono abbandonate
Agricoltura, ‘caporalato’ e concorrenza sleale dei Paesi esteri
Quando era al Governo dell’Italia, il ‘geniale’ Matteo Renzi pensava di fronteggiare l’offensiva dei Paesi a basso costo del lavoro abbassando i salari e precarizzando il lavoro nel nostro Paese: e questo l’ha fatto con l’avallo di quasi tutto il PD. La Cgil – questo lo ricordiamo – si è opposta. Detto questo, è impensabile imporre oggi alle aziende agricole siciliane il pagamento di 80 euro al giorno di un operaio agricolo quando in Africa e nell’Asia – aree da dove arrivano i prodotti agricoli che fanno concorrenza ai prodotti agricoli siciliani – un operaio viene pagato 3-4 euro al giorno. E’ questo il vero problema che deve andare in uno con la lotta al ‘caporalato’. Se non si affronterà questo nodo l’agricoltura – e non solo quella siciliana – andrà sempre più indietro e i lavoratori agricoli resteranno senza lavoro. La Cgil di Palermo, correttamente, pone il tema del lavoro in agricoltura. Ma lo fa ignorando gli effetti nefasti della globalizzazione dell’economia.
La ‘Rete del lavoro agricolo di qualità’
“Costituire a Palermo la ‘Rete del lavoro agricolo di qualità’, strumento fondamentale contro il lavoro nero e lo sfruttamento dei braccianti nelle campagne”, si legge in un comunicato a firma di Flai e la Cgil, che, con una lettera, chiedono al prefetto del capoluogo dell’Isola, Giuseppe Forlani, “di promuovere il tavolo per l’insediamento dei componenti dell’organismo, ovvero i soggetti istituzionali tra cui Inps e assessorato al Lavoro, le associazioni sindacali di Flai, Fai e Uila, le organizzazioni datoriali Cia, Coldiretti e Confagricoltura firmatarie dei contratti di lavoro nel comparto agricolo”. La ‘rete’, a livello nazionale attiva dal settembre 2015 – scrive la Cgil – è oggi uno strumento essenziale per la piena applicazione della legge 199 del 2016, ribattezzata anti-caporali. E’ un organismo che si concretizza in un elenco ‘certificato’ dall’Inps di imprese agricole, in regola con le disposizioni in materia di lavoro, legislazione sociale, imposte sui redditi. Ma ancora a Palermo non è nata”.
La rincorsa ai costi più bassi
“Ad oggi, purtroppo, questo strumento fondamentale è assente nella nostra provincia ed è per questa ragione che ci siamo rivolti al prefetto, sicuri della sua sensibilità su un tema come la lotta al caporalato in agricoltura – dichiarano il segretario generale Flai Cgil Palermo Dario Fazzese e il segretario generale Cgil Palermo Mario Ridulfo -. Al di là dell’azione repressiva e di denuncia, con le misure previste dalla Rete, tra le quali collocamento pubblico, si potrebbe fare un concreto salto di qualità per liberare definitivamente il settore agricolo da questa piaga dello sfruttamento, molto presente ancora oggi nel sistema agricolo palermitano, ridando dignità alle lavoratrici e ai lavoratori agricoli. Un fenomeno che è duplicemente dannoso: se da un lato aliena le condizioni di vita di migliaia di lavoratori, italiani e stranieri, approfittando della loro evidente condizione di bisogno, dall’altro lato determina una situazione di mercato viziata che, nella rincorsa ad offrire il prezzo più basso, vede prevalere le aziende irregolari a danno di tutte quelle imprese che rispettano leggi e contratti”.
Le aziende “sane e virtuose”
“Tante le iniziative previste dalla ‘rete’ per le aziende sane e virtuose, che possono beneficiare di aiuti e servizi comuni – leggiamo ancora nel comunicato della Cgil di Palermo -. Oltre al collocamento pubblico, un altro servizio che si può attivare è quello del trasporto dei lavoratori – proseguono Dario Fazzese e Mario Ridulfo -. Quando la Flai ha portato avanti nelle campagne l’iniziativa del sindacato di strada, sono emerse situazioni di sfruttamento dei lavoratori in svariate aziende. Nel Corleonese ci sono stati diversi arresti, anche in seguito alle denunce e ai casi anomali evidenziati dalla Cgil, che hanno scoperchiato una cruda realtà. Con lo sblocco dei licenziamenti e l’impoverimento del comparto agricolo, temiamo che fenomeni come l’intermediazione di manodopera, a maggior ragione in questo particolare momento, possano progredire. Siamo certi che in questa situazione di debolezza, la costituzione della rete, con la collaborazione e l’impegno di tutti, possa porre un argine rafforzando il contrasto a tutti i fenomeni di sfruttamento e di illegalità in agricoltura”.
Molte colture vengono abbandonate
Tutto giusto, certo. C’è un piccolo problema: i sindacalisti della Cgil sono veramente convinti che nella provincia di Palermo tutte le aziende agricole siano oggi nelle condizioni di rispettare il contratto di lavoro? Noi ci occupiamo spesso di agricoltura e possiamo assicurare che in molte aree della Sicilia – a cominciare proprio dalla provincia di Palermo – molte colture vengono abbandonate perché ‘ammazzate’ dalla concorrenza di prodotti agricoli che arrivano da altre parti del mondo a prezzi stracciati. In certe aree del Palermitano, ad esempio, il pomodoro di pieno campo va diminuendo. Non sappiamo se quest’anno l’andamento negativo si invertirà, se è vero che con la pandemia di Covid per alcuni prodotti la situazione sembra migliorata. Sul latte, ad esempio, ci dicono che non è cambiato nulla; e l’aumento del prezzo del grano duro, in Sicilia, non è stato molto significativo perché continua ad arrivare grano estero. Cosa vogliamo dire? Che non è difendendo i lavoratori agricoli senza guardare all’andamento complessivo dell’agricoltura siciliana che si risolveranno i problemi. Già in Sicilia è in atto una tendenza: le aziende agricole che possono permettersi di pagare i lavoratori secondo quanto prevede la legge continuano a lavorare; ma ce ne sono altre che preferiscono non rischiare e, al limite – se si tratta di aziende familiari – o economizzano al massimo il lavoro, o – come già accennato – smettono di dedicarsi a certe colture. Per non parlare di chi abbandona direttamente l’azienda e, magari, la vende a chi capita: anche a chi utilizzerà quei terreni per fini non agricoli. Perché, ad esempio, la Cgil, la Cia, Coldiretti e Confagricoltura siciliana non propongono di utilizzate una quota dei fondi europei in agricoltura per pagare una parte della retribuzione di un operaio agricolo?
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