Al contrario, la globalizzazione dell’economia va combattuta strenuamente. Così come va combattuta la Grande distribuzione organizzata. Per questo non concordiamo con chi pensa che il problema dell’agrumicoltura italiana (che poi è del Sud Italia, perché gli agrumi si producono soprattutto nel Sud) sia la frammentazione delle aziende agricole. Oggi la chiave di volta sono due formule: “Copra Sud” e “Compra Sicilia”
Un articolo sugli agrumi pubblicato da ITALIAFRUIT NEWS ci dà la misura di come, nonostante i guasti che la globalizzazione dell’economia ha provocato, si continui ad andare dietro alla logica del liberismo economico. Leggiamo e commentiamo insieme questo articolo:
“L’elevata frammentazione delle aziende agricole è uno dei limiti principali del settore agrumicolo italiano. Non è certo una novità. Ma è ormai giunto il momento di fare di più se il comparto vuole avere un futuro sereno”.
Queste le parole di Piermichele La Sala, professore associato in Economia e Politica agraria dell’Università di Foggia, durante la 24esima “Giornata di agrumicoltura”, organizzata dall’Alsia (Agenzia lucana di sviluppo e d’innovazione in agricoltura) trasmessa in diretta Facebook.
“In Italia, secondo i dati Ismea – leggiamo nell’articolo – operano oltre 61mila imprese che producono agrumi, con una dimensione media aziendale che si attesta a soli 2,5 ettari. La frammentazione è dunque strutturale, ma ciò si scontra con un mercato sempre più globale e globalizzato e a costi di produzione crescenti”.
Come potete notare, la globalizzazione dell’economia è ormai una fissazione e tutti – secondo questa ‘filosofia’ – si debbono adeguare.
Il professore La Sala ha ricordato “l’importanza dell’aggregazione, sia per organizzare una offerta standardizzata (“controllando quantità e qualità”) e migliorare la competitività, sia per poter sfruttare a pieno le opportunità offerte dalla politica europea ma anche nazionale e regionale”.
Le nostre considerazioni le faremo dopo aver letto tutto l’articolo.
“Il settore italiano degli agrumi – leggiamo sempre su ITALFRUIT NEWS – viene tra l’altro da dieci anni non facili, caratterizzati da problemi fitosanitari (Tristeza in primis) e diverse crisi di mercato, che hanno portato ad un calo importante delle superfici”.
“Nell’ultimo decennio, il nostro Paese ha perso il 16% delle superfici coltivate ad agrumi, le quali sono passate dai 172mila ettari del 2010 ai 145mila del 2019 – ha sottolineato il Professore dell’Università di Foggia -. La contrazione più importante si registra per l’arancio con il -19% (quasi 83mila ettari), seguito dal limone (-14%, circa 26mila ettari) e da clementine e mandarini (-9%, circa 35mila ettari)”.
“Bisogna puntare sull’innovazione, mirata all’introduzione di nuove varietà adatte agli specifici areali, e migliorare significativamente la concentrazione e l’organizzazione dell’offerta, soprattutto dinanzi alla frammentazione strutturale che non consente a tantissime aziende di poter competere sul mercato. I problemi della competitività, della programmazione e dell’organizzazione non si risolvono infatti con interventi di emergenza, con il prezzo garantito o con l’assistenzialismo”.
“Occorre, infine, migliorare l’utilizzo degli strumenti offerti dalla politica agricola: da questo punto di vista, abbiamo due grosse opportunità da cogliere: la nuova Pac 2021/27, con i nuovi Piani Strategici Nazionali, ed il Green Deal Europeo con la strategia Farm to Fork”.
La frammentazione delle aziende agricole è un limite se gli agrumi debbono essere esportati. Ma davvero le Regioni italiane che producono agrumi – che poi sono tutte del Sud Italia: Sicilia in testa con i due terzi della produzione agrumicola seguita dalla Calabria e poi, distanziate, Campania, Puglia, Basilicata e Sardegna – debbono esportare tutta la propria produzione? Assolutamente no, dal nostro punto di vista. E il nostro no ha motivazioni economiche e di salute dei cittadini del Su e della Sicilia.
Intanto va precisato che gli agrumi di alta qualità – è il caso dei limoni di Siracusa, delle arance rosse Moro e Tarocco del Catanese e del Siracusano e le migliori Washington Navel di Ribera – per essere esportate non hanno bisogno di alcuna aggregazione.
Noi non sappiamo quale sia la situazione in Puglia, ma in Sicilia c’è un grosso problema: mentre i migliori limoni e le migliori arance vengono esportati, i siciliani sono costretti a portare in tavola agrumi che arrivano da chissà dove.
A Palermo, ad esempio, è diventato difficilissimo trovare le arance Moro e anche le Tarocco di buona pezzatura, per non parlare dei limoni che, molto spesso, arrivano dal Sudamerica.
L’agrumicoltura siciliana – e a nostro avviso dovrebbero fare la stessa cosa Calabria, Campania e Puglia – fatte salve le produzioni di altissima qualità che sono richieste dal mercato internazionale (senza bisogno di lotta alla frammentazione delle aziende agricole!), dovrebbe puntare a fornire agrumi alle famiglie siciliane, saltando la deteriore intermediazione della Grande distribuzione organizzata.
Oggi la sopravvivenza dell’agricoltura del Sud Italia passa per il mercato a km zero: passa per una lotta serrata alla globalizzazione e alla Grande distribuzione organizzata: passa per i mercati contadini, per i negozi artigianali, per i Comuni che debbono attivarsi per incrementare la cosiddetta agricoltura periurbana.
Ci sono prodotti agricoli di altissima qualità – è il caso dei limoni di Siracusa, o delle Arance rosse della Piana di Catania – che vanno a ruba nei mercati internazionali. E ci sono altri prodotti agricoli di elevata qualità come l’olio d’oliva extra vergine (che per il 90% si produce in Puglia, in Calabria e in Sicilia) che vengono penalizzati da pessimi oli d’oliva prodotti chissà dove e chissà come, venduti a prezzi stracciati!
La vera scommessa, per il Sud Italia e la Sicilia non è l’esportazione con le folli regole della globalizzazione organizzata: perché in agricoltura, con la globalizzazione dell’economia imperniata sui bassi costi di produzione, le ‘schifezze’ soppiantano i prodotti di qualità! (olio extra vergine di oliva insegna!).
Il Sud e la Sicilia se debbono riappropriare della propria agricoltura e delle proprie produzioni. I prodotti agricoli del Sud e della Sicilia – ribadiamo: fatte salve le produzioni di elevata qualità che possono essere vendute all’estero a prezzi altamente concorrenziali – debbono essere consumati nel Sud e in Sicilia.
Quindi Compra Sud e Compra Sicilia, nell’interesse del Sud e della Sicilia!
P.s.
E’ vero che le superfici coltivare ad agrumi, negli ultimi anni, si sono ridotte: nel caso dell’Arancia Rossa per l’attacco di Tristeza, nel caso di limoni e clementine perché subiscono una concorrenza sleale di produzioni di qualità peggiore, ma che hanno il pregio di costare molto meno di limoni (ella Sicilia) e clementine (del Sud Italia).
Anche in questo caso va incentivato il consumo interno, spiegando ai consumatori del Sud e della Sicilia che pagare un po’ di più limoni e clementine prodotti nel Sud e in Sicilia conviene: si aiutano gli agricoltori, si aiuta l’economia del Sud e della Sicilia e tuteliamo la nostra salute di meridionali e siciliani!
QUI L’ARTICOLO DI ITALIAFRUIT NEWS