Gli ‘scienziati’ alla Cesare Lombroso, dopo la ‘presunta’ unità d’Italia, hanno scritto trattati sui meridionali “delinquenti”. E a Torino c’è pure un museo dedicato allo stesso Lombroso. Eppure se i piemontesi decidessero di scoprire cosa erano nell’800 capirebbero un po’ di più sulla propria storia…
Vincenzo Gioberti aveva attribuito al Piemonte il primato su tutta l’Italia, e l’uffizio egemonico per redimerla. Egli chiamava Torino “la novella Delfo, precorse ogni altra città italiana nel concepire l’idea di un anfizionato italico, nell’ordirlo con la scienza, e nel tentar di effettuarlo colla milizia”.
Ma che volete? Nel 1858 Alessandro Borella trovava in Piemonte un altro primato, e scriveva in Torino:
“Noi ci possiamo gloriare che il Piemonte abbia il primato nella parte tecnica e pratica dei FURTI”.
E questo primato allora nessuno osava negarlo ai piemontesi. Si rubava certo in tutta Italia, in Roma ed in Napoli, in Firenze ed in Bologna, ma così liberamente, coraggiosamente, dottamente, italianissimamente come a’ pie’ delle Alpi non si rubava in nessun’altra contrada.
L’11 luglio 1848 il conte Federico Scolpis, allora ministro di grazia e giustizia, presentava al parlamento un disegno di legge per la “repressione dell’oziosità, del vagabondaggio, della mendicità e dei furti commessi nelle campagne”. Il ministro dichiarava indispensabile che contro i ladri si si rivolgesse “con maggiore efficacia la vigilanza e l’azione dell’autorità di polizia giudiziaria a tutela delle private proprietà”. Si fece poco o nulla, e i ladri incominciarono a crescere sempre più.
Anzi, bisogna confessare che i primi benefizi della libertà in Piemonte toccarono ai ladri ed ai malfattori. Di fatto nella tornata del 22 maggio 1848 il deputato Angiolo Brofferio leggeva nella camera un suo progetto di legge per la “liberazione dei reclusi in via economica”, progetto che fu tosto preso in considerazione nella successiva tornata dei 23 di maggio.
Egli è da sapere che nell’antico Piemonte si prevenivano i latrocinii, mettendo in prigione coloro che si riconoscevano ben disposti a commetterli, e parte venivano reclusi nel Castello di Saluzzo, parte nel deposito dei lavoratori nell’isola di Sardegna, parte arruolati per forza nelle rispettive compagnie del corpo – franco. In nome dello Statuto, e, come diceva Brofferio, “nell’interesse dell’umanità”, tutti questi martiri vennero lasciati liberi, e di là incominciarono le nostre delizie.
Borri Felice Libraio Editore (torinese…), Come si rubava nel Regno d’Italia dal 1848 – 1872, Ediprint sas, pag. 14, 15.
Foto tratta da Query Online
Tratto da Regno delle Due Sicilie.it
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