Si avvicina il giorno in cui quasi tutti i protagonisti delle tormentate elezioni presidenziali americane dovranno scoprire le carte. Il 6 Gennaio i parlamentari dei due rami del Parlamento americano dovrebbero certificare i voti dei grandi elettori e designare il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. Ma ci sono tanti “ma” e tanti punti interrogativi che leggerete in questo articolo. E ci sarà, soprattutto, una grande manifestazione popolare
Sono tante le notizie che arrivano dagli Stati Uniti in queste ore. La più importante è che il Presidente Trump sta organizzando una grande manifestazione popolare per il 6 di Gennaio a Washington, nel giorno in cui i rappresentanti due rami del Parlamento americano (la Camera dei Rappresentanti e il Senato) si riuniranno in seduta plenaria per certificare l’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti.
Trump, come già accennato, il 6 Gennaio conta di portare in piazza un milione di persone. Ovviamente, sono persone che contestano le elezioni e che credono che ci siano stati brogli elettorali.
“Trump mobilita la sua base per la più grande manifestazione pubblica nella storia degli USA – scrive Roberto Mazzoni, un giornalista italiano che vive in Florida -. Grande prova di forza nei confronti della vecchia guardia del partito Repubblicano. Mobilitazione che avrà impatto sulla riunione parlamentare del 6 di gennaio per la scelta del nuovo Presidente”.
Mazzoni, con i suoi video, ci informa su quanto avviene negli Stati Uniti.
La sfida lanciata da Trump è difficilissima, perché portare in piazza un milione di persone mentre in America e in tutto il mondo è in corso la pandemia non è facile.
La seduta dei rappresentanti dei due rami del Parlamento americano è un appuntamento cruciale. La situazione è complicata, perché il 14 Dicembre, all’assemblea dei grandi elettori (sono i grandi elettori dei 50 Stati che hanno consegnato le buste con i propri voti che dovrebbero essere certificati il 6 Gennaio), si sono presentati i grandi elettori designati con le contestate elezioni e i grandi elettori di sette Stati – Arizona, Georgia, Michigan, New Mexico, Nevada, Pennsylvania e Wisconsin – inviati dai Parlamenti di questi stessi Stati.
La situazione è molto complicata, perché i Parlamenti di questi Stati contestano le elezioni presidenziali e hanno preferito inviare i propri grandi elettori.
Sullo sfondo ci sono le accuse di brogli elettorali lanciate da Trump e dai suoi legali che quasi tutti i Tribunali degli Stati e la Corte Suprema degli Stati Uniti si sono rifiutati di esaminare. Questo punto è importante: le prove – con centinaia di testimonianze – non sono mai state esaminate da un Tribunale (tranne in qualche caso relativo al sistema Dominion). E questo ha molto infastidito l’opinione pubblica statunitense.
C’è, poi, un’altra questione: la violazione della legge elettorale in alcuni Stati, con riferimento al voto postale. In questi Stati i Governatori democratici hanno deciso di cambiare questa legge; i Parlamenti di questi Stati contestano questi cambiamenti, sottolineando che le leggi le cambiano, appunto, i Parlamenti e non i Governatori.
I Governatori replicano che l’emergenza Covid ha consigliato di cambiare la legge elettorale: nello specifico, l’accettazione dei voti postali allungando i tempi di ricevimento delle schede votate; i Parlamenti replicano che questa è stata una violazione delle Costituzioni di ogni Stato.
Il problema è costituzionale, ma anche pratico. Perché Biden ha vinto – in alcuni Stati per manciate di voti – grazie proprio ai voti postali!
I Tribunali degli Stati si sono rifiutati di pronunciarsi su tali questioni. E la vicenda è finita alla Corte Suprema. Dove è arrivato un ricorso sulla violazione della Costituzione in Pennysilvania da parte di alcuni Stati.
La Corte Suprema non si è pronunciata, sostenendo che questi Stati non hanno un interesse diretto nell’eventuale violazione della Costituzione della Pennysilvania.
A questo punto è stato lo stesso Trump a firmare il ricorso in Corte Suprema. I Giudici della Corte Suprema questa volta dovranno pronunciarsi, perché Trump ha interessi diretti, visto che grazie ai voti postali registrati in violazione della legge elettorale della Pennysilvania ha perso, per poche migliaia di voti, nella stessa Pennysilvania (la stessa cosa è avvenuta in altri Stati).
Il ricorso i legali di Trump lo hanno presentato nei giorni prima di Natale. I Giudici della Corte Suprema hanno invitato il Governatore della Pennysilvania a presentare la propria difesa.
Morale: la Corte Suprema ha deciso che si pronuncerà sul ricorso di Trump il 22 Gennaio.
Se, nel frattempo, il 6 Gennaio, i parlamentari della Camera dei Rappresentanti e del Senato designeranno il nuovo Presidente degli Stati Uniti – magari Biden – il ricorso di Trump perderà forza.
La partita in realtà non è chiusa. Perché il 6 Gennaio Trump – che fino ad oggi ha visto respinti quasi tutti i suoi ricorsi senza che i Giudici siano entrati nel merito delle questioni sollevate dai suoi legali, sia sui brogli elettorali, sia sulle questioni costituzionali – ha le sue carte da giocare.
Intanto, come già accennato, sta organizzando una grande manifestazione popolare a Washington il 6 Gennaio. Dopo di che bisognerà capire quanti deputati e quanti senatori contesteranno l’eventuale designazione di Biden. Se ci saranno contestazioni di un certo numero di deputati e senatori, molto difficilmente i rappresentanti dei due rami del Parlamento americano potranno designare Biden come nuovo Presidente degli Stati Uniti.
Tra l’altro c’è una notizia – almeno a noi risulta così – che non è proprio di secondaria importanza. Ed è una notizia – forse l’unica dal 3 Novembre ad oggi – che non dovrebbe danneggiare Trump. A presiedere la seduta dei rappresentanti dei due rami del Parlamento statunitense sarà Mike Pence, vicepresidente degli Stati Uniti e attualmente anche presidente del Senato. Lo ricorda Ted Noel in un articolo pubblicato lo scorso 26 Dicembre su American Thinker.
Vedremo cosa succederà il 6 gennaio.
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