Dopo la presentazione e la prima puntata, siamo arrivati alla seconda puntata della “Storia istituzionale e politica della Sicilia: un compendio” . Oggi ci soffermeremo sul mistero degli Elimi, sui Siculi, sui Sicani, sui fenici tra starie e miti. In attesa di affrontare il grande capitolo di Cartagine
di Massimo Costa
§ 4 – Arrivano gli Ariani: i Siculi (preceduti dagli Elimi)
La composizione etnico-linguistica della Sicilia si complica intorno al 1.300 a.C. Gli sconvolgimenti politici legati alla crisi dell’Età del Bronzo nel vicino Oriente (Popoli del Mare) portano ad uno spostamento di un intero popolo che, approdato in Sicilia, fonda alcune comunità nell’estremo occidente: gli Elimi.
Non è noto, a tutt’oggi, se gli Elimi parlassero una delle lingue indoeuropee in uso nell’Asia minore, dalla quale provenivano (com’è noto gli Ittiti e i Luvi portarono queste lingue in Asia minore in epoca molto precoce), ovvero se appartenessero allo stesso ceppo linguistico mediterraneo di Sicani e Cretesi. Il mito li lega alla fuga da Troia, e in effetti le date sembrano corrispondere. Gli Achei (Micenei) distruggono la città proprio nello stesso periodo in cui affluiscono questi popoli dall’Asia minore. Ma di più, naturalmente, non è storicamente affermabile.
A loro sono attribuite, in età storica, le città di Erice e Segesta. Un giorno, molti anni dopo, questo mito sarebbe stato raccolto nell’Eneide, che narra della morte di Anchise in Sicilia, e i Romani avrebbero accordato a Erice e al suo tempio di Venere un culto e privilegi particolari per questa presunta comune origine con i progenitori dei fondatori di Roma.
Ancora, dal 1.250 a.C., si può parlare di una Tarda Età del Bronzo, in cui le comunità siciliane, organizzate in piccole città e villaggi, sono ormai vere e proprie piccole comunità politiche, non sappiamo se monarchiche od oligarchiche, sebbene i più remoti racconti greci a noi pervenuti ci parlino di veri e propri “re” sicani. Di certo si trattava ormai di civiltà relativamente sviluppate. Fra queste un nome spicca su tutte: Pantalica, vicino Siracusa. Non sappiamo se la migrazione elima abbia a che fare o no con questo salto tecnologico, o se esso debba essere attribuito ad una progressiva evoluzione interna al mondo sicano.
Intorno al 1.050 a.C. anche la Sicilia, come il resto d’Europa, sperimenta l’invasione indoeuropea, qua ad opera di un popolo, i Siculi, che avrebbero poi dato il nome alla stessa nazione siciliana. I Siculi provenivano dalla Penisola italiana e, prima ancora, da quella balcanica e dall’area primordiale di insediamento degli indoeuropei, nella cd. Sarmazia, le vaste pianure oltre il Mar Nero, costituendo certamente la punta più avanzata di quelle stirpi nella loro invasione dell’Europa.
Che i Siculi vengano dall’Italia è confermato, per quel che può valere, anche dal mito, che spesso contiene un fondo di verità. Un loro re nell’estrema Calabria, di nome “Italo”, avrebbe dato il nome a quel distretto e poi, per progressiva generalizzazione, all’intera Penisola. Scacciati da altra tribù italica (forse gli Osci), i Siculi approdano in Sicilia. Curioso destino, questo, per cui i Siciliani avrebbero dato ai più numerosi Italiani, tanto il nome del loro stesso Paese quanto, secoli più tardi, attraverso la traduzione in volgare italiano dei primi componimenti in letteratura siciliana, le origini della stessa letteratura italiana.
Con i Siculi, come dappertutto con gli ariani, approda in Sicilia l’Età del Ferro. La colonizzazione è massiccia e sostitutiva di precedenti etnie però forse solo nelle Eolie, dove ebbero il nome di Ausoni. Conquistato in pochi anni il Val Demone, i Siculi diventano l’etnia dominante, ma i Sicani, assimilati nella loro lingua, dovevano costituire la maggior parte della popolazione.
I villaggi dei Siculi ormai sono vere e proprie città. La Sicilia è già allora organizzata in una rete urbana. La conquista del Val di Noto e di Pantalica da parte dei Siculi è più lenta e sofferta, prendendo circa un secolo (possiamo considerarla iniziata intorno al 950 e conclusa intorno all’850 a.C.). Arrivata al Salso, l’ondata sicula si spegne.
La Sicilia occidentale resta popolata dai Sicani, ma la penetrazione della cultura sicula (compresa la tecnologia del ferro) e, con ogni probabilità, anche della lingua, prosegue lenta e inarrestabile. Al punto che, all’arrivo dei Greci, la distinzione tra Sicani, Elimi e Siculi sembra praticamente ormai solo una distinzione tradizionale storica e politica, mentre nei fatti gli indigeni sono talvolta considerati un unico popolo, compatto dal punto di vista culturale e linguistico. Sopravvivono forse alcune “sacche linguistiche” sicane, come sembrerebbe da alcune iscrizioni non decifrate in età storica, ma la loro eccezionalità testimonierebbe piuttosto della loro avvenuta assimilazione.
A contatto con i Greci, i Siculi cominciano a “scrivere”, infatti, talune iscrizioni che gettano un po’ di luce sulla loro lingua. Sembrerebbe una lingua “italica antica”, somigliante un po’ al latino più antico, un po’ al greco, quasi anello mancante tra le due, certamente indoeuropea. I Siculi adorano le stesse divinità ctonie dei Sicani, come Adrano, il dio del vulcano Etna, e i suoi presunti figli, i Palìci, due gemelli, considerati dèi dei due laghetti vulcanici presso l’attuale Mineo, poi assurti a protettori della libertà dei Siculi.
Su tutto il pantheon sicano-siculo continuava però a regnare la divinità femminile, simbolo e protettrice della fertilità dei campi e della Sicilia stessa, una figura materna – una “bedda matri” si direbbe oggi – che poi i Greci avrebbero identificato con la loro Dèmetra, la quale in Sicilia ebbe culto speciale per moltissimi secoli.
Intorno all’800 a.C. i Fenici (popolo semitico proveniente dall’attuale Libano) inseriscono stabilmente la Sicilia nelle loro rotte commerciali verso l’Occidente, e per questa ragione fondano qua e là piccoli stabilimenti commerciali lungo le sue coste (gli “empori”, come li avrebbero chiamato i Greci).
Alla venuta della grande colonizzazione di massa greca, i Fenici non tentano neanche di resistere. Abbandonano tutti gli empori sulle coste orientali e meridionali e si concentrano su quattro fortezze nell’estremo occidente, perché più difendibili dall’unica colonia di popolamento di Tiro, la grande Cartagine: Mozia (nello Stagnone vicino l’attuale Marsala), Trapani, Panormo (dapprima chiamata Ziz, poi grecizzata anche nel nome), con il suo piccolo avamposto di Sòlunto.
Con la concentrazione, gli empori occidentali diventano piccole città-stato, le quali stringono alleanza tra loro, e con le due città-stato degli Elimi (Segesta ed Erice), e tutte insieme, compresi i villaggi sicani ed elimi dell’interno, si mettono sotto la protezione della Repubblica di Cartagine. La Sicilia sta entrando così nella storia propriamente detta.
Cronologia:
20.000-10.000 a.C. Paleolitico Superiore
10.000-6.000 a.C. Mesolitico
6.000-3.200 a.C. Neolitico
3.200-2.200 a.C. Eneolitico
2.200-1.450 a.C. Antica Età del Bronzo
1.450-1.250 a.C. Media Età del Bronzo (Sicani)
1.300 a.C. Insediamento degli Elimi
1.250-1.050 a.C. Tarda Età del Bronzo
1.050-750 a.C. Età del Ferro (Insediamento dei Siculi)
800 a.C. Insediamenti punici sulle coste siciliane
Fine terza puntata/ Continua