Salvatore Ferri, il militare siciliano borbonico che andò a combattere nella Guerra di secessione accanto ai generali Lee e Jackson

24 novembre 2020

La vita avventurosa del siciliano di Licata Salvatore Ferri, militare del Regno delle Due Sicilie che, dopo la sconfitta sul Volturno, emigrò in America per partecipare alla Guerra di secessione, sempre dalla parte del Sud 

All’indomani della ‘presunta’ unificazione italiana tanti militari borbonici, pur di non vivere da ‘prigionieri’ nel proprio Paese, decisero di spostarsi in America. Tra questi c’era anche un siciliano di Licata, provincia di Agrigento, Salvatore Ferri. Da lui partiremo per raccontare una storia molto particolare.

Salvatore Ferri, come già accennato, era uno dei tanti militari dell’esercito borbonico in rotta dopo la battaglia del Volturno. Alcuni di questi militari se ne andarono nel Nord America, altri negli Stati del Sud. Quando scoppio la Guerra di Secessione, nell’Aprile del 1861, i militari borbonici che erano finiti nel Nord diventarono unionisti (insieme ad altri italiani di ispirazione mazziniana), mentre i militari borbonici – e tra questi il nostro Salvatore Ferri – che erano emigrati nel Sud diventarono sudisti e seguaci del mitico generale Lee.

Correva l’anno 1860. Cavour aveva un problema: i tanti militari borbonici che si rifiutavano di intrupparsi nell’esercito di casa Savoia. Che fare?

Oggi, com’è noto, gli storici negano che in quegli anni, nel Nord Italia, vennero creati quelli che, sotto il regime nazista, venivano chiamati campi di concentramento. La storia finta dell’Italia negli anni subito successivi al 1860 è ormai crollata, e tutti ormai sanno che nella fortezza di Fenestrelle Cavour e chi arrivò dopo di lui (ad eccezione di Massimo d’Azeglio, che, sul Sud Italia, non la pensava come Cavour e casa Savoia) imprigionavano lì militari borbonici per farli morire tra mille stenti, per poi farli sparire nella calce. Fatti ormai appurati.

Molti militari borbonici, anche per sfuggire ai lager di Cavour, o perché si rifiutavano comunque di vivere nei loro paesi invasi dai piemontesi, come già raccontato, emigrarono in America.

Il sito storiaverità.org la racconta così:

“L’epopea della ‘Legione Borbonica’ e delle ‘Garibaldi Guards’ durante la Guerra di Secessione americana”.

Questo è il titolo. Nell’articolo di legge:

“Parteciparono a molte, importanti battaglie della Guerra Civile Americana e pagarono un alto tributo di sangue, coprendosi di gloria. Un loro reparto, ridotto ad appena 18 uomini al comando del tenente Salvatore Ferri, si arrese il 10 aprile del 1865, ad Appomatox (Virginia), quando vista l’impossibilità di continuare la lotta contro gli unionisti, il pur coriaceo generale confederato Robert Edward Lee decise di deporre le armi. Stiamo parlando dei 684 volontari della “brigata borbonica” che dopo la caduta del Regno delle due Sicilie, decisero di emigrare in America e di combattere al fianco delle truppe del presidente Jefferson Davis. Circa le vicissitudini e le gesta degli italiani coinvolti nella grande carneficina fratricida che per quattro lunghi anni funestò il Nord America poco si è detto, anche se negli Usa le gesta dei cosiddetti “home made yankees” sono ricordate e immortalate da numerosi cippi (vedi quello, famoso, di Gettysburg) disseminati dalla Louisiana allo stato di New York, perché – occorre ricordarlo – anche tra le file delle dei reparti unionisti militarono diverse centinaia di volontari provenienti dalla penisola, molti dei quali, di fede mazziniana e repubblicana, attratti dalla figura e dagli ideali del presidente Abraham Lincoln. A partire dal 28 maggio 1861, i quasi mille volontari italiani “nordisti” furono infatti inquadrati nell’Italian Legion e nella Garibaldi Guards, inserita nel 39° New York Infantry Regiment, fornendo in seguito un valido contributo alla causa delle ‘giacche blu’”.

C’erano i borbonici nordisti e c’erano i borbonici sudisti. Noi seguiamo questi ultimi e, in particolare, il Nostro siciliano di Licata, Salvatore Ferri. Non prima, però, di ricordare lo squallore dei piemontesi di Cavour che, in un primo momento, per puro spirito di vendetta, non ne volevano sapere di far partire per l’America i militari borbonici che si rifiutavano di intrupparsi nell’esercito savoiardo; poi, però, per risparmiare sul vitto – perché alla fine erano uomini e dovevano mangiare, Cavour e i suoi sodali decisero che sì, i militari borbonici, se lo volevano, se ne potevano pure andare in America.

Leggiamo sempre su storiaeverità.org:

“A partire dalla primavera del 1861, altri esuli borbonici andarono ad ingrossare alla spicciolata svariati reparti confederati che, successivamente, vennero rimpinguati da altri elementi borbonici giunti nel frattempo dall’Italia grazie, questa volta, ad un ripensamento del Cavour. Per risparmiare sul vitto e l’alloggio dei prigionieri delle Due Sicilie (alcune migliaia di irriducibili che, essendosi rifiutati di prestare giuramento ai Savoia, erano stati rinchiusi nei campi di concentramento dell’Italia del nord (vedi la tristemente famosa fortezza di Fenestrelle, dove centinaia di meridionali morirono di fame e di malattie), il pragmatico Conte pensò bene di disfarsi dell’impiccio, permettendo ai reclusi borbonici di espatriare nelle Americhe. Tra il 1861 e il 1864, le unità borboniche confluirono, assieme ad altri gruppi non italiani, nel Sesto Reggimento European Brigade, mantenendo tuttavia una propria bandiera e partecipando, come si è detto, a numerosi episodi bellici”.

Come andò la guerra di secessione lo sappiamo: vinse il Nord.” Terminata la guerra – leggiamo ancora di storiaeverità.org – molti dei nominativi dei volontari borbonici andarono perduti, giacché il 20 maggio 1865, il generale Kirby Smith, comandante del settore del Transmississippi, decretò lo scioglimento di tutti i reparti, compresi quelli in cui militavano i nostri connazionali. Non solo, egli fece anche bruciare tutti i fogli di leva per evitare che cadessero in mano nordista. Non a caso, negli atti ufficiali di resa del 26 maggio non viene fatta alcuna menzione circa i disciolti reggimenti e battaglioni. Fortunatamente, a ricostruire l’archivio e a ridare un nome, soprattutto ai tanti caduti ignoti meridionali che indossarono la giacca grigia, ci pensò, nel 1920, lo storico Andrew B.Booth che, al termine di un lungo e difficile lavoro, ricostruì l’organico, e le gesta, della gloriosa legione borboni”.

E il nostro Salvatore Ferri? Faceva parte del 10° Reggimento di fanteria della Louisiana. Erano poco meno di un migliaio. Quando ad Appomatox il generale Lee ad Appomatox si arrese – era il 10 Aprile del 1865 – erano rimasti solo 18 uomini. Uno di questi era l’ex soldato borbonico Salvatore Ferri di Licata.

Strano destino, il suo. Lo scrittore Marcello Veneziani lo dipinge come “un eroe dei due mondi a rovescio”. E no sbaglia: partito dal suo paese, nel Sud della Sicilia, era diventato militare del Regio esercito borbonico. E nel Sud Italia inanellò la sua prima sconfitta. Decise così di combattere per un altro Sud e se ne andò nella Louisiana, in America. Partecipò alla battaglia di Winchester, in Virginia, accanto al grande generale Jackson. Quella fu una vittoria. Ma, così com’era stato per il Regno delle Due Sicilie, anche il destino della Guerra di secessione era segnato. E, per la seconda volta, Salvatore Ferri da Licata si ritrovò tra gli sconfitti di un altro Sud.

Foto tratta da Calabria Diretta News

 

 

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