Lo scienziato noto per l’ottimo lavoro svolto in Veneto la scorsa Primavera esprime i propri dubbi sul vaccino di cui si parla tanto in questi giorni: “Vorrei essere sicuro che questo vaccino sia stato opportunamente testato e che soddisfi tutti i criteri di sicurezza ed efficacia. Ne ho diritto come cittadino e non sono disposto ad accettare scorciatoie”
Andrea Crisanti, lo scienziato che nella Primavera scorsa ha evitato al Veneto di andare in tilt da Coronavirus, lo dice a chiare lettere:
“Col primo vaccino a Gennaio, senza dati, non mi vaccinerei”.
Crisanti sintetizza i dubbi nutriti da tantissimi cittadini sui vaccini che stanno arrivando con troppo anticipo sui tempi ordinari. In un’intervista a UFFPOST, lo scienziato – che in questi giorni è ospite nello studio di Focus Live, il festival della divulgazione scientifica di Focus, al Museo Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano che si celebra dal 19 al 22 Novembre – la spiega così:
“Normalmente ci vogliono dai 5 agli 8 anni per produrre un vaccino. Per questo, senza dati a disposizione, io non farei il primo vaccino che dovesse arrivare a Gennaio. Perché vorrei essere sicuro che questo vaccino sia stato opportunamente testato e che soddisfi tutti i criteri di sicurezza ed efficacia. Ne ho diritto come cittadino e non sono disposto ad accettare scorciatoie”.
Dichiarazione secca, senza fronzoli. Aggiunge:
“Io sono favorevolissimo ai vaccini, ma questi di cui si parla sono stati sviluppati saltando la normale sequenza Fase 1, Fase 2 e Fase 3. Questo è successo perché hanno avuto fondi statali e quindi si sono potuti permettere di fare insieme le tre fasi perché i rischi erano a carico di chi aveva dato i quattrini. Ma facendo le tre fasi in parallelo, uno si porta appresso tutti i problemi delle varie fasi. Quindi è vero che si arriva prima, ma poi c’è tutto un processo di revisione che non è facile da fare. In questo momento non abbiamo una vera arma a disposizione”.
A illustrare quali sono le caratteristiche del vaccino Pfizer-Biontech è Federico Giorgi, ricercatore di bioinformatica al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Unibo in un’intervista a BOLOGNA TODAY:
“Sì, la big news della settimana è che la Pfizer ha finalmente diffuso i dati sull’efficacia del suo vaccino, che al contrario di quello russo, sta seguendo tutte le fasi di sicurezza farmacologica prima di essere diffuso alla popolazione. Sono stati analizzati circa 40.000 partecipanti (divisi in un gruppo a cui è stato dato il vaccino e un gruppo placebo) e più del 90% dei pazienti positivi sottoposti al vaccino non ha sviluppato la Covid-19”.
“Il vaccino – prosegue Federico Giorgi – funziona in modo precisissimo: fornisce alle cellule l’RNA messaggero della proteina virale più importante, la Spike, in modo che venga tradotto dalle nostre cellule. In pratica, così facendo alleniamo il nostro sistema immunitario alla presenza della Spike, senza il pericolo del virus. E così quando il virus arriva, i linfociti sono già pronti ed addestrati a produrre anticorpi per sconfiggerlo”.
A questo punto arriva una notizia che desta perplessità:
“Non sappiamo ancora quanto dura l’immunità generata – dice lo scienziato -. Si parla di qualche mese, ma ovviamente lo studio non ha la macchina del tempo e non può prevederlo nel futuro lontano. Quindi ancora non sappiamo se sarà un vaccino efficace ‘a vita’ o richiederà dei richiami (come quello antitetanico)”.
Da qui una domanda: è vero che l’Unione europea, in un clima di incertezza, ha ipotizzato l’acquisto di 200 milioni di dosi di tale vaccino? E’ vero che 27 milioni (il 13,51 % del totale) spetterebbero all’Italia?
Peraltro, la prima popolazione che sarebbe sottoposta a questo vaccino sarebbe quella sanitaria (medici e infermieri). Ci chiediamo: volendo salvaguardare la categoria dei medici e degli infermieri che, in questo momento, cura tutta la popolazione, la faremmo diventare, di fatto, la prima popolazione sulla quale desumere dati più ampi.
In parole semplici: non sarebbe un po’ insolito misurare la sicurezza e l’efficacia di tale vaccino giusto sulla popolazione di medici e infermieri? E’ lecito, insomma, porsi qualche dubbio?
La verità è che, più passa il tempo, più questo benedetto COVID-19 presenta sorprese. Già è stato appurato che chi si ammala acquisisce un’immunità che dura, sì e no, tre mesi: poi può riammalarsi.
Ora ci dicono che c’è un vaccino – in verità uno strano vaccino – che non è altro che un filamento di RNA messaggero della proteina virale Spike che ‘insegna’ alle nostre cellule come reagire quando il virus arriva, con i linfociti addestrati a produrre anticorpi per attaccare ed eliminare lo stesso virus.
Ma, a quanto pare, non si sa quanto dovrebbe durare questa specie di immunità, non escludendo che questo sistema di difesa possa durare qualche mese.
Mah…
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