Sotto processo sono finiti due medici, Pierenrico Marchesa e Tiziana Facella. Così ha deciso il Gip del Tribunale di Termini Imerese, dopo due richieste di archiviazione formulate dalla Procura. Non sappiamo come finirà il processo. Quello che possiamo dire è che questa vicenda ci ha colpiti
Oggi torniamo su una storia triste che abbiamo raccontato quattro anni fa: la morte in ospedale dell’onorevole Gaetano Trincanato. La novità è che c’è stato il pronunciamento della Magistratura: il Gip del Tribunale di Termini Imerese, Claudio Bencivinni, dopo due richieste di archiviazione formulate dalla Procura, ha disposto l’imputazione coatta di due medici che nel 2016 erano in servizio all’ospedale San Raffaele Giglio di Cefalù dove l’ex parlamentare regionale era stato ricoverato. A processo andranno il primario di Chirugia, Pierenrico Marchesa, (che oggi lavora all’ospedale Civico di Palermo) e la dottoressa Tiziana Facella. L’accusa formulata nei riguardi dei due medici è omicidio colposo.
Il Gip ha accolto l’opposizione del legale della famiglia Trincanato, avvocato Giovanni Rizzuti. Per altri quattro medici indagati – Guido Martorana, Valentina Alaimo, Giuseppe Barranco e Antonella Pellino – il Giudice ha disposto invece l’archiviazione.
Gaetano Trincanato, figura storica della DC siciliana e agrigentina, è stato parlamentare regionale per sei legislature, più volte assessore e vice presidente del Parlamento dell’Isola.
Era stato ricoverato presso il reparto di Chirurgia Oncologica dell’Ospedale Raffaele Giglio di Cefalù (da qui la competenza sul caso del Tribunale di Termini Imerese). E’ lì è deceduto in circostanze un po’ strane. Si era ricoverato per evitare una possibile occlusione intestinale ed morto in ospedale per occlusione intestinale!
E’ stato il destino? I familiari non lo pensano proprio: così hanno deciso di rivolgersi alla Giustizia.
Gaetano Trincanato era stato ricoverato il 4 Gennaio del 2016 per un intervento chirurgico. Per scongiurare un’occlusione intestinale.
“Ironia della vita – ci raccontava Elena Trincanato quattro anni fa – l’operazione, fatta appunto per evitare una possibile occlusione intestinale, gliel’ha invece causata proprio mentre era in ospedale. Mio padre si è sentito male e nessuno se n’è accorto. I fatti sono accaduti Venerdì, Sabato e Domenica quando il dottor Marchesa, chirurgo, responsabile della struttura, non era presente in reparto. Il suo staff e il medico di guardia in reparto non si sono accorti dell’occlusione perché, malgrado i sintomi, non decidono di fare una semplice radiografia del torace che avrebbe evidenziato l’occlusione. Avrebbe dovuto essere operato in tempo, e non dopo tre giorni e con la febbre, quando la situazione era diventata critica. Un anestesista mi ha riferito che mio padre in sala operatoria era in condizioni critiche”.
Dopo la prima operazione – era Lunedì 4 Gennaio 2016 – sembrava fosse andato tutto bene. Si parlava, addirittura, di dimissioni del paziente dopo sette giorni di degenza.
Due giorni dopo l’intervento chirurgico i familiari notano quella che, a loro avviso, è la prima anomalia: la rimozione del sondino gastrico. Motivo: era vuoto.
L’8 Gennaio – a quattro giorni dall’intervento – i medici dispongono per il paziente una dieta dieta liquida. Tutto questo, ci raccontava quattro anni fa la figlia Elena, “malgrado la mancanza di canalizzazione” (per canalizzazione s’intende la ripresa del transito intestinale).
Dopo aver ingerito un omogeneizzato, il paziente inizia ad avvertire i primi malesseri. I medici intervengono con un antimietico. I sintomi si accentuano il giorno successivo dopo che Gaetano Trincanato ha ingerito uno yogurt.
A questo punto si registra un peggioramento delle condizioni del paziente:
“La situazione precipitava – è sempre il racconto della figlia di quattro anni fa – mio papà cominciava a respirare malissimo. Gli hanno rimesso il sondino naso-gastrico e gli venivano aspirati oltre 7 litri di ristagno gastrico in un’unica soluzione. Un ristagno gastrico che aveva dentro da tempo, se è vero che il sondino naso-gastrico gli era stato tolto il secondo giorno dopo l’intervento”.
Per il paziente, che non sta proprio bene, arriva anche l’ossigeno. E una radiografia ai polmoni, che non dà grandi indicazioni.
“Ma incredibilmente – ricorda sempre Elena Trincanato – non veniva fatta una semplice radiografia all’addome, proprio nel punto dove era stato operato!”.
Arriva il cardiologo per l’elettrocardiogramma e l’eco-cuore. Il cuore risultava in fibrillazione. Nella cartella clinica viene annotato “che il paziente risultava con alvo chiuso… e con l’enorme ristagno gastrico aspirato dal sondino”. Ci sarà un’occlusione intestinale?
Solo l’11 Gennaio verrà effettuata una Tac allo stomaco. Da qui un intervento chirurgico in urgenza che riesce.
“Ma – racconta sempre la figlia – a questo punto tutti gli organi principali (rene, polmoni e cuore) risultano danneggiati e il paziente entra in camera di rianimazione in una situazione di Mof (Multi Organ Failure)”.
Sopravviene uno shock settico dal quale non si riprenderà mai e cesserà di vivere il 17 Gennaio del 2016.
La storia non è finita, perché, come già accennato, i familiari sono andati fino in fondo. E dopo quattro anni di accurate indagini è arrivato il pronunciamento del Gip.
Riprendiamo un articolo molto puntuale di PALERMOTODAY dello scorso 28 ottobre:
“Il giudice, recependo le conclusioni dei periti, rimarca che ‘i sanitari già il 9 gennaio 2016 disponevano di una serie di evidenze cliniche che, se precocemente interpretate ed indagate, avrebbero permesso loro di instaurare nei tempi dovuti i protocolli terapeutici necessari’ e che ‘l’avvenuta complicanza (ernia ombelicale intasata) sarebbe stata precocemente diagnosticata e risolta e ciò, con elevata probabilità prossima alla certezza, avrebbe modificato il prosieguo degli accadimenti clinici che portarono all’exitus del paziente’. E sostiene che ‘posto che vi sono state violazioni di regole cautelari, di prudenza, perizia o diligenza quantomeno nei giorni 9 e 10 gennaio 2016 (omissione di accertamenti diagnostici in data 9 gennaio, quali lastra all’addome o tac addominale)’ e che la loro anticipazione, secondo i periti, avrebbe evitato la morte, ‘gli elementi acquisiti sono idonei per sostenere l’accusa in giudizio ed è opportuno un approfondimento dibattimentale della vicenda quantomeno nei confronti di soltanto alcuni degli indagati'”.
“Nello specifico per il capo dell’équipe medica che operò il paziente, cioè Marchesa che ‘non risulta abbia prestato alcuna particolare cura alle complicanze’, mentre per il gip avrebbe dovuto disporre ‘un apposito monitoraggio, ovvero informarsi anche solo telefonicamente, delle condizioni del paziente con i sanitati che egli, di certo, sapeva essere di turno in sede’. Per questo ‘la condotta mantenuta da Marchesa nella fase postoperatoria risulta non conforme a quella suggerita dalla migliore scienza ed esperienza e, quindi, sotto il profilo oggettivo, colposa’. Stesso ragionamento per Facella: il processo dovrà chiarire ‘se alle 17.20 del 9 gennaio 2016 le condizioni cliniche del pazienti fossero già tali da richiedere gli approfondimenti diagnostici di sui si è detto, all’esito della richiesta consulenza anestesiologica, e se la stessa fosse ancora in turno'”.
Commenta oggi Elena Trincanato:
“Mio padre venne portato in sala operatoria solo dopo 8 giorni e neanche di lunedì mattina, quando il primario Dott. Marchesa tornava dal suo weekend, ma di lunedì pomeriggio, dopo un weekend di ‘agonia’ del
paziente che, ormai totalmente occluso, in sepsi, veniva operato da ignari
chirurghi che niente poterono fare per salvarlo, essendo quasi privo di
vita. Ironia della sorte: ti operi per evitare una possibile occlusione intestinale e muori per occlusione intestinale, non a casa senza aiuto ma in ospedale dove quell’aiuto l’avresti potuto avere immediatamente…”.