Il vero segreto della ‘presunta’ unità d’Italia è lo scorrere del tempo. Ancora oggi, anche meridionali e siciliani intelligenti, la pensano nel seguente modo: “Vabbé siamo stati conquistati dai piemontesi. Ma ora, dopo tanti anni, che dobbiamo fare? Ormai l’Italia è legittima”. Questo Federico De Roberto, napoletano ‘catanesizzato’, l’aveva capito vent’anni dopo la ‘presunta’ unità d’Italia
“La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi. Le condizioni esteriori mutano; certo, tra la Sicilia di prima del Sessanta, ancora quasi feudale, e questa d’oggi pare ci sia un abisso; ma la differenza è tutta esteriore. Il primo eletto col suffragio quasi universale, non è né un popolano, né un borghese, né un democratico: sono io, perché mi chiamo principe di Francalanza. Il prestigio della nobiltà non è e non può essere spento. Ora che tutti parlano di democrazia, sa qual è il libro più cercato alla biblioteca dell’Università, dove io mi reco qualche volta per i miei studi? L’Araldo Sicolo dello zio don Eugenio, felice memoria. Dal tanto maneggiarlo, ne hanno sciupato tre volte la legatura! E consideri un poco: prima, ad essere nobile, uno godeva grandi prerogative, privilegi, immunità, esenzioni di molta importanza. Adesso, se tutto questo è finito, se la nobiltà è una cosa puramente ideale e nondimeno tutti la cercano, non vuol forse dire che il suo valore e il suo prestigio sono cresciuti?… In politica, Vostra Eccellenza ha serbato fede ai Borboni – e questo suo sentimento è certo rispettabilissimo – considerandoli come sovrani legittimi… Ma la legittimità loro da che dipende? Dal fatto che sono stati sul trono per più di cento anni… Di qui a ottant’anni, Vostra Eccellenza riconoscerebbe dunque come legittimi anche i Savoia…
Certo, la monarchia assoluta tutelava meglio gl’interessi della nostra casta; ma una forza superiore, una corrente irresistibile l’ha travolta… Dobbiamo farci mettere il piede sul collo anche noi? Il nostro dovere, invece di sprezzare le nuove leggi, mi pare quello di servircene!…”.
Federico De Roberto I Viceré
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