Un’amara riflessione sugli effetti della pandemia, là dove economia e sanità s’incrociano. I ritardi e le sciocchezze da Roma alla Sicilia. Cosa non è stato fatto e cosa (forse) si potrebbe ancora fare. Agrigento e dintorni: 8 posti di terapia intensiva per circa 200 mila cittadini. Ma in sei mesi che hanno fatto?
di Alessio Lattuca
Il tempo è finito. Il tempo per mettere in atto tutto ciò che può salvaguardare la vita delle persone – l’economia, le imprese e i posti di lavoro – è finito. D’altro canto, esiste la diffusa sensazione, o consapevolezza, che talune cose che potevano essere fatte non sono state realizzate. Purtroppo non serve piangere sul latte versato!
Niente è più drammatico di un Paese che, prevalentemente, cade nel ridicolo e che accentuare la diffusa e conclamata irresponsabilità. Non è stata svolta alcuna vera e credibile attività di prevenzione. I banchi di scuola per le rotelle sono una perla delle sciocchezze e una metafora del vuoto di una certa politica.
Infatti in un Paese dove le scuole sono a rischio sismico e cadono a pezzi, i banchi sono davvero l’ultima delle sciocchezze a cui si dovrebbe pensare. È largamente probabile che certa politica non sia in possesso dei necessari strumenti per capire, per interpretare e per decodificare la realtà in cui è precipitato il Paese. Che è prigioniero di una tempesta perfetta: la caduta della domanda e dell’offerta e, ovviamente, senza la crescita e con la fine del blocco dei licenziamenti per l’economia italiana sarà un disastro.
Ed era tutto scritto: senza la indispensabile prevenzione e dopo otto mesi di indifferenza sugli effetti che comportamenti disinvolti, incoraggiati da una parte politica, la pandemia avrebbe preso il sopravvento. Una rete territoriale sanitaria fatta bene avrebbe potuto contenere il dilagare dell’infezione; sarebbe servito anche un vero sistema di sorveglianza con tamponi e tracciamento (senza opacità dei dati) e, soprattutto, un proporzionato potenziamento dei presidi sanitari: ventilatori, terapia intensiva, una seria ed onesta condotta da parte del Governo a valere su tutto il Paese e, in particolare, al Sud, dove notoriamente la sanità pubblica da anni registra un deficit insopportabile.
L’emergenza COVID avrebbe dovuto interessare il CTS e la Protezione Civile per individuare quali soluzioni adottare per limitare i danni causati da un rapporto irresponsabile con la salute dei cittadini meridionali. E fare di tutto per migliorare i dati Istat che registrano, a causa di una medicina scadente, una aspettativa di vita inferiore di cinque anni rispetto alla media nazionale.
Una condotta che si ponesse come priorità la creazione di reparti e posti letto per il COVID-19. Un esempio per tutti: nella città di Agrigento i posti letto di rianimazione sono soltanto otto: una scarsissima realtà a “presidio” di un’area vasta di circa 200 mila abitanti, prevalentemente impegnati per la normale gestione. In piena pandemia il buon senso avrebbe consigliato di provvedere, con la tempestività che l’emergenza avrebbe dovuto suggerire.
Invece nulla di tutto ciò è accaduto in un territorio che non è dotato, neanche, di un reparto di malattie infettive. Potrebbe risultare una straordinaria occasione per provvedere a recuperare il Gap.
Intanto, il Governo nazionale e il Commissario per la Protezione Civile, utilizzando i mezzi e i fondi dedicati all’emergenza, potrebbero istituire “con urgenza”, nella città di Agrigento, un reparto COVID-19 con tutti i presidi opportuni, per offrire la necessaria sicurezza a tanti cittadini preoccupati per la loro sopravvivenza.
Esiste un altro indicatore dei ritardi e della confusione che genera incertezza: non è stato ancora aperto il reparto terapia di intensiva COVID presso l’ospedale della città di Ribera. La stranezza deriva da talune dichiarazioni, secondo le quali sembrerebbe che non sia stata ancora rilasciata l’autorizzazione da parte della Regione siciliana!
Se così fosse sarebbe davvero paradossale che, in tempo di emergenza, di pericolo per la sopravvivenza delle comunità e con l’enfasi riservata dal Commissario della “Protezione civile” possano accadere certe indefinibili vicende alle quali, purtroppo, si è fin troppo abituati. Come se i Dcpm e la Protezione civile viaggiassero su un pianeta e la Sicilia viaggiasse nella stratosfera.
L’evidente scollamento è la manifestazione plastica che sia in gioco, anche, una partita politica tra Governo centrale e Governatori. Ed è drammatico che il ceto politico non si renda conto che il progressivo aumento del contagio manifesti la triste realtà in cui è precipitato il Paese: non si tratta di uno sprint ma di una maratona e, pertanto, sarà necessario prepararsi per una lunga lotta e per una scientifica resistenza al virus.
A tale proposito diventa strategico un vero piano pandemico, decise misure di contenimento per recuperare, rispetto alla logica invalsa del male minore e alla teoria dei minimizzatori e, intanto, rendere trasparente come sono state spese le risorse, informare i cittadini sulla fine che hanno fatto i 3 mila e 400 posti di terapia intensiva e, soprattutto, sulle procedure (bando, concorso, chiamata diretta) attivate per l’assunzione degli 81 mila tra medici, infermieri e tecnici. E individuare le cause di ritardi e imprevidenza diffusi per verificare quali siano i motivi per i quali le Regioni non hanno utilizzato i 1960 ventilatori di terapia intensiva che il Commissario Arcuri ha messo a loro disposizione.
Non è accettabile un comportamento così strabico quando si tratta della vita delle persone e la totale assenza di imprevidenza sui rischi che la seconda ondata avrebbe implicato, tenuto conto che era probabile che sarebbe arrivata e nella forma più virulenta della prima. Un approccio competente e sensato avrebbe tenuto nella dovuta considerazione il rispetto delle regole e la professionale prevenzione, per evitare che si ripetesse la tragedia registrata in alte Regioni.
In Sicilia – una regione che era stata dispensata nella prima fase – il senso di responsabilità avrebbe preteso un atteggiamento prudente, preventivo e protettivo. Invece l’approccio disinvolto, un malinteso senso dell’economia e “il liberi tutti dell’estate” hanno reso possibile l’arrivo incontrollato di migliaia di turisti provenienti da ogni parte del Paese e non solo, e rischia di compromettere, definitivamente, l’equilibrio della Regione, di per sé precario.
Oggi, nella speranza di essere ancora in tempo, sarebbe necessario che la Regione mettesse in campo, da un lato, vere risorse da destinare alle imprese per evitare di continuare ad anestetizzare l’economia e, dall’altro, un piano pandemico che preveda diagnosi precoci, presidi di protezione, posti di terapia intensiva e sub intensiva, posti di terapia COVID, e assumesse con qualsiasi forma infettologi, medici igienisti per il tracciamento, medici anestesisti, infermieri per terapia intensiva, infermieri e tecnici di rianimazione.
Un problema gigantesco di presidi, di personale e di deficit di formazione, che il tempestivo utilizzo del MES (riservato esclusivamente alla sanità e collaterali), potrebbe concorrere a colmare. Perché è fortemente probabile che la nuova ondata del virus possa essere devastante! Limitare i rischi emergenti della seconda ondata, la cui curva è molto simile a quelle che si registra in altre Regioni, è una atto di vera responsabilità politica.
E al tempo stesso un atto risarcitorio per recuperare parte del danno che la follia della sanità, su base regionale, ha creato. La condizione a cui si assiste dimostra che la Regione siciliana non ha utilizzato gli otto mesi per attivare un tracciamento corretto, non ha pensato a politiche dei trasporti indispensabili per contenere gli assembramenti, non ha potenziato la medicina territoriale (dopo troppi anni di depotenziamento), non ha attivato il Piano USCA.
Un vero deficit, purtroppo, in linea con la realtà del Paese che investe soltanto il 4% nella medicina domiciliare rispetto alla media Ocse è del 6% e a molti Paesi che investono l’8, il 9, il 10% del Pil. Il buon senso consiglierebbe di superare, almeno, la soglia Ocse.
Foto tratta da Il Faro On Line
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