I ragazzi siciliani, all’indomani della ‘presunta’ unificazione italiana, dovevano regalare sette anni della loro vita per svolgere il servizio militare nelle milizie degli invasori piemontesi. I più si davano alla macchia. I generali dei Savoia, per catturarli, non esitavano a tagliare l’acqua per settimane ad interi Paesi della Sicilia e ad arrestare i genitori dei “contumaci”
“Il proclama e la condotta del militare di Licata furono imitati a Trapani, Girgenti, Sciacca, Favara, Bagheria, Calatafimi, Marsala, ove fu distrutto anche il raccolto del vino, e in altri comuni”.
E l’acqua mancò per un’intera settimana!
Sempre D’Ondes Reggio, nella tornata del 7 dicembre 1863, “dà lettura dell’ordinanza d’un altro comandante piemontese che dispone l’arresto di tutti coloro da’ cui volti si sospetti d’essere coscritti di leva, e anche l’arresto dei genitori e dei maestri d’arte dei contumaci”.
“Questo avveniva a Palermo: i cittadini ricorsero al Prefetto che rispose nulla sapere e nulla potere! In una città di 230 mila anime, il capo del governo nulla sa, nulla può!”
“Questa lunga Iliade finiva con due catastrofi: la prima fu quella di Petralia: una capanna fu circondata dalla truppa, non per trovare un coscritto, ma per chiedere informazioni; gli abitanti erano tre, padre, figlio e figlia, e questi tre furono bruciati vivi per non aver voluto aprire!”.
Michele Antonino Crociata, Sicilia nella storia, Tomo II, pag. 112.
Tratto da Regno delle Due Sicilie.eu
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