Il grano italiano diventi un prodotto di nicchia per tutelare agricoltori e consumatori

9 ottobre 2020

La proposta la lanciano un gruppo di Associazioni di produttori di grano duro della Puglia e della Sicilia in una lettera indirizzata alle autorità italiane, dalla presidenza della Repubblica al Governo, dalla Commissione Agricoltura alle Regioni Puglia e Sicilia

“Cerealicoltura italiana, prospettive per i produttori di grano e tutela dei consumatori”, è l’oggetto di una lettera che affronta la questione del grano duro del Sud Italia. La lettera è indirizzata al Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella, al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al Ministro dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, al sottosegretario delle Politiche agricole, Giuseppe L’Abbate, al Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, al Presidente della Regione siciliana, Sebastiano Musumeci, alla Senatrice Gisella Naturale, V Commissione Agricoltura.

La lettera è firmata da “Rete SPAC (Sistema Produttivo Agroalimentare di Capitanata) la rete contratto che agisce in forma imprenditoriale con una chiara impronta industriale e di sostenibilità, soggetto Capofila Masserie Santagatesi”, alla quale si uniscono le associazioni di Liberi agricoltori di Terra è Vita, Liberi Agricoltori di Sicilia, Adiconsum, associazione dei consumatori e Associazione agricola ULPEA (Unione Lavoratori Produttori Europei Agro-alimentare).

“Il comparto agricolo, soprattutto quello cerealicolo – si legge nella lettera – sta subendo, da alcuni anni, una forte crisi dovuta non solo agli elevati costi di gestione, ai crescenti episodi di furti e atti vandalici che interessano le aziende agricole, a una pubblica amministrazione lontana ed assente dal settore agricolo che comporta solo una crescente burocratizzazione per le aziende agricole con aggravio di spese e perdita di tempo, calamità naturali tipo alluvioni e siccità, sempre più frequenti”, tanto che “ormai, lo Stato ritiene utile non tenerne conto per non erogare possibili indennità”.

“Il Sud Italia – prosegue la lettera – è considerato il granaio d’Italia, da sempre specializzato nella produzione di grano di qualità. Nonostante la pregevole qualità il prezzo del grano e dei cereali in genere, è attualmente di circa 25 euro (al quintale). Il produttore non copre neanche le spese di produzione, costringendo tanti agricoltori a lasciare incolti i terreni acquistati con il sacrificio di generazioni precedenti e che a stento ormai, per i fattori narrati, si riescono ancora a conservarne la proprietà”.

Non mancano, nella lettera, i toni amari, là dove si legge che “ormai la terra non è più dell’agricoltore ma, quando meno te l’aspetti, arriva una grossa società e con la dicitura ‘esproprio di pubblica utilità’, volente o nolente, se la prendono. Da precisare che la pubblica utilità sta solo per la società perché, oltre al fastidio per il rumore delle pale che girano, per la difficoltà di chi coltiva i terreni accanto, la popolazione interessata non ha nessun beneficio. Eppure selvaggiamente continuano a storpiare l’unica cosa che rimane al Sud: il paesaggio!”.

Il passaggio sulle “pale”, con molta probabilità, fa riferimento alle pale eoliche che, in molti casi, hanno deturpato il paesaggio. In realtà, c’è anche il problema dei terreni agricoli che vengono affittati per la produzione di energia eolica, con offerte allettanti: rendite per 30 anni che vanno da 2 mila a 3 mila e 500 euro all’anno.

Ma torniamo alla lettera.

“Il valore dei prodotti primari, soprattutto i cereali – leggiamo – nelle filiere non hanno peso. Questo sta determinando una forte crisi. Ne risentono in modo più grave quelle aziende che non hanno la possibilità di diversificare le produzioni primarie. Le superfici coltivate a grano sono tante, specie in Provincia di Foggia, non sono in ogni caso paragonabili alle grandi estensioni destinate alla coltivazione del grano di altre nazioni. Il grano italiano, quindi, non può competere con i grani esteri. I costi di produzione non sono paragonabili. Un conto è coltivare grosse estensioni, un conto è coltivare estensioni ridotte. Si pone allora un interrogativo. Ha senso parlare di quotazione del grano italiano a livello globale? Questa è la domanda che si rivolge alle Istituzioni”.

“I porti – prosegue la lettera – continuano a scaricare navi di grano e poi, a parte i controlli sulle micotossine, Don e glifosate (o glifosato ndr), finisce negli stabilimenti molitori come grano ‘nazionalizzato’ pronta a diventare pasta. Dicitura ingannevole per gli ignari consumatori”.

La dicitura è ingannevole, come giustamente si sottolinea nella lettera, perché viene inserita nelle etichette come “naz.”, equivocando su grano “nazionale” e grano “nazionalizzato”, che sono cose diverse!

“Nazionale”, infatti, è un grano duro italiano, “nazionalizzato” è un grano duro estero che viene, appunto, “nazionalizzato”. Un equivoco che serve per prendere in giro i consumatori!

“Sarebbe utile – si legge sempre nella lettera – una aggregazione tra produttori e la realizzazione di accordi di filiera tra produttori ed industrie di trasformazione al fine di garantire una qualità elevata del grano italiano ed una adeguata remunerazione per gli agricoltori, tutelando in tal modo i consumatori. Le Istituzioni, in particolare il Ministero dell’Agricoltura, non possono fare a meno di considerare il grano nazionale un prodotto di ‘nicchia’. Ed è questa la richiesta che si fa. Questo metterebbe i produttori di grano nelle condizioni di arrivare alla trattazione diretta del prezzo con le industrie molitorie e della trasformazione in prodotti finiti”.

Da qui la richiesta di “un intervento concreto ed immediato affinché l’agricoltura italiana tutta, e soprattutto quella cerealicola, possa sopravvivere a queste dinamiche di mercato distruttive dell’intero comparto agricolo italiano e, nel contempo, tutelare i consumatori da acquisti ingannevoli”.

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