La rucola esiste ancora, ma la sua presenza a tavola è tornata dove dovrebbe essere: su certe pizze e, insieme con le scaglie di parmigiano, sul carpaccio. Eppure c’è stato un momento in cui quest’erba, gloria e vanto della Piana di Sele, in Campania, aveva conquistato tutti…
di Nota Diplomatica
L’Italia si sottovaluta. Non ha grosse bombe, ma è in assoluto uno dei più importanti detentori del cosiddetto “soft power” – l’abilità di un Paese di persuadere e attrarre tramite risorse intangibili come la propria storia, i suoi valori e la sua cultura. La cucina italiana è la seconda al mondo – dopo la specifica cucina nazionale – per una serata fuori a cena. La moda e gli accessori italiani codificano la bellezza in ogni angolo della Terra e perfino la Chiesa cattolica – che definisce la moralità per un miliardo di fedeli – è un’organizzazione il cui vertice è per lo più gestito da italiani. Poteva un altro Paese convincere il mondo intero a mangiare la rucola?
Anni fa l’umile rucola ha avuto un boom fantastico e un po’ misterioso. Secondo Google “Ngram” – uno strumento che traccia nel tempo la frequenza con cui i termini ricercati appaiono in un enorme corpo di testi di vario tipo – l’interesse per l’erba ha raggiunto il picco attorno al 2005, per poi ricadere al livello di sostanziale indifferenza, quello del 1998, alla fine del decennio.
La rucola esiste ancora, ma la sua presenza a tavola è tornata dove dovrebbe essere: su certe pizze e, insieme con le scaglie di parmigiano, sul carpaccio. Quando era di moda invece, spuntava in ogni parte del menù: c’era il gelato alla rucola, i ristoratori offrivano un bicchierino di digestivo alla rucola a fine pasto, le sue foglie verdi trovavano posto nei dolci.
Il perché di tutto questo non è subito evidente. La rucola non era oggetto di una vasta campagna mediatica, non c’era un prestigioso portavoce né un potente ufficio stampa che distribuiva foto e offriva interviste. Si trattava di una pianticella inoffensiva e dal sapore amarognolo gradevole, ma l’umanità l’aveva trascurata senza problemi per secoli ed è perlopiù
tornata ad ignorarla ora.
Aveva del suo una cosa commercialmente positiva. Si sospettava potesse avere limitati poteri afrodisiaci. Si raccontava che fosse stata storicamente esclusa dagli orti dei conventi per il turbamento che poteva provocare. Una balla, seppure simpatica e ben costruita.
Già un decreto dell’Imperatore Carlo Magno dell’802 raccomandava la sua presenza negli orti ben condotti. Altri dicevano che favoriva la produzione di bile, forse una buona cosa, ma non un argomento da tavola.
Dovrebbe “sgrassare” i piatti pesanti e il suo verde vivo “ravvivare” le pietanze altrimenti scialbe. Gli inglesi la chiamano “rocket”- dalla “salade roquette” dei francesi – e gli americani “arugula”, un evidente dono della diaspora dialettale italiana.
La produzione è concentrata nella Provincia di Salerno, tra Battipaglia ed Eboli. Secondo l’Assessorato all’Agricoltura campano, la produzione annua della rucola della Piana del Sele è pari a 400mila tonnellate, il 73% della produzione nazionale, con un fatturato medio annuo di oltre 600 milioni di euro.
L’erba, in altre parole, pesa molto localmente e i produttori consorziati della Piana dovrebbero infatti riuscire a breve ad ottenere per la loro pianta la designazione europea IGP, Indicazione Geografica Protetta, che farebbe della produzione una sorta di rucola “DOC”.
Con la pubblicazione ad agosto sulla Gazzetta Ufficiale europea della Domanda di registrazione e il disciplinare di produzione, il riconoscimento della “Rucola della Piana del Sele IGP” è quasi arrivato al traguardo.
Passati tre mesi senza che nessun altro stato membro Ue presenti osservazioni contrarie, la Commissione pubblicherà il regolamento di decisione con il quale la denominazione sarà ufficialmente approvata e registrata.
Così, la “Rucola della Piana” andrà ad aggiungersi – per citare solo le “erre”- a un elenco che comprende: Radicchio di Chioggia, Radicchio di Verona, Radicchio Rosso di Treviso, Radicchio Variegato di Castelfranco, Riso Nano Vialone Veronese, nonché i Ricciarelli di Siena, un dolce tipico senese a
base di mandorle. La IGP non si nega praticamente a nessuno…
Foto tratta da Foggia Reporter