Il cane discende dal lupo. Fino a quando è con l’uomo non crea problemi. Le cose cambiano se il cane viene lasciato a sé stesso come accade negli abbandoni che sono la piaga del periodo estivo. Gli individui che sopravvivono agli stenti si cercano, si ritrovano, lottano a volte ferocemente e si organizzano in branchi. E scorrazzano alla ricerca di prede e alla conquista di territori esattamente come fanno i lupi
di Silvano Riggio
La tragica sorte di Viviana Parisi e del piccolo Gioele sotto il traliccio di Caronia ha un elemento di horror che va oltre la tragedia in sé e risveglia i timori ancestrali legati alla “selva oscura” dantesca che la scomparsa dell’ambiente naturale con tutto ciò che è selvatico aveva in parte sopito. Il riferimento è allo scempio dei corpi compiuto dagli animali selvatici solitari e in branco che popolano le aree suburbane e sembrano aver riportato in vita l’incubo delle belve feroci relegato ai racconti popolari di orchi e di mostri. Certamente se ne sarebbe parlato di più se il Coronavirus non avesse monopolizzato l’interesse generale.
Le cronache hanno fatto ampi accenni agli attacchi portati da cani e cinghiali ai due sventurati protagonisti della cronaca e sollevano il dubbio atroce se entrambi siano stati massacrati da animali inferociti o se, semplicemente, gli animali abbiano fatto banchetto dei loro corpi.
Qualunque sia la verità, questa notizia rende insicura la vita in campagna vista come alternativa salvifica alla città caotica e nevrotizzante. Il cittadino sedentario, ma anche il cittadino normale sembra risvegliarsi da un brutto sogno e chiedersi se anche le gite fuori porta e le escursioni in montagna non siano un pericolo come il Coronavirus. Le aggressioni degli orsi in Trentino rafforzano questi timori.
Ma ritornando alla tragedia di Caronia, l’interrogativo più ovvio è se sia possibile che dei cani siano capaci di uccidere un uomo e se sia possibile che dei maiali selvatici abbiano dilaniato una donna e il suo bambino, e pertanto che possa succedere la stessa cosa ad ognuno di noi se soltanto ci allontaniamo dalla città.
Ma parliamo anzitutto dei cani. Chi sta in città non lo sa, ma chi va in campagna – per lavoro o per diletto – sa per esperienza personale quanto sia pericoloso l’incontro coi cani, soprattutto se di grossa mole e se sono in branco. E va riveduto un luogo comune: il cane, amico fedele dell’uomo e custode delle sue proprietà, discende dal lupo siberiano. Nel fondo del suo patrimonio genetico porta ancora ben radicati i geni della specie dalla quale proviene, e questi possono affiorare riportando l’amico fedele alla sua natura di belva.
Questo ritorno alle origini è variamente presente nelle razze canine ma è più sviluppato nei cani da guardia e nei cani da pastore. Il cane quindi non ha nulla di naturale e spontaneo ma è costruito dall’uomo, è un soggetto geneticamente modificato in relazione del ruolo scelto da chi lo alleva e lo condiziona.
Il cane è stato selezionato in razze specializzate per la guardia, per la guida del gregge, la caccia, la compagnia, l’assistenza, il lavoro ed altro, e si può considerare un avatar, una sottospecie di uomo che si identifica con il padrone del quale assume il linguaggio e l’atteggiamento, ma in realtà resta sempre un lupo, e ritorna ad essere lupo quando non ha più un padrone.
Con il lupo il cane condivide il gregarismo, la tendenza cioè a vivere in gruppo, e ad organizzarsi in gerarchie con un capo dominante, con dei comprinari e dei sottomessi. Come nella società umana. Essendo un predatore carnivoro, il cane è per natura aggressivo, ma la sua aggressività è modulata dall’autorità del capo, che di norma è il suo padrone e che ne influenza il comportamento: se il padrone è persona civile ed equilibrata il cane in genere è accettabile.
Le cose cambiano però se il cane viene lasciato a sé stesso come accade normalmente negli abbandoni che sono la piaga del periodo estivo. Gli individui che sopravvivono agli stenti si cercano, si ritrovano, lottano a volte ferocemente e si organizzano in branchi. Con la guida di un dominante, che è l’esemplare più forte e volitivo, il branco scorrazza alla ricerca di prede e alla conquista di territori esattamente come fanno i lupi.
Il branco è particolarmente pericoloso perché la vicinanza reciproca accresce le aggressività individuali fino a esplodere un’eccitazione parossistica di gruppo, la stessa che si osserva nelle masse di tifosi e manifestanti. Il branco va alla ricerca di ogni possibile preda, e quando la incontra non si trattiene dal farla a pezzi. Questo è il fenomeno del randagismo che da secoli affligge le nostre campagne e che è diventata una piaga con il declino dell’agricoltura e l’incremento dell’urbanizzazione.
Il branco di cani ritorna quindi ad essere un branco di lupi, con l’aggravante rispetto a questi ultimi della familiarità che il cane ha con l’uomo. Mentre il lupo teme l’uomo e lo sfugge, il cane lo conosce bene, ne sa le debolezze e non esita ad attaccarlo. Ne fanno le spese i viandanti solitari e in particolari quelli che mostrano segni di paura e sono disarmati.
Altra possibilità è che non si sia trattato di un branco, ma magari da una coppia di molossi, che pare siano presenti nella zona: la sorte è uguale. La speranza di uscire vivo da esperienze simili è di non aver paura, non fuggire, non reagire e fingersi morto. Chi riesce a tanto? L’ipotesi quindi che la coppia sventurata sia stata uccisa dai cani è tragicamente plausibile.
Foto tratta da VOCE DI POPOLO sicilia on line
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