Quando la tisi uccideva con eleganza: la storia di Marie Duplessis che ispirò “La traviata” di Verdi

14 agosto 2020

Nell’800 la tubercolosi uccideva lentamente e dando a volte in cambio un dono impensato: la bellezza, ovvero “la carnagione d’un pallore magnifico, le labbra rosse, le macchie di rossore sulle guance e gli occhi scintillanti per le febbri ricorrenti… e i capelli fini e morbidi come la seta”. La storia di una giovane donna che ha ispirato letterati e musicisti

di Nota Diplomatica

Il ritratto è di Marie Duplessis (nata “Plessis” nel 1824, il “du” arriva dopo per “nobilitare”…). Di origini più che umili, diventa una delle più celebri cortigiane della storia, ispirando numerose opere letterarie, teatrali e cinematografiche. Tra le più note, “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio (dove figura come Marguerite Gautier) per poi diventare “La traviata” (Violette Valéry) nell’adattamento lirico di Giuseppe Verdi.

Nata in un paesino della Bassa Normandia, trascorre l’infanzia in estrema povertà. Adolescente, lavora in una fabbrica di ombrelli. All’età di 16 anni si trasferisce a Parigi in cerca di fortuna. Acquisisce, partendo dal nulla, estrema celebrità passando per i letti che più contavano: come quello del duca Agénor de Gramont, un diplomatico e politico più tardi Ministro degli esteri, per poi “congiungersi” con Dumas figlio dal settembre 1844 all’agosto 1845. Passa al compositore Franz Liszt e in seguito al conte Édouard de Perrégaux, col quale convola a nozze nel 1846. Muore, di tisi, nel 1847 all’età di 23 anni. Al suo capezzale ci sono Perrégaux e un altro “ex”, il conte svedese von Stakelberg.

L’intelligenza e la personalità – allora famose – erano sue, ma la celebre bellezza la doveva in buona parte alla tubercolosi. La bellezza “tisica” era terribilmente di moda a metà del 19° secolo – come la malattia stessa, allora epidemica in tutta l’Occidente.

“Tra il 1780 e il 1850 ci fu una sorta di esteticizzazione della tubercolosi che s’intrecciava con la bellezza femminile”, scrive lo storico americano Carolyn Day nel suo libro Consumptive Chic: A History of Fashion, Beauty and Disease”.

La tubercolosi uccide, allora inesorabilmente, ma lentamente e dando a volte in cambio un dono impensato: la bellezza, la carnagione d’un pallore magnifico, le labbra rosse, le macchie di rossore sulle guance e gli occhi scintillanti per le febbri ricorrenti, la vitina “da vespa” per l’inappetenza e i capelli fini e morbidi come la seta. Il tutto per un aspetto “ideale” molto cercato dalla moda e dalla cosmesi dell’epoca.

La tisi uccideva, ma con eleganza, almeno in certi casi. La sua natura infettiva non era ancora conosciuta. Si pensava dipendesse da “miasmi” o da una sorta d’innata predisposizione. Ora sappiamo che è causata da vari ceppi di micobatteri. È ancora molto comune. La malattia è presente – in forma latente – in circa un quarto della popolazione mondiale. Nel 2018, secondo dati OMS, c’erano oltre 10 milioni di casi attivi di TBC – e 1,5 milioni di decessi. Circa l’1% della popolazione mondiale ne viene contagiato ogni anno. Però, anche l’epidemiologia ha le sue mode, e il momento della tisi è passato…

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