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Passa la linea dell’Olanda: il Recovery Fund trasformato in un MES 2 con le solite ‘condizionalità’/ MATTINALE 486

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L’Italia ha poco da cantare vittoria: porta a casa 5 miliardi all’anno per sette anni di contributi a fondo perduto e forse 120 miliardi di prestiti sempre in sette anni. Ma su questi fondi peserà come un macigno il “freno di emergenza” imposto dall’Olanda di Mark Rutte: l’Italia dovrà spendere queste risorse secondo le indicazioni di Bruxelles e dovrà, contestualmente, attuare le solite ‘riforme’. A rischio le pensioni. Rimangono i paradisi fiscali di Olanda, Irlanda e Lussemburgo 

di Economicus

Alla fine della lunga trattativa, durata cinque giorni, è passata la linea dell’olandese Mark Rutte: il leader dei Paesi Bassi è riuscito a ridurre l’intervento a fondo perduto dell’Unione europea da 500 miliardi a 390 miliardi di euro e, soprattutto, ha imposto il cosiddetto “freno di emergenza” per poter congelare l’erogazione dei fondi verso un Paese nel caso in cui non verranno rispettate le riforme che la Ue chiederà ai Paesi che usufruiranno dei fondi del Recovery Fund.

Come era prevedibile, anche se nessuno lo dice, i Paesi del Nord Europa, Olanda in testa (anche i Paesi del Nord Europa che non hanno aderito all’euro), con la regia nascosta della Germania, hanno trasformato il Fondo per la ricostruzione (o Recovery Fund) in una sorta di MES con tanto di condizionalità.

Il “freno di emergenza” imposto dalla Germania e dai Paesi del Nord Europa è un bruttissimo segnale. A parte Quota 100, destinata a scomparire, il vero problema saranno le pensioni future degli italiani: perché è su quelle che l’Unione europea conta di rivalersi nel caso in cui dovessero sorgere problemi.

E’ importante il dato politico: a trasformare il Recovery Fund in un MES 2 non sono stati i ‘Populisti’, ma i Popolari del PPE e i Socialisti del PSE. Mark Rutte – che, lo ribadiamo, è il vero vincitore – è un esponente del PPE; e le sue tesi sono state appoggiate dai Socialisti del PSE. I ‘Populisti’ hanno invece cercato di aiutare l’Italia.

Non è per niente un bell’accordo, quello raggiunto questa notte sul Recovery Fund. Non lo è per l’Italia, che porta a casa un risultato – lo ribadiamo – pieno di condizionalità.

E’ presto in questa fase per fare i conti e per capire come questi fondi – 750 miliardi di euro – verranno ripartiti tra i Paesi europei in grande difficoltà economica. Ma qualche ‘numero’ è possibile desumerlo.

In Italia dovrebbero arrivare circa 10 miliardi di euro all’anno per sette anni di contributi a fondo perduto. Da questi 10 miliardi vanno però tolti i fondi che l’Italia spende ogni anno per restare nell’Unione europea.  Stando alla relazione della Corte dei Conti del 2019, l’Italia contribuisce ogni anno ai costi dell’Unione europea con quasi 4 miliardi e mezzo di euro.

Ma a partire dal 2021, proprio in forza dell’accordo sul Recovery Fund, il costo dell’Unione europea, per l’Italia, dovrebbe aumentare. Per dire sì, infatti, i Paesi che nicchiavano hanno chiesto una riduzione della propria compartecipazione ai costi dell’Unione europea.

Ciò significa che altri Paesi europei – e tra questi l’Italia – dovranno pagare una quota maggiore che ancora dovrà essere quantificata.

La speranza è che all’Italia restino almeno 5 miliardi all’anno per sette anni di contributi a fondo perduto.

Ma quello che infastidisce, in questa storia, è che l’Italia – che non ha più né la sovranità monetaria, né la sovranità sul proprio Bilancio statale – debba andare a sottomettersi a Paesi come l’Olanda, i Paesi del Nord Europa e la stessa Germania, che potranno mettere il naso non tanto nei 5 miliardi all’anno di contributi a fondo perduto, quanto sugli oltre 100 miliardi di prestiti.

Eh già, perché mentre i contributi a fondo perduto, tolti i soldi che l’Italia ogni anno paga per i costi della Ue, sono appena 5 miliardi all’anno, i prestiti, da quel poco che si capisce, potrebbero arrivare anche a 120 miliardi di euro, ovvero 8-9 miliardi di euro all’anno per sette anni.

E sui prestiti – che dovranno essere restituiti – l’Europa imporrà, come già ricordato, le condizionalità già previste nel MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità. E qui cominceranno i problemi. 

Quando arriveranno i primi fondi? Questo è un altro punto ancora da chiarire. Il capo del Governo, Giuseppe Conte, vorrebbe subito un anticipo, per evitare all’Italia di ricorrere al MES.

Ma la sensazione è che l’Europa potrebbe rispondere picche, ribadendo che le risorse del Recovery Fund saranno disponibili a partire dalla Primavera del prossimo anno. Ed è anche logico: prima di erogare i fondi in Europa vogliono capire come finirà con il Coronavirus.

A questo punto le strade per l’Italia sarebbero due: o il ricorso a un nuovo indebitamento sul mercato (non si capisce se sul mercato italiano, provando a far sottoscrivere agli italiani i titoli di Stato, o sul mercato internazionale, aumentando la quota di debito pubblico nelle mani di investitori esteri), o il ricorso al MES.

Che dire di questo accordo? Che per l’Italia è un mezzo disastro. L’Italia potrebbe ricorrere benissimo alla moneta di Stato. Ma il Governo italiano teme che, ricorrendo alla moneta di Stato, che non produce debito, sulla quota di debito pubblico detenuto da soggetti esteri inizino le speculazioni sullo spread.

La cosa più intelligente da fare sarebbe la nazionalizzazione del debito pubblico italiano, per togliere ai soggetti esteri la possibilità di ricatto finanziario. Per nazionalizzare il debito pubblico italiano – che è pari, grosso modo, al 30-40% dell’attuale debito pubblico, circa 700-800 miliardi di euro – lo Stato italiano potrebbe ricorrere al risparmio degli italiani, che è pari a circa tre volte l’attuale debito pubblico (il risparmio degli italiani sfiora i 6 mila miliardi di euro, a fronte del debito pubblico che oscilla intorno a 2 mila e 400 miliardi di euro).

Questa sarebbe stata la mossa più sicura e non ci sarebbe stato bisogno di uscire dall’euro per attuarla. Invece l’attuale Governo italiano ha scelto, ancora una volta, la via dell’ulteriore indebitamento. Questo esporrà l’Italia ad altri ‘ricatti’ finanziari e, soprattutto, alle ‘condizionalità’ del Recovery Fund, che non sono uguali a quelle del MES, che gli somigliano.

Un’altra sconfitta per l’Italia – che è poi la vera, grande sconfitta – è il permanere dei paradisi fiscali nell’Unione europea. Era sembrato che il capo del Governo Conte avrebbe posto la questione. Anche perché i tre paradisi fiscali della Ue – Irlanda, Olanda e Lussemburgo – tolgono ogni anno all’Italia circa 23 miliardi di euro.

Ma la Commissione europea ha fatto capire a chiare lettere che i Paradisi fiscali della Ue interessano tutta l’Europa e che non possono essere messi in discussione. Morale: l’Italia continuerà a perdere 23 miliardi di euro all’anno di introiti fiscali.

In tutto questo c’è una variabile indipendente che, in questa fase, è stata messa da parte: la pandemia di Coronavirus. La ‘filosofia’ del Recovery Fund parte dal presupposto che il virus sia ormai sotto controllo. In realtà, nel mondo non è così, perché al alcuni Continenti continua a creare enormi problemi.

Ma di questo vi parlerà tra qualche giorno un mio amico biologo ormai in pensione come me che, come me, vive a Londra. E che, proprio sulla pandemia in Italia – e soprattutto sulla quasi assenza del virus nel Sud Italia – ha elaborato una teoria che vi anticipo essere interessante.

 

 

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