Lo scontro con armi medievali va in scena in un altipiano desolato e scarsamente popolato. Una zona che fa gola ai cinesi, visto che gli consentirebbe di collegarsi direttamente con il Pakistan attraverso il Kashmir. Ostacolando l’accesso terrestre agli indiani con il resto dell’Asia centrale. Come il conflitto, dalle mazze chiodate, è passato al digitale
di Nota Diplomatica
Le armi “da botta”- mazze ferrate, bastoni chiodati, martelli da guerra e così via – sono strumenti da combattimento obsoleti da tre secoli, anche se sono riapparsi brevemente durante la Grande Guerra, dove figurarono nei feroci combattimenti di trincea, soprattutto tra gli italiani e gli austriaci nel Carso.
Da allora, sono in “servizio attivo” principalmente nei film sugli zombi come “The Walking Dead”, che ha riportato l’attenzione all’utilizzo di mazze da baseball avvolte nel filo spinato. Poi, a metà giugno, armi da botta sono rispuntate in mano a due eserciti importanti – quelli dell’India e della Cina – in combattimenti sul “Tetto del mondo” del Ladakh, il punto più settentrionale del territorio indiano racchiuso tra le catene montuose del Karakorum e dell’Himalaya.
Negli scontri del mese scorso tra le due potenze – entrambe “nucleari” -sono stati uccisi 20 soldati indiani e, secondo indiscrezioni, forse una cinquantina di fanti cinesi. Sono morti in maniera “medioevale”, a colpi di bastoni chiodati, coltelli e perfino sassi. Armi da fuoco non sono state
impiegate: la zona contesa sarebbe demilitarizzata e le pattuglie contendenti girano “disarmate”- o almeno senza fucili e bombe a mano…
In sé il Ladakh non vale praticamente niente: un desolatissimo altopiano, molto scarsamente popolato e con un’economia basata sull’agricoltura di sussistenza. Il freddo e l’aria rarefatta rendono la zona poco attraente per la gente delle pianure. Tuttavia, fa gola ai cinesi. Permetterebbe di collegarsi direttamente con il Pakistan attraverso il Kashmir, ostacolando l’accesso terrestre indiano al resto dell’Asia Centrale e creando una potenziale “via d’invasione” nel caso la Cina volesse tentare la conquista dell’India
Settentrionale.
Ci ha già provato, senza successo, nel 1962, sulla scia dell’occupazione del Tibet. I dissapori tra i due ‘imperi’ sono antichissimi, ma gli ostacoli geografici hanno a lungo reso impossibile darsi seriamente fastidio, fino cioè all’epoca moderna. Con il declino della Russia, Cina e India sono ora
i due poteri che determineranno il destino dell’Asia.
Dopo che i due si sono presi letteralmente a bastonate, pochi giorni fa il terreno della contesa si è spostato sul digitale. Il Governo indiano ha chiuso l’accesso alla rete internet nazionale a 59 “app” cinesi, compresi TikTok e WeChat, due successi mondiali che però presentano il difetto di “fotografare” periodicamente il contenuto della memoria degli smartphone per rimandarlo in Cina…
TikTok, in particolare, ha oltre 200 milioni di utenti in India, il suo più grande mercato estero. Il Ministero della Tecnologia Informatica indiano ha giustificato la mossa dichiarando:
“La compilazione di dati e la profilazione degli utenti da parte di elementi ostili alla sicurezza nazionale e alla difesa dell’India… è una questione di profonda e immediata preoccupazione che richiede misure d’emergenza”.
La chiusura dell’internet indiana – speculare al blocco cinese a molti operatori occidentali – è forse l’indicazione definitiva che l’epoca dell’internet globale e “auto-regolata” sia svolta alla fine. Il passo
dalle mazze chiodate al conflitto digitale è stato sorprendentemente breve.
Foto tratta da Wikipedia