L’attuale pandemia da Coronavirus non ha bloccato i trasporti e non ci sono stati problemi di cibo. Ma l’OMS, da anni, segnala il pericolo di almeno otto pandemie, alcune delle quali molto più pericolose dell’attuale. Sono eventi che vanno considerati potenziando la sanità, assicurando, contemporaneamente, la sovranità alimentare ad ogni Regione. Per questo la Sicilia deve proteggere e potenziare la propria agricoltura, a cominciare dal grano, coltura fondamentale
C’entra l’agricoltura con l’attuale pandemia? Che ruolo sta giocando? E che ruolo potrebbe giocare nel futuro? In questo articolo proveremo a illustrare che nel tempo che stiamo vivendo, caratterizzato da grande incertezza sanitaria ed economica, l’agricoltura dovrebbe diventare strategica. In alcuni Paesi – per esempio in Cina – lo è già. In altre realtà viene totalmente trascurata per dabbenaggine politica: e l’Unione europea è in perfetta linea con questa dabbenaggine politica.
Per ora sono in pochi a parlarne, ma le possibili carestie – che si andrebbero a sommare all’attuale pandemia da Coronavirus – non sono eventi impossibili. Anzi. Chi non si farà trovare pronto a fronteggiare le eventuali carestie con una propria agricoltura forte e organizzata si troverà ad essere due volte penalizzato: dalle pandemie (più avanti illustreremo che quella del COVID-19, o Coronavirus, potrebbe essere solo l’inizio di una stagione pandemica) e dall’assenza di cibo.
Due gli approcci a possibili alle carestie.
Il primo è legato al funzionamento del sistema economico generale: se si fermano tutte le aziende – cosa che fino ad oggi non è avvenuta – c’è il rischio che si blocchi tutto, anche il rifornimento di cibo e di medicinali.
Oggi facciamo i conti con il virus, certo, ma l’acqua, l’energia elettrica, il gas ci sono. Gli alimenti arrivano e i farmaci si trovano. Questo avviene perché funzionano i trasporti. E se si dovessero fermare i trasporti per mancanza di materie prime? Se la carenza di trasporti dovesse bloccare la distribuzione di farmaci?
Questo è un primo problema. Ma c’è un secondo approccio al tema carestie legato strettamente all’agricoltura. Fino ad oggi – soprattutto nell’Unione europea – comunità di circa 500 milioni di abitanti governata da un’oligarchia di ottusi liberisti – l’agricoltura è stata sistematicamente sacrificate agli interessi delle multinazionali che operano nell’industria e nel terziario.
Il CETA – il trattato commerciale internazionale tra Unione europea e Canada è, forse, la manifestazione più eclatante di come dabbenaggine politica e disinteresse per la salute delle persone che vivono in Europa siano i temi conduttori della Ue.
Pur di tutelare gli affari delle grandi industrie europee (soprattutto automobilistiche, ma non solo) e delle multinazionali che operano nei servizi, l’attuale Unione europea non ha esitato a sacrificare gli interessi dell’agricoltura.
Quello che gli ottusi burocrati della Ue – che sono poi coloro i quali comandano – non capiscono è che agricoltura significa cibo. E se fai arrivare da certi Paesi, a profusione, il cibo che gli abitanti di tali Paesi scartano e lo porti nelle tavole degli europei, alla lunga a pagarne le conseguenze sarà prima la salute degli abitanti dell’Europa e poi la stessa economia europea.
Fare capire questi concetti, tutto sommato semplici, ai burocrati europei è impossibile. Inutile provare a spiegare a questi signori che l’arrivo in Europa di prodotti agricoli scadenti, a dazio zero, finisce con il distruggere la stessa agricoltura europea.
L’avevano capito benissimo gli agricoltori della Vallonia nell’autunno del 2016, quando hanno cercato in tutti i modi di far saltare il CETA. Ma, alla fine, non senza il ricorso alla forza da parte della Ue, la Vallonia è stata costretta ad accettare il CETA.
E che dire del grano canadese che, soprattutto a partire dal 2012, invade l’Europa? Si tratta di grano duro e tenero in buona parte maturato artificialmente con il glifosato e che, spesso, contiene micotossine DON. Un grano che non viene dato nemmeno agli animali. Una pioggia di grano estero che sta lentamente ma inesorabilmente riducendo la superficie coltivata a grano duro e a grano tenero in Italia.
Se a questo si aggiunge tutta l’ortofrutta che arriva in Europa dalla Cina e dall’Africa, ebbene, la ‘frittata’ è fatta. Buona parte dell’agricoltura italiana, oggi, è sotto scacco: deve fare i conti con prodotti agricoli di qualità scadente che arrivano dall’universo mondo a prezzi stracciati, grazie al costo del lavoro agricolo che, in alcuni Paesi del mondo, è venti volte inferiore al costo del lavoro agricolo italiano; così, per sopravvivere, molte aziende agricole italiane ricorrono al lavoro nero, che spesso degenera nel ‘caporalato’.
Il risultato è che molti agricoltori abbandonano le aziende agricole. Mentre l’Italia continua a perdere parti importanti della sovranità alimentare.
La pandemia di Coronavirus, però, sta cambiando lo scenario mondiale. Con inevitabili riflessi sull’agricoltura.
Fino ad oggi l’economia mondiale – e soprattutto l’economia dell’Unione europea – si è fondata su due principi: la libera circolazione delle merci e la libera circolazione delle persone.
Con l’esplosione della pandemia di Coronavirus dovrà essere ridotta la libera circolazione delle merci (che inevitabilmente diffondono le patologie virali) e, soprattutto, dovrà essere limitata al minino la libera circolazione delle persone.
E’ stata proprio la libera circolazione delle persone a diffondere nel mondo, nel giro di poche settimane, il COVID-19 o Coronavirus, infezione virale che si è trasformata in pandemia.
In alcuni Paesi del mondo il contatto tra animali e uomo (soprattutto tra uomini e volatili), con il passaggio dei virus dagli animali all’uomo, ha scatenato malattie tremende. Ma fino a quando restavano confinate in aree del mondo ristrette (per esempio in certe zone della Cina) il problema restava locale.
Oggi con la globalizzazione dell’economia non è più così: con la libera circolazione delle merci e, soprattutto, delle persone un microrganismo può dare origine una pandemia.
Questo succede, per esempio, quando un virus, oltre ad essere mortale, è anche molto contagioso: che è quello che è successo con il COVID-19 o Coronavirus.
Siamo in presenza di un caso isolato? Assolutamente no! Il presidente USA Trump ha tagliato i fondi all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Dice che non ha fatto molto per prevenire la diffusione del Coronvirus.
Ci permettiamo di dissentire. Da sei anni o giù di lì l’OMS lancia l’allarme su almeno otto virus che potrebbero dare origine a pandemie. Ce n’è uno, in particolare, del quale si parla poco – il Nipah – che fino ad oggi ha colpito aree del mondo molto limitate e che ha una mortalità elevatissima.
Un’eventuale pandemia di Nipah provocherebbe un’ecatombe!
Cosa si dovrà fare, nell’immediato futuro, per evitare l’esplosione di altre pandemie? Limitare la libera circolazione delle merci e ridurre al minimo, con controlli molto serrati, la circolazione delle persone.
Questo, secondo i canoni dell’economia globalizzata, è una bestemmia: ma sarà lo stesso inevitabile.
Ciò pone due questioni. Il pericolo di nuove pandemie si potrà limitare, ma non eliminare. Anche perché la stupidità umana – cioè l’economia che viene prima della salute – proverà a opporsi alla drastica riduzione della libera circolazione delle merci e delle persone.
Questo significa che vanno messe nel conto altre pandemie. E se l’attuale pandemia – almeno fino ad oggi – non ha bloccato tutta l’economia (e quindi i trasporti di cibo e medicinali), questo potrebbe avvenire non tra cento anni, ma tra qualche anno con l’esplosione di una nuova pandemia.
Per questo è importante avviare un ragionamento sulla sovranità sanitaria (leggere medicinali) e alimentare.
Noi trattiamo solo l’aspetto alimentare. Ebbene, la pandemia di Coronavirus, che per fortuna non ha bloccato i trasporti, ci ha insegnato che ogni Paese – e all’interno di ogni Paese, ogni Regione – dovrà recuperare la propria sovranità alimentare.
Nel caso della Sicilia, bisognerà aiutare e non affossare le aziende agricole. Abbandonare gli agricoltori siciliani oggi indebitati a causa del grano estero, o a causa dell’ortofrutta estera – tutti prodotti che arrivano a prezzi stracciati – significherebbe darsi la zappa sui piedi.
Perché se dovesse arrivare una nuova pandemia più violenta dell’attuale – cosa tutt’altro che remota – la Sicilia deve essere pronta all’autosufficienza alimentare sostenuta dalla propria agricoltura.
Vanno sostenuti gli agricoltori siciliani che producono grano; vanno sostenuti gli agricoltori che producono ortofrutta; vanno sostenuti gli allevatori siciliani che producono carne, latte e formaggi. E vanno anche sostenute le marinerie siciliane.
L’agricoltura della Sicilia e, in generale, del Sud Italia gode, oggi, di un grande vantaggio rispetto all’agricoltura del Nord Italia, che è un parte compromessa (domani racconteremo il perché). Utilizziamo questo vantaggio per non farci trovare impreparati.
Se nel giro di un anno, non di più, la Sicilia non riuscirà a rimettere in piedi la propria agricoltura – a cominciare dal grano, che è fondamentale, come insegna la storia dell’antica Roma! – un’eventuale, nuova pandemia con il blocco dei trasporti potrebbe provocare nella nostra Isola disastri incalcolabili.