Sul Domani d’Italia va un articolo dell’economista siciliano Antonio Piraino che volentieri riprendiamo. Si tratta di un’analisi attende delle condizioni economiche e di Bilancio dell’Italia. Nessun riferimento ideologico: solo numeri. Dove si dimostra che l’Italia non ha affatto bisogno del MES!
di Antonio Piraino
In questi tempi difficili il confronto sulla politica economica, compreso da ultimo il dibattito parlamentare di ieri (21/04/2020), appare sempre più segnato dalla irrilevanza dei “numeri”, scomparsi dai ragionamenti politici, oramai tutti ideologici, o usati con una imperizia che lascia profondamente perplessi. Al riguardo basta ricordare il riferimento di tutti i principali esponenti del Governo a “manovre” di 350 e 400 miliardi di euro relativamente al Decreto “Cura Italia” e “Liquidità”, solo timidamente smentite da esponenti della Banca d’Italia, nel silenzio della stessa opposizione e dei commentatori politici.
Come se 100, 200, 500 miliardi di euro di errore nella stima/previsione, in uno con l’annullamento della variabile tempo (entro 3, 6, 12 mesi?), fossero dettagli da addetti ai lavori di seconda fila! In realtà una politica economica senza “numeri” assomiglia ad una macchina senza tachimetro destinata a sbattere violentemente. L’assenza di numeri ha, così, dominato il dibattito di ieri riducendo l’adesione al MES ad uno stucchevole e inconsistente confronto sulle condizionalità connesse all’attivazione della “misura sanitaria”.
Ed invece una responsabile politica economica dovrebbe “parlare” con i numeri con l’obiettivo di delineare un quadro coerente di previsioni e compatibilità dentro il quale fare scelte chiare. In questa prospettiva i “numeri” da “condividere” sono relativi alle seguenti questioni:
Quanto PIL perderemo
Come “dividere” questa perdita tra cittadini e Stato
Quanto saranno le minori entrate fiscali
Come finanziare il deficit sopra quantificato
PERDITA DEL PIL
Ai fini del nostro ragionamento, in questo momento è sufficiente ancorarsi ad una stima autorevole, come quella fatta nei giorni scorsi dal Fondo Monetario Internazionale, che ha quantificato nel 9% del PIL la contrazione connessa al CORONAVIRUS. Atteso che il PIL 2019 si è attestato su 1.788 miliardi di euro, le perdite in valore assoluto sarebbero 161 miliardi di euro!
COME DIVIDERE LA PERDITA
In un Paese maturo e consapevole il dibattito – di fronte all’enormità della cifra – dovrebbe finalizzarsi su come dividere il danno tra “Stato” e “cittadini”, e al loro interno tra “classi sociali”.
In realtà nessuno affronta questo aspetto e così assistiamo a manovre e ad annunci di manovre, ancora più rilevanti, senza un reale confronto sulle scelte da fare, che ridotte all’osso esigono, appunto, di quantificare il maggior “deficit” e la diminuzione del benessere individuale in termini monetari.
Volendo assumere una posizione “democristiana”, ciò ragionevole ed equilibrata, si può quantificare in un fifty-fifty la divisione del danno.
In altri termini, a fronte di una perdita di 160 miliardi di euro di PIL dobbiamo mettere in conto un deficit aggiuntivo di 80 miliardi di euro a sostegno dei redditi e 80 miliardi di euro di minore benessere/reddito dei cittadini.
A questo deficit vanno aggiunte le risorse necessarie per mobilitare, attraverso il meccanismo delle garanzie, il credito annunciato, stimate in 20 miliardi di euro. Tutto ciò lasciando al momento fuori dal dibattito come condividere la perdita di benessere tra le classi sociali!
MINORI ENTRATE FISCALI
Nessuno ne parla, ma le minori, certe, entrate fiscali sono un macigno che incombe sul Paese. Eppure nessuna quantificazione, nessun accenno.
In una democrazia matura, di fronte a questa evenienza, il Governo avrebbe il dovere di quantificarne la consistenza e proporre subito una manovra correttiva identificando il deficit aggiuntivo.
Stima difficile ma assolutamente necessaria per quantificare il deficit complessivo da finanziare.
Volendo essere ottimisti non meno del 40% della perdita di PIL, cioè 64 miliardi di euro.
IL FABBISOGNO/DEFICIT COMPLESSIVO
Dunque ricapitoliamo. Considerando il deficit 2020 approvato con la legge di bilancio (40 miliardi di euro), la manovra aggiuntiva stimata in 100 miliardi di euro (di cui 25 miliardi di euro già stanziati e quelli prossimi del “Decreto aprile” che potrebbero coprire già adesso tutta la restante parte), le minori entrate di 64 miliardi di euro, il deficit complessivo dello Stato Italiano da finanziare si assesta a 204 miliardi di euro!
E’ questo l’ordine di grandezza del problema italiano.
COME FINANZIARE IL DEFICIT COMPLESSIVO
Come è noto a fine 2019 la BCE aveva annunciato con riferimento al 2020 un Quantitative Easing di 20 miliardi di euro mensili, oltre il controvalore dei titoli in scadenza di ogni Paese.
All’inizio del 2020 veniva comunicava una manovra aggiuntiva di 120 miliardi di euro annui e successivamente, in piena pandemia, un rinnovato “Whatever it take” (tutto quanto occorre) di 750 miliardi di euro.
Senonché in un primo momento non è stato chiaro dalle dichiarazioni del Presidente della BCE, Cristine Lagarde, se i 750 miliardi di euro erano comprensivi dei 360 miliardi di euro già annunciati o aggiuntivi. Dichiarazioni successive di componenti del Comitato Esecutivo della BCE – nello specifico l’italiano Fabio Panetta – hanno sottolineato il carattere “aggiuntivo”, quantificando in oltre “1.000 miliardi di euro” (per la precisione 1.110 miliardi di euro) l’intervento della BCE.
Dunque dovrebbe sorgere spontanea la domanda: a quanto ammonta il QE assegnato all’Italia in base alle regole attualmente vigenti? In estrema sintesi la BCE “nazionalizza”, con margini di discrezionalità mai chiariti del tutto, il QE totale (nel caso attuale 1.110 miliardi di euro) in base al Capital Key (la regola del capitale), cioè alla quota effettivamente versata da ogni singolo Paese nel capitale della BCE.
Tale quota è per l’Italia pari al 16,99% (cioè al 13,82% della quota di capitale dei Paesi Euro, pari all’81,33% del capitale complessivo). In altri termini, nella peggiore delle ipotesi l’Italia ha “diritto” ad un acquisto di titoli (oltre quelli in scadenza) per un ammontare di 186 miliardi di euro (pari al 16,99% di 1.110 miliardi di euro) nel 2020!
Dunque per i numeri ricostruiti – pronti ad ogni approfondimento – oltre ai titoli da rinnovare in mano al mercato, il “buco” da coprire, sempre sul mercato o grazie ad un minimo di discrezionalità della BCE, è pari a 18 miliardi di euro. Sorge pertanto la domanda: un mercato che assorbe oltre 2.000 miliardi di euro di titoli del debito pubblico italiano (al netto del QE) può assorbire una emissione aggiuntiva di 18/20 miliardi di euro pari all’1 per mille?
IL COSTO DEL QE
Un altro aspetto assente dal dibattito è rappresentato dalla circostanza che, per il combinato disposto di complessi articoli contenuti negli statuti della BCE e della Banca d’Italia il costo effettivo dei titoli di Stato acquistati sulla base del QE è significativamente inferiore a quello stimato in base ai tassi di rendimento presenti sul mercato. Meno della metà!
Quindi attualmente non più dell’equivalente del tasso di rendimento dell’1%.
MES E INTERESSI DEL PAESE
Il ragionamento sin qui sviluppato – un semplice schema cognitivo di analisi dei trend e delle scelte da compiere – fa, infine, emergere tutta la pretestuosità di un dibattito politico limitato alla possibilità o meno di utilizzare la “misura sanitaria” introdotta in fretta e furia nell’iter relativo all’approvazione delle profonde modifiche definite nel corso del 2019 per lo Statuto del MES.
Il cuore delle decisioni che attengono al MES riguarda due specifici aspetti:
se le modifiche concordate dall’Eurogruppo del 13 giugno del 2019 (e dettagliatamente illustrate nel dossier n.187 del Senato) sono compatibili con gli interessi italiani;
se le ulteriori modifiche connesse al Coronavirus, di cui non c’è alcuna traccia scritta, hanno senso atteso che il MES è stato pensato non per gestire crisi globali ma “shock asimmetrici” di singoli Stati.
Con riguardo al punto a) basta richiamare l’imbarazzante estensione dei poteri del Direttore Generale del MES, che per i meccanismi di nomina non può essere eletto senza il consenso congiunto della Francia e della Germania per cogliere i rischi ai quali ci sottoporremo in caso di firma. Perché una cosa deve essere chiara: non stiamo discutendo di introdurre solo le modifiche relative all’emergenza sanitaria ma tutto il “pacchetto” già deciso a giugno. Un vero e proprio “cavallo di troia”, un’autentica operazione di distrazione di massa!
Con riguardo al punto b) non si tratta di valutare o meno a priori il suo possibile utilizzo quanto piuttosto il “suo senso”, atteso che non appaiono chiarite in nessun documento le modalità di finanziamento dei prestiti connessi all’esigenza sanitaria, con il possibile paradosso che l’Italia si trovi, da un lato, prenditrice di 36 miliardi di euro (2% del PIL italiano) e, dall’altro, a versare ulteriori quote del capitale sociale del MES sottoscritto per importi anche superiori!
CONCLUSIONE
Dunque forza BCE! MES: ne riparliamo a crisi pandemica superata!
E intanto lavoriamo ad un Recovery Fund che non necessariamente implica una perdita di sovranità fiscale da parte dei Paesi che dovessero accedere ad un prestito finanziato con titoli europei collocati sul mercato.
QUI L’ARTICOLO PUBBLICATO SUL DOMANI D’ITALIA
Foto tratta da Il Primato Nazionale