E’ passata sottotono una riunione sull’emergenza Coronavirus che si è tenuta sabato scorso ad Addis Abeba. E’ venuto fuori che l’Africa non è pronta a gestire una eventuale emergenza Coronavirus per carenza di diagnosi e di strutture cliniche. Stilato un elenco dei “Paesi a più alto rischio”. E’ evidente che sullo sbarco dei circa 200 migranti della Seawatch il Governo Conte bis si sta assumendo una bella responsabilità
E’ passata un po’ in sordina, in una Italia alla prese con l’emergenza Coronavirus, la notizia di una importante riunione che si è tenuta sabato scorso in Etiopia, e precisamente nella sua capitale, Addis Abeba. Il tema, a ben vedere, ci riguarda da vicino: si è parlato, infatti, di Covid19, nome scientifico dell’ormai famigerato Coronavirus. A convocare “L’Emergency meeting on the Coronavirus desease outbreak” (Riunione di emergenza sullo scoppio della malattia da Coronavirus), l’Unione dei Paesi Africani che ha riunito i ministri della Salute di quel Continente e i rappresentanti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Al termine della riunione, un comunicato stampa (che si legge sul sito del World Health Organization -Oms in italiano) dai toni preoccupatissimi: l’Africa non è pronta a gestire una eventuale emergenza Coronavirus né da un punto di vista diagnostico, né da un punto di vista delle strutture cliniche. I sistemi sanitari di quei Paesi sono troppo deboli, il Pil pure. Una combinazione esplosiva. Per questo si chiede un investimento massiccio per dotare i Paesi africani di tutto il necessario per affrontare questa ennesima sfida: la comunità internazionale deve mobilitarsi immediatamente. Questa la voce che si è alzata dalla capitale etiope.
E in attesa di questa mobilitazione, che ancora non c’è, come è la situazione?
I casi di cui si è venuti a conoscenza sono due: uno in Egitto e uno, reso noto ieri, in Algeria (pare si tratti di un italiano dipendente dell’Eni). Sei casi, ha fatto sapere l’OMS, sono ancora in attesa dei risultati di laboratorio, ma solo 210 persone sono state sottoposte al test. Una goccia nell’oceano. Quanti Paesi africani hanno un sistema sanitario in grado di monitorare la popolazione?
Una domanda, la cui risposta è facilmente intuibile, che si sono posti in molti, in questi giorni negli ambienti scientifici europei. Uno studio pubblicato il 19 febbraio scorso su Lancet, ad esempio, ha stilato un elenco dei Paesi a più alto rischio, che sono Egitto, Algeria e Sudafrica, seguiti da Nigeria e Etiopia. Marocco, Sudan, Angola, Tanzania, Ghana, Tanzania e Kenya.
Anche l’Ispi, l’Istituto politico di studi internazionali, ha concluso che nessuno tra gli Stati del Continente sarebbe pronto a gestire la diffusione del virus: nella regione africana, dicono gli esperti, le risorse per strumenti diagnostici, per allestire sale di quarantena per i casi sospetti negli aeroporti e negli ospedali, o per rintracciare i contatti dei casi confermati, come raccomandato dall’OMS, sono scarse.
Ma perché l’Africa è una sorvegliata speciale? E perché a noi interessa da vicino? La prima risposta parla di business: la Cina è il principale partner commerciale dell’Africa e circa 10mila aziende, secondo la rivista Forbes, lavorano sul suolo africano. I cinesi stanno attualmente operando in tutto il Continente africano. Il numero preciso di lavoratori cinesi in Africa non è conosciuto, ma si parla di cifre che superano di gran lunga il milione.
Anche ricercatrice italiana Vittoria Colizza, dell’Istituto francese di sanità e ricerca medica, sull’Africa è stata chiara: più a rischio sono quegli Stati che hanno rapporti economici con la Cina, Egitto, Algeria e Sudafrica, ma per via di fattori sia politici che sociali e sanitari, ci sono Stati che non potrebbero offrire molte garanzie: “Si tratta ha specificato la ricercatrice – di Nigeria, Etiopia, Sudan, Angola, Tanzania, Ghana e Kenya”.
“In questi Paesi sono presenti molte aziende cinesi, impegnate soprattutto nella costruzione di nuove infrastrutture o nelle attività commerciali che il ‘dragone’ asiatico ha implementato negli ultimi anni. Considerando che i governi interessati non hanno interrotto i voli da e per la Cina, l’allerta potrebbe diventare sempre più concreta in futuro”.
“La relazione tra i voli aerei con la Cina e la possibilità di contagio in Africa è molto forte – ha spiegato al Giornale Vittoria Colizza -. La metà è assicurata da Ethiopian Airlines, che non ha cessato i voli”.
Per la Sicilia e per l’Italia queste notizie sono molto importanti. Infatti, mentre la comunità scientifica internazionale guarda con il fiato sospeso all’Africa, l’Italia si prepara a fare sbarcare migranti che arrivano da quel Continente, ovviamente in Sicilia, dove a quanto pare ci sarebbero i ‘porti più sicuri’ del Mediterraneo.
Una bella responsabilità, non c’è che dire. Parliamo della Seawatch, con a bordo 194 migranti, che ha avuto l’ok da parte del governo italiano di sbarcare a Messina. Una decisione che ha comprensibilmente mandato su tutte le furie il Presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci:
“Dal governo regionale siciliano è arrivato finora un responsabile atteggiamento rispetto alla gestione unitaria di questa emergenza. Ma serve reciprocità“, ha detto il Presidente della Regione siciliana. “Avevo chiesto ieri e ribadisco oggi: in un contesto di allarme come quello attuale, – ha continuato- suona come una sfida al popolo siciliano pensare di fare sbarcare altri 194 migranti in Sicilia. Una quarantena a bordo è indispensabile o, se le autorità ritengono che la nave non lo consenta, si interloquisca con le autorità competenti e si diriga in altri porti“.
Da quello che si capisce il governo Conte bis andrà avanti, assumendosi, come già accennato, una bella responsabilità, alla luce delle notizie, tutt’altro che tranquillizzanti, che arrivano dall’Africa. E a proposito di responsabilità, ieri sera alle 22 e 15, il presidente Musumeci ha diramato il seguente comunicato stampa:
“Nella caserma Gasparro Bisconte di Messina sono emerse rilevanti criticità sotto il profilo igienico-sanitario, in merito all’accoglienza di nuovi migranti”.
Lo scrive il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, in una lettera inviata al premier Giuseppe Conte, alla luce del paventato sbarco nella città dello Stretto di circa 200 migranti.
Nella missiva inviata a Palazzo Chigi, il governatore della Sicilia rileva che “il Centro di primo soccorso ed identificazione, destinato per legge ad una permanenza breve, limitata all’identificazione dei migranti, appare strutturalmente incompatibile con l’esigenza del prolungato regime di isolamento a cui dovrebbero essere sottoposti i cittadini non comunitari in arrivo”.
Musumeci ha quindi esortato il presidente del Consiglio dei ministri “a condividere il senso di responsabilità nei confronti della Comunità dei siciliani, anche in ragione dell’emergenza nazionale che sta impegnando tutte le nostre strutture sanitarie nella complessa azione di contrasto alla epidemia Covid-19”.
Ognuno, a questo punto, si assumerà le proprie responsabilità.
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