La conquista del Sud Italia da parte dei piemontesi va in scena con la regia dell’Inghilterra (complice la pavidità dell’Europa di quegli anni, Francia in testa), con il ruolo centrale svolto da massoneria, mafia e camorra. Che non a caso, dal 1860 in poi, si ritroveranno ancora insieme in tante pagine oscure della storia italiana, compresa la storia repubblicana
di Giuseppe Scianò
Napoli, 21 agosto 1860
La protesta agli Stati Europei da Francesco II è destinata a cadere nel vuoto. Ma ha comunque un suo valore politico, giuridico e morale. Denunziate le aggressioni militari dello Stato Sabaudo.
Francesco II aveva ormai ben capito quali e quanti giochi sporchi stesse facendo lo Stato Sabaudo e, a pochi giorni di distanza dallo sbarco dell’Armata Anglo-piemontese-garibaldina-ungherese-sabaudo-mafiosa e camorrista in Calabria, aveva deciso di inviare una nota diplomatica di protesta contro le aggressioni, che il Sovrano del Piemonte, nonché suo cugino, Vittorio Emanuele II, aveva compiuto e continuava a compiere contro il Regno delle Due Sicilie, con l’appoggio dell’Impero di Sua Maestà Britannica e con l’uso dell’Armata Garibaldina ormai ingigantita, anche perché comprendeva – fra gli altri – l’intero corpo dei mercenari della Legione Ungherese, migliaia di soldati dell’Esercito Piemontese in… missione speciale, nonché mercenari di tutti i colori e di tutto il mondo… o quasi!
Era del resto risaputo che il Regno di Sardegna, da tempo, aveva messo in moto una mobilitazione generale per approntare l’esercito più numeroso che i Savoia avessero mai potuto mettere in campo nella loro storia. Nessuno osava indagare, ovviamente, sulle spregiudicate interferenze – di cui abbiamo parlato – di servizi segreti, delle sette massoniche e di quant’altro.
Nel mirino del Governo di Torino e del Governo di Londra il principale obiettivo era la conquista del Regno delle Due Sicilie. E la sua riduzione in colonia interna dell’istituendo Regno d’Italia.
Nell’ambito di questa mobilitazione era, altresì, previsto che il Governo di Torino (in esecuzione del progetto britannico più volte citato e diretto di persona dall’instancabile ambasciatore e plenipotenziario sir Hudson) allestisse una specifica spedizione che invadesse, occupasse e conquistasse, con il pretesto della necessità di attraversarne il territorio, anche le due importantissime regioni dello Stato Pontificio delle Marche e dell’Umbria. Con la riserva, ove possibile, di marciare anche su Roma per spodestare Papa Pio IX.
Il tutto ovviamente senza alcuna formale dichiarazione di guerra. E con l’arrogante e pretestuosa scusa che tutto fosse consentito ai Piemontesi in quanto questi avevano asserito ed asserivano di volere liberare i popoli del Regno delle Due Sicilie da quel tiranno straniero e sanguinario che si chiamava appunto Francesco II di Borbone. Ed anche dall’oppressione dello Stato Pontificio di Pio IX.
Gli Stati Europei hanno troppo timore del Governo di Londra per opporsi alla «conquista» in pieno svolgimento.
Il Re delle Due Sicilie aveva inviato contemporaneamente istruzioni ai suoi rappresentanti diplomatici all’estero, affinché potessero attivarsi immediatamente per illustrare meglio ai Governi Europei – amici e non – i motivi per i quali egli stesso aveva desistito dal difendere ulteriormente la Sicilia dall’aggressione e dall’invasione Anglo-piemontese-garibaldina. Una desistenza che non significava abbandono o rinunzia ma solo il trasferimento strategico della resistenza in altra parte del Regno delle Due Sicilie.
È in questo documento che Francesco II trovò il coraggio di denunziare pubblicamente (e non è poco…) il fatto che la Gran Bretagna avesse aiutato concretamente e senza troppi infingimenti l’impresa garibaldina. Ed accusò la Francia di non essersi a sua volta opposta a tanta aggressione, nonostante gli accordi e le intese con il Governo Duosiciliano.
La diplomazia internazionale, a stragrande maggioranza, ascoltò con rispetto e spesso con condivisione le ragioni della protesta di Francesco II, ma nessun Governo trovò a sua volta il coraggio di mettersi contro gli interessi e le trame del Governo di Sua Maestà Britannica. Il Governo, cioè, che, per tutto il secolo XIX, rimaneva il più autorevole, il più potente ed il più… irascibile in Europa e nel mondo.
Le ragioni addotte da Francesco II ed anche il fatto che questi avesse detto la verità servirono non già a ripristinare pace e legalità nel territorio italiano, bensì ad accelerare la caduta (e la riduzione in colonia di sfruttamento) del Regno delle Due Sicilie.
La resistenza, prima, e la guerra di liberazione, dopo, faranno pagare cara al Regno Sabaudo la «conquista del Sud» con i relativi massacri.
Per il momento, pertanto, la marcia trionfale dell’armata anglo-piemontese-garibaldina e camorristico-mafiosa poteva proseguire indisturbata. Vedremo, comunque ed in modo sintetico, cosa sarebbe successo nei giorni, nei mesi e negli anni immediatamente successivi.
I conquistatori Piemontesi, i loro mercenari, i generali traditori ed i quisling non avranno, infatti, digestione, né sonni tranquilli, né vita facile per tutto il decennio seguente. Ed anche successivamente.
Non basteranno – e lo vedremo – i metodi nazisti ante litteram adottati dal Governo del nuovo Regno d’Italia a fermare la resistenza e la lotta di liberazione nazionali, portate avanti dai Popoli del Sud (Popolo Siciliano compreso e spesso in prima linea). I quali, a loro volta, conteranno oltre un milione di vittime nei combattimenti e nelle rivolte alle quali si devono aggiungere, con l’onore delle armi, le migliaia di valorosi soldati deceduti per le sofferenze, per gli stenti, per le decimazioni subite, negli orrendi campi di concentramento e di sterminio, istituiti dal Governo Italiano nel Settentrione. E dei quali, il più tristemente famoso, ma non l’unico, rimane la «fortezza di Fenestrelle».
Monteleone, 24 agosto 1860. Il Generale Duosiciliano De Sauget riferisce della demoralizzazione generale delle truppe rimaste nelle file.
Torniamo sul fronte calabro e vediamo come fosse possibile andare, vergognosamente, peggio di quanto non si fosse andati fino a quel momento. Ovviamente per il Regno delle Due Sicilie.
Il Generale Fileno Briganti, sempre in combutta con il nemico, si era tenuto costantemente distante da tutta la linea dei probabili scontri armati. Ed aveva anzi reso del tutto inoffensivo il proprio contingente militare, scompaginandolo il più possibile e trascinandolo a destra e a sinistra. Un contingente come ben sappiamo dotato di artiglieria pesante e mai usato al momento opportuno contro l’esercito invasore.
Ad un certo punto il Briganti cercò pure di tagliare la corda… Sarà scoperto e giustiziato sommariamente dai suoi stessi soldati che avevano ben capito da che razza di traditori fosse guidato l’Esercito Duosiciliano. In Calabria, come altrove.
Il Generale Giuseppe Ghio, a sua volta, riuscì a realizzare il piccolo piano di fuga che aveva preparato da tempo. Quello cioè di arrendersi al nemico senza combattere. Un’ottima credenziale, questa, per un personaggio ambiguo e contraddittorio. Aveva evitato inoltre accuratamente che i propri soldati potessero combattere o comunque procurare danni al nemico.
Ne riparleremo.
Il Generale Caldarelli fece qualcosa di simile. Appena trovò il momento giusto, andò a consegnarsi direttamente a Garibaldi. Buon per lui…
Tutta questa serie di tradimenti si compiva, lasciando al nemico cannoni, armi di ogni genere, vettovagliamenti, masserie, fortezze, ecc. Insomma: era una vergogna! E, diciamolo francamente: vergogna per i traditori e per i perdenti, ma vergogna anche per i vincitori che traevano vantaggi dai risultati delle lunghe, pluriennali, abili e spregiudicate azioni di demolizione, di corruzione, di spionaggio, di congiure e di opere di disgregazione morale e politica, messe in moto e dirette nella rispettiva attuazione persino dagli stessi ministri del Governo di Londra, in prima persona.
I maggiori esponenti della Massoneria e delle varie sette filo-inglesi e filo-sabaude fanno la loro parte che non sarà affatto secondaria. La delinquenza organizzata (con la camorra in testa), gli inviati e gli agenti segreti Inglesi e quelli Piemontesi, unitamente ai cospiratori di professione, faranno a loro volta quello che dal 1815 in poi avevano sempre fatto. Questi ultimi infatti si erano infiltrati nello Stato Duosiciliano ad ogni livello e, soprattutto, nel Governo Costituzionale e negli uffici della Corte del giovane ed inesperto Re Francesco II, nonché nel parentado di Casa Borbone.
È una storia che si ripete e che noi siamo, a nostra volta, costretti a riesumare continuamente (aggiornandone caso per caso i tratti essenziali).
In tanto ignobile contesto di gente tutt’altro che raccomandabile (con pochissime eccezioni) il Maggior-Generale Ludovico De Saguet, inviato in Calabria con funzioni ispettive, mandò a Napoli il seguente dispaccio:
«Sbandamento totale delle due brigate Melendez e Briganti. Quantità di ufficiali appartenenti alle dette brigate sparsi sulla costa, attendendo imbarco. Un migliaio di soldati degli stessi corpi sbandati riuniti a Pizzo per lo stesso scopo. Demoralizzazione Generale del resto delle truppe rimaste nelle file».(1)
Il De Sauget non parla ovviamente dei traditori (né dei tradimenti) che anche a Napoli la facevano da padroni e nella cui schiera egli stesso sarebbe entrato a pieno titolo, dopo poche settimane…
Dal dispaccio si evince però che le truppe, seppur demoralizzate, non se la erano data a gambe levate, così come avevano invece fatto gli ufficiali di alto grado, già appattati con il nemico.
Napoli, 24 agosto 1860.
Lo zio Leopoldo, Conte di Siracusa, si schiera apertamente con i Piemontesi ed invita (in modo demagogico ed ipocrita) con una lettera aperta il nipote Francesco II ad andare via da Napoli.
È una pugnalata alle spalle del giovane Re, che attraversa uno dei momenti più difficili della propria esistenza. La lettera peraltro viene pubblicata dai giornali prima ancora che Francesco II l’abbia letta. Questa iniziativa mira ad incoraggiare l’azione dei cospiratori filo-sabaudi e quella dei doppigiochisti che vogliono fare terra bruciata intorno al Re Francesco.
Dietro le quinte non mancano certamente i soliti agitatori dei Governi di Torino e di Londra, che contano di approfittare di una eventuale assenza dalla capitale del Regno delle Due Sicilie di Francesco II, per strumentalizzare l’apparente vacatio del trono di Napoli (sarebbe più esatto dire l’assenza fisica del Re dal Palazzo Reale), sempre nei confronti della diplomazia internazionale, per inventare una giustificazione all’imminente insediamento a Napoli di due grossi usurpatori.
Il primo usurpatore è Garibaldi, che si insidierà come Dittatore dell’Italia Meridionale… Il secondo è invece Vittorio Emanuele II, che già, molto sfacciatamente, si fregia del titolo di Re d’Italia e che, a novembre, si insedierà come tale a Napoli, destituendo di fatto e di diritto il Dittatore Garibaldi.
Insomma: la tragicommedia della conquista del Sud è destinata a protrarsi ancora per molto tempo.
Documento n. 18. Il Bollettino di Garibaldi.
Palmi (Calabria). Con il bollettino del 25 agosto 1860 Garibaldi si vanta di marciare trionfalmente attraverso la Calabria. Non dice però che il merito maggiore va ai traditori… E agli Inglesi.
Dopo il tradimento degli alti ufficiali della Marina del Regno delle Due Sicilie (letteralmente comprati dagli agenti Piemontesi e da quelli Inglesi) che bloccavano le rispettive navi da guerra tenendole molto lontane dalle imbarcazioni dei Garibaldini, diventa uno scherzo, per l’Eroe dei Due Mondi, attraversare lo Stretto di Messina e sbarcare in Calabria. Qui al tradimento degli ufficiali di Marina si aggiunge il tradimento degli alti ufficiali dell’Esercito Duosiciliano. Garibaldi quindi ha ben poco di che vantarsi per il fatto che la propria marcia non incontri ostacoli. Di lì a poco sarà, però, smentito, in quanto troverà le popolazioni del Sud, donne comprese, in piena rivolta antigaribaldina e antipiemontese.
1) T. Battaglini, Il Crollo Militare del Regno delle Due Sicilie, vol. I, pag. 66. Vedi, sullo spe- cifico argomento, il contenuto intero del § 3 del cap. IX di Salvo Di Matteo, Quando il Sud fece l’Unità d’Italia, Arbor, Palermo 2011, pagg. da 163 a 173.
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