In Sardegna puntano a valorizzare il pane Casarau. In Sicilia, con il via vai di navi cariche di grano duro estero, non abbiamo molte alternative. La prima cosa da sapere è che cosa possiamo trovare nel pane, preparato magari con i “miglioratori”. E allora? E allora il pane prepariamolo in casa come si faceva una volta!
Riprendiamo questo articolo del quotidiano on line della Sardegna, sardiniapost.it su uno dei prodotti tipici di questa bellissima isola: il pane Carasau. Lo facciamo perché questo articolo ci fa riflettere sul pane che portiamo ogni giorno sulle nostre tavole. O sul pane che troviamo nei ristoranti. O, ancora, sulle pizze e sulla rosticceria (che nel Sud Italia è moto diffusa).
Ma leggiamo l’articolo di sardiniapost.it:
“Rendere efficiente e sostenibile la produzione artigianale di pane Carasau, sfruttando le nuove tecnologie informatiche ed elettroniche proprie dell’Industria 4.0: è l’obiettivo del progetto Iapc, acronimo che sta per ‘Ingegnerizzazione e automazione del processo di produzione tradizionale del pane Carasau mediante l’utilizzo di tecnologie Iot’, che coinvolge i ricercatori di quattro dipartimenti dell’Università di Cagliari”.
INNOVAZIONE E ARTIGIANALITA’ – “L’idea alla base dell’iniziativa coordinata da Alessandro Fanti, del dipartimento di Ingegneria elettrica ed elettronica – prosegue l’articolo – è integrare le innovazioni prodotte dalla comunità scientifica con le conoscenze e le competenze della realtà produttiva regionale senza perdere l’artigianalità del prodotto”.
“Più nel dettaglio – spiega Fanti, responsabile scientifico del progetto – puntiamo a riprogettare la produzione del pane Carasau a partire dalla caratterizzazione chimica degli ingredienti sino ad arrivare al delicato processo di cottura, alle tecniche di confezionamento e alla gestione e stoccaggio in magazzino. Il progetto proporrà inoltre l’utilizzo di accurati modelli matematici e di metodologie di calcolo che consentiranno la riduzione del consumo di energia per unità di prodotto e dei costi associati. Non solo. Inserendo nei processi di produzione del pane carasau nuove tecniche di gestione e tecnologie dell’informazione e comunicazione (Ict) e Internet of things (Iot), con particolare riguardo ai sistemi di tracciamento ottici e a radio frequenza – sottolinea il ricercatore – contiamo di ottenere una caratterizzazione più accurata della filiera produttiva dalle materie prime ai semilavorati, garantendo così una maggiore qualità del prodotto finale”.
Per la cronaca, il progetto del pane Carasau durerà di 36 mesi ed è finanziato dal Fondo per la crescita sostenibile “Agrifoof Pon I&C2014-2020” con un importo di quasi 5 milioni di euro (oltre 2 milioni di euro pertinenza dell’Università di Cagliari).
Questo articolo dimostra l’amore dei sardi verso le proprie produzioni e, in particolare, verso il grano. Non che in Sicilia manchino le iniziative per valorizzare il pane (pensiamo al Micromuseo Immateriale del Grano e del Pane): manca, invece, l’attenzione per il grano con il quale in Sicilia viene preparato il pane.
Proprio ieri abbiamo ricordato che la Sicilia e la Puglia sono letteralmente invase da navi cariche di grano duro estero. E questo ci deve fare riflettere sul pane che arriva sulle nostre tavole.
Riflettere sul pane che mangiamo ogni giorno è importante.
Riprendiamo, adesso, un nostro articolo di qualche anno fa.
IL PANE: INFORMAZIONI ASSENTI – Che pane ci fanno mangiare, oggi? L’offerta è tanta, le garanzie sono invece poche. Che farine usano i panifici dove acquistiamo ogni giorno il pane? A parte casi rari, le informazioni sono più che carenti. Certo, non mancano i negozi – è il caso della Sicilia – dove trovare particolari tipi di pane. Ma, lo ribadiamo, sono casi rari.
Perché succede questo? Per la presenza di semilavorati che vengono utilizzati al posto del lievito naturale. Cosa sono i semilavorati? Prodotti chimici dei quali noi consumatori, nella stragrande maggioranza dei casi, non conosciamo l’esistenza. Sostanze chimiche la cui presenza, lo ribadiamo, non compare nemmeno nelle etichette del pane confezionato.
A cosa servono i semilavorati? A fare in modo che il pane trattenga l’acqua: così il pane pesa di più (elemento non secondario, visto il costo del pane). In più, proprio grazie alla presenza di acqua, il pane ‘invecchia’ in tempi rapidi.
Chi ha vissuto la propria infanzia nei piccoli centri della Sicilia e del Sud ricorderà certo la differenza tra il pane del passato – del suo passato in un piccolo paese – e il pane che acquista oggi. Il pane del passato era preparato con il lievito naturale, il pane di oggi…
Il lievito naturale ha i suoi tempi, che spesso non sono quelli di un panificio di città. Il pane preparato con il lievito naturale deve, per l’appunto, lievitare. I tempi variano da 24 a 48 ore. I costi di produzione sono più alti e bisogna lavorare la notte.
I MIGLIORATORI – Qui entrano in scena i “miglioratori”.
“Con il termine miglioratori – leggiamo su Ambiente Bio – si intendono gli additivi miscelati con i prodotti da forno: l’acido sorbico usato come conservante (E200), l’acido ascorbico (E300) utilizzato come antiossidante, il talco che funge da anti agglomerante per assorbire l’acqua, ma anche l’acetato di potassio E262, l’acido propionico E261, l’acido acetico E260 e tanti altri ancora. Additivi che possono essere di origine chimica, naturale, vegetale e anche animale: rendono il panetto pronto per essere infornato in tempi brevissimi, grazie a una lievitazione rapida che dura al massimo tre ore”.
E così, senza saperlo, andiamo ad acquistare il pane e portiamo sulle nostre tavole pane ricco di queste sostanze che finiscono nel nostro organismo!
E qui arriva la nostra bella Unione Europea, quella del CETA, cioè dell’accordo commerciale con il Canada che ci costringerà a mangiare prodotti a base di grano duro canadese. Cosa dice la ‘Grande’ UE? Ecco il Regolamento n. 1169/2011.
Cosa prevede tale Regolamento? Dà la possibilità ai produttori di non informare i consumatori circa la presenza di additivi o enzimi alimentari se utilizzati come coadiuvanti tecnologici. Detto in soldoni, non c’è bisogno di indicare nelle etichette la presenza di queste sostanze chimiche.
Per carità: quando acquistiamo il pane al panificio è chiaro che non possiamo sapere nulla di tutto questo. Ma continuiamo ad essere non informati acquistando anche il pane confezionato.
Morale: quando mangiamo il pane non sappiamo cosa stiamo ingerendo nel nostro organismo.
Certo, ci sono i fornai fidati. E se non abbiamo questa opportunità? Possiamo sempre provare a fare il pane in casa. Naturalmente con il lievito naturale o lievito madre. (QUI CI SPIEGANO COS’E’ IL LIEVITO NATURALE).
Che fare, allora? Scegliamo un panificio di fiducia. O, in alternativa, il pane prepariamolo in casa. Avendo cura di scegliere le farine.
Oggi, per la scelta delle farine, abbiamo un vantaggio: grazie alle analisi disposte da GranoSalus e da I Nuovi Vespri, sappiamo quali sono quello che non contengono glifosato (COME POTETE LEGGERE QUI ) (E COME POTETE LEGGERE ANCHE QUI).
Buon appetito!
Sopra, un’immagine di un ottimo pane siciliano fatto in casa
QUI L’ARTICOLO DI AMBIENTE BIO
DOVE ACQUISTARE IN ITALIA LA PASTA SENZA GLIFOSATO E SENZA MICOTOSSINE
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