Come abbiamo raccontato nella puntata precedente, Garibaldi e i garibaldini sono sbarcati in Calabria. Siamo nell’Agosto del 1860. A dar manforte agli invasori ci sono gli inglesi e gli esponenti delle mafie locali. E ci sono, soprattutto, gli alti ufficiali Duesiciliani corrotti e traditori che si sono venduti ai Savoia. In Calabria, però, succede un fatto che dimostra il coraggio dei calabresi e di un pugno di soldati Duosiciliani che si rifiutano di tradire… Mentre Garibaldi e i garibaldini se la fanno sotto!
di Giuseppe Scianò
I Garibaldini vengono accolti male
e sono considerati «invasori» da respingere
Napoli, 20 agosto, rissa fra bersaglieri Piemontesi e soldati Duosiciliani.
«La popolazione si mostra subito ostile alla vista dei Garibaldini, che si presentano con razzie di bestiame e saccheggi di vettovaglie».
Così scrive in proposito Antonio Pagano, il quale, dopo avere parlato di alcuni fattacci militari tipici di quei momenti, così continua:
«In Basilicata, a Rionero, a Melfi a Corleto Pertica, si registrano sollevazioni popolari contro le nuove autorità, favorevoli ai Piemontesi».(2)
Come abbiamo già accennato, la Flotta Sabaudo-piemontese, agli ordini dell’Ammiraglio Persano era ormeggiata nel porto di Napoli ed ospitava migliaia di bersaglieri. Era, questo, un gravissimo abuso. Tanto più che i militari Piemontesi si comportavano con arroganza a Napoli, come se fossero stati i padroni.
Il giorno 20 agosto, però, ad alcuni di loro andò male. Nel fare propaganda a favore di Vittorio Emanuele II, infatti, in un primo momento, vennero a lite verbale e, poi, passarono alle vie di fatto con un folto gruppo di soldati Duo-siciliani, fedeli al loro Re.
Risultato? I Piemontesi vennero malmenati, pesantemente. Intervenne la polizia (Duosiciliana). E questa punì severamente soltanto i soldati Duo- siciliani, appunto… (fonte della notizia: Antonio Pagano).
È appena il caso di ricordare che la polizia Duosiciliana dipendeva direttamente dal Ministro doppio-giochista (e traditore) Liborio Romano, contemporaneamente filo-garibaldino e filo-cavourriano… e, soprattutto, garante della camorra, già da tempo mobilitata.
Dall’Inghilterra… con simpatia.
Messina, 20 agosto 1860. Arriva il piroscafo «Queen of England».
Cesare Cantù (3) così ci descrive alcuni aspetti della partecipazione britannica all’impresa garibaldina.
«Largamente vi si sovveniva dall’Inghilterra. Garibaldi vi comprò quattro vaporiere: Amsterdam, Elvezia, Belzunce, The London. L’ultima della quali per duecencinquantamila lire; per quattrocentosessantamila un battello da ottocento tonnellate. Vennero a lui i colonnelli Dunne e Forbes, i capitani Pears e Styles. I giornali ministeriali aprivano liste di sottoscrizioni per sussidi, ed eccitavano i prodi e i curiosi a correre in Sicilia, e Palmerston alla Camera dei Comuni diceva non poter impedire chi volesse visitare l’Etna. Garibaldi, accettando l’offerta d’alquante navi, al Parker, armatore di Liverpool, scriveva:
“Ringrazio l’Inghilterra della simpatia che mostra per la nostra causa”.
Il 20 agosto da Liverpool giungeva a Messina il vapore Queen of England, con 2.200 carabine americane, 80 Inglesi, 1.150 del sistema Enfield, 12 cannoni grossi, 14 da 12, 16 rigati, 76 casse di bombe, 10 di revolver, 40 di pistole d’arcione, 2.500 tende».
Come si vede, alla spedizione garibaldina non mancavano mai né le armi, né i mercenari, né l’assistenza, né le coperture politiche e militari del Governo di Sua Maestà Britannica. E neppure una certa dose di humor. Come avviene allorché Lord Palmerston, accusato da qualche parlamentare della Camera dei Comuni di aver inviato troppi volontari e troppi mercenari in Sicilia per aiutare il Dittatore Nizzardo, rispondeva candidamente di non poter impedire, a chiunque lo volesse, di visitare… l’Etna.
A questo punto degli eventi – e soprattutto dopo aver constatato che il progetto di conquista di tutto il territorio del Regno delle Due Sicilie, marcia a pieno ritmo per l’annessione incondizionata al costituendo Regno d’Italia, sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II di Savoia escludendo ogni altra ipotesi – Napoleone III, imperatore dei Francesi, comprende finalmente che di fatto è stata annullata l’ipotesi di creare uno o due Stati da assegnare a dinastie reali post-napoleoniche, imparentate con la dinastia dei Savoia. Troppo tardi, però, perché i giochi sono stati già fatti. E l’appoggio politico e propagandistico dato dal Governo di Parigi e dalla diplomazia francese (compresi i Consoli di Sicilia) all’operato dei Garibaldini in Sicilia anche in campo internazionale, si dimostra ora addirittura controproducente.
Sembra peraltro che sia passato un secolo dagli accordi di Plombieres. E dal clima di collaborazione, anzi di alleanza di ferro, con Vittorio Emanuele II, che aveva caratterizzato quasi totalmente le vicende del 1859 (seconda guerra d’indipendenza).
Reggio Calabria, 21 agosto 1860. Sono numerosi i soldati Duosiciliani che non si arrendono, né cedono le proprie armi agli invasori.
Torniamo alle vicende militari che attraversano la Calabria (anzi le Calabrie come si diceva allora). Fra i fatti che caratterizzano la conquista di Reggio e di tutte le fortificazioni di quell’area, è doveroso ricordarne uno che non ha le caratteristiche degli altri. Esce decisamente dagli schemi. Ne parliamo brevemente.
I Generali doppiogiochisti, come sappiamo, si affrettavano a concordare tregue, ritirate e rese vergognose con le autorità dell’Armata Anglo- piemontese-garibaldina-mafiosa e camorrista, che stava conquistando le Calabrie e tutta la parte continentale del Regno delle Due Sicilie.
I soldati Duosiciliani – obbedendo agli ordini dei rispettivi superiori – in questi casi, lasciavano al nemico armi, bagagli e quant’altro. A Reggio come altrove.
Il 21 agosto succede un imprevisto: un contingente di circa mille soldati Duosiciliani si rifiuta, compatto, di recitare il ruolo della «pecora». Disobbedisce sia all’ordine di resa che a quello, altrettanto disonorevole, di lasciare ai Garibaldini tutte le armi. Un gesto audace e carico di conseguenze. In quanto gli ufficiali superiori traditori avevano già regalato la vittoria e la fortezza al nemico.
I soldati duo Siciliani, a muso duro, contestano gli ordini dei propri superiori venduti e sfidano i vincitori contro i quali non era stata data loro la possibilità di combattere come si sarebbe dovuto. È un faccia a faccia vivace, carico di odio e di tensione, scandito da grida di battaglia ed anche da insulti. Non mancano i gesti provocatori e minacciosi. La situazione diventa di momento in momento più incandescente. Sembra che tutto venga rimesso in discussione. Persino la resa generale, già concordata – ed in corso di… esecuzione – appare in pericolo.
Il termine ultimo per eseguire le disposizioni prescritte dai vincitori è stato fissato per le ore 12 e sta per scadere. La tensione è alle stelle. Gli alti ufficiali Duosiciliani, traditori e doppiogiochisti tremano. Temono di dover dare conto del proprio operato e dell’incidente imprevisto sia ai loro referenti garibaldino-piemontesi sia ai propri soldati.
E, si sa, questi ultimi sono furibondi contro i traditori. Né intendono accettare compromessi disonorevoli. Piuttosto che accettare l’umiliazione di cedere le armi e di rimettersi al volere dei vincitori continuano a minacciare di riprendere i combattimenti.
Non bleffano; dicono sul serio.
Garibaldi stesso è stato allertato e si trova a poca distanza dalla «fortezza» nella quale si muovono i ribelli. All’ultimo momento l’Eroe Nizzardo adotta la linea morbida. Accetta, cioè, che i valorosi soldati Duosiciliani ribelli lascino la fortezza in formazione, con le armi, con i bagagli, con le bandiere e con quant’altro desiderino. Ed, ovviamente, che comunque se ne vedano ben lontani.
Il Reggimento dei combattenti Duosiciliani, duri e puri, esce così compatto, con le armi in pugno, con le salmerie. E con le bandiere al vento. E, soprattutto a testa alta.
I soldati intraprendono quindi il lungo cammino verso Napoli, da dove poi raggiungeranno la linea del Volturno e Gaeta. Per combattere e, se necessario, per morire per la liberazione del Regno delle Due Sicilie.
Alla base della decisione, pur sempre di compromesso, troviamo un atto di generosità del Generale Garibaldi? Niente affatto. L’Eroe di Varese ha dovuto ingoiare un grosso rospo calabrese. Ha dovuto fare buon viso a cattiva sorte. Ha dovuto ammettere di essere in preda ad un misto di prudenza ed anche di paura. Aveva capito, infatti, che i mille soldati Meridionali non volevano essere, né apparire, complici dei generali voltagabbana.
Anzi: li volevano smentire e delegittimare. Così come volevano delegittimare la stessa occupazione garibaldina piemontese.
Non temevano lo scontro armato. Erano, peraltro, convinti che tutti gli altri soldati Duosiciliani e la stragrande maggioranza dei cittadini di Reggio si sarebbero schierati dalla loro parte, contro l’invasore. Un eventuale loro sacrificio non sarebbe stato inutile.
Non sbagliavano: quella ribellione, se lasciata esplodere fino in fondo, sarebbe stata la classica miccia capace di innescare un grande processo rivoluzionario. Quell’esempio di orgoglio, di dignità e di coraggio sarebbe stato comunque seguito, in seguito (e ne parleremo), da altri contingenti armati, da varie formazioni, e da vari reggimenti, dai non pochi gruppi sparsi di militari Duosiciliani, vicini e lontani, nonché dalla popolazione calabrese e da quelle delle altre regioni che componevano la parte continentale del Regno delle Due Sicilie.
La Sicilia, come vedremo, avrà una storia a parte anche nelle lotte e nelle rivoluzioni che esploderanno dal 1860 in poi. Una storia che tuttavia si accomunerà con le Regioni ed i Popoli suddetti soprattutto nella condizione coloniale nella quale tutto il Sud, in un modo o nell’altro, verrà costretto.
(2) Antonio Pagano, Due Sicilie 1830-1880, Capone, Lecce, 2002, pag. 118.
(3) C. Cantù, Cronistoria dell’Indipendenza italiana, vol. III, pag. 436.
Fine 45esima puntata/ Continua
La vera storia dell’impresa dei Mille 44/ Agosto 1860: traditori borbonici e ‘ndrangheta consegnano la Calabria ai garibaldini
La vera storia dell’impresa dei Mille 43/ La strage di Bronte: Nino Bixio fucila cinque innocenti per ingraziarsi gli inglesi
La vera storia dell’impresa dei Mille 42/ E così i generali felloni borbonici regalarono Messina a Garibaldi!
La vera storia dell’impresa dei Mille 41/ L’eroismo del colonnello Duosiciliano Bosco che dà scacco a Garibaldi e agli inglesi
La vera storia dell’impresa dei Mille 40/ Garibaldi scappa due volte dal campo di battaglia, ma Dumas scrive che è un ‘eroe’!
La vera storia dell’impresa dei Mille 38/ La battaglia di Trivio di Archi: ennesima sconfitta dei garibaldini!
La vera storia dell’impresa dei Mille 37/ Napoli: Francesco II accerchiato e tradito dai suoi più ‘fedeli’ collaboratori
La vera storia dell’impresa dei Mille 34/ Cavour razzista: il primo a chiamare i meridionali “maccheroni-terroni”
La vera storia dell’impresa dei Mille 32/ La pagliacciata di Palermo: 24 mila militari borbonici si ‘arrendono’ a 3 mila garibaldini…
La vera storia dell’impresa dei Mille 31/ Il tradimento dei generali borbonici a Catania (sulla pelle dei catanesi)
La vera storia dell’impresa dei Mille 30/ Garibaldi e Crispi rubano 5 milioni di ducati e pagano le tangenti ai generali-traditori borbonici
La vera storia dell’impresa del Mille 28/ A Palermo Garibaldi e i suoi picciotti (di mafia) sono spacciati. Li salveranno i traditori del Borbone…
La vera storia dell’impresa dei Mille 24/ Basta sconfitte: questa volta dell’entrata di Garibaldi a Palermo si occuperanno gli inglesi!
La vera storia dell’impresa dei Mille 23/ La Masa assolda i ‘picciotti’. E Denis Mack Smith ammette il ruolo della mafia nella ‘unificazione’ italiana
La vera storia dell’impresa dei Mille 21/ I garibaldini sconfitti ad Altofonte saccheggiano il paese e poi fuggono a Piana dei Greci
La vera storia dell’impresa dei Mille 20/ I prepotenti inglesi che in Sicilia fanno il bello e il cattivo tempo trescando anche con la mafia
La vera storia dell’impresa dei Mille 19/ Garibaldi sconfitto a Pioppo e salvato dai traditori. Il ‘giallo’ della morte di Rosolino Pilo
La vera storia dell’impresa dei Mille 18/ La verità sulla rivolta della Gancia del 4 aprile 1860 e sulle “tredici vittime”
La vera storia dell’impresa dei Mille 17/ Il garibaldino Bandi smentisce Garibaldi e le bugie sulla Legione Ungherese di Tukory e Turr
La vera storia dell’impresa dei Mille 15/ Dopo la finta vittoria di Calatafimi arrivano gli sciacalli della mafia!
La vera storia dell’impresa dei Mille 13/ Le ore che precedono la ‘battaglia di Calatafimi’. Garibaldi sapeva che il generale borbonico Landi avrebbe tradito
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La vera storia dell’impresa del mille 11/ La vergogna di Salemi: Garibaldi si autoproclama dittatore, sputtanato pure da Giuseppe Mazzini
La vera storia dell’impresa dei mille 9/ E da Marsala a Salemi Garibaldi comincia ad arruolare i picciotti di mafia…
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