Lo ricordiamo agli amici che hanno ben organizzato – nell’anniversario della caduta di Gaeta – la Giornata per ricordare i massacri perpetrati dai piemontesi nel Sud Italia negli anni successivi alla ‘presunta’ unificazione italiana. In questa giornata ci siamo anche noi siciliani, con la nostra storia e con le nostre storie, al netto degli ascari che hanno svenduto e svendono ancora oggi la Sicilia all’Italia
Lo sappiamo: non è facile coinvolgere i siciliani nel Giorno della memoria delle vittime meridionali della ‘presunta’ unità d’Italia. Anche perché, se proprio la dobbiamo dire tutta, non è che gli amici che hanno organizzato questa giornata della memoria abbiano fatto molto per coinvolgere, oggi, i siciliani. Eh già, perché oggi è il 13 Febbraio, anniversario della caduta di Gaeta per mano degli inglesi, degli ufficiali felloni del Regno delle Due Sicilie e, buoni ultimi, dei Savoia: una data che è stata scelta per ricordare la fine di un grande Regno del quale, piaccia o no a certi siciliani, la Sicilia ha fatto parte.
Lo sappiamo: con i siciliani bisogna andare con i piedi di piombo, perché si rischia di riaprire vecchie ferite. E magari gli amici che oggi hanno organizzato la giornata del ricordo delle vittime del Sud Italia hanno anche ragione, perché ‘sti benedetti siciliani – e la nostra non è auto-ironia, ma confessione di verità – non si sa mai da quale verso prenderli.
Del resto, ammettiamolo, ci bastano i siciliani per rendere tutto più difficile in Sicilia. Basti pensare che, dalla fine della stagione separatista – primi anni ’50 del secolo scorso – sicilianisti, indipendentisti, autonomisti e meridionalisti viaggiano rigorosamente divisi in gruppi e gruppuscoli spesso rissosi e inconcludenti, buoni solo ad auto-celebrarsi, ieri su giornali ‘corsari’, oggi con più evidenza sulla rete. E anche i siciliani che si stanno avvicinando al Movimento 24 Agosto per l’Equità Territoriale sono riusciti a dividersi, polemizzando per le bandiere.
Complicata la Sicilia. Lo aveva capito lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia che in un suo celebre libro (“La corda pazza”) cita un passaggio degli “Avvertimenti di Scipio Da Castro a Marco Antonio Colonna quando andò Vicerè in Sicilia”:
“«I siciliani – dice il Di Castro – generalmente sono più astuti che prudenti, più acuti che sinceri, amano le novità, sono litigiosi, adulatori e per natura invidiosi; sottili critici delle azioni dei governanti, ritengono sia facile realizzare tutto quello che loro dicono farebbero se fossero al posto dei governanti. D’altra parte, sono obbedienti alla Giustizia, fedeli al Re e sempre pronti ad aiutarlo, affezionati ai forestieri e pieni di riguardi nello stabilirsi delle amicizie. La loro natura è fatta di due estremi: sono sommamente timidi e sommamente temerari. Timidi quando trattano i loro affari, poiché sono molto attaccati ai propri interessi e per portarli a buon fine si trasformano come tanti Protei, si sottomettono a chiunque può agevolarli e diventano a tal punto servili che sembrano appunto nati per servire. Ma sono d’incredibile temerità quando maneggiano la cosa pubblica, e allora agiscono in tutt’altro modo»”. (tratto da Da: Didattica per un’educazione antimafia di Salvatore Vaiana – Fonte: Per la Sicilia).
Detto questo, nel ricordo di questa giornata c’è anche la Sicilia. Lo sappiamo: nel 1848 la Sicilia si sollevò contro il regno delle Due Sicilie perché voleva l’indipendenza. Tutto vero.
Dobbiamo però ricordare che, ad eccezione di Ruggero Settimo e di qualche altro grande siciliano, molti siciliani ‘rivoluzionari’ del 1848, esattamente dodici anni dopo, nel 1860, si ritrovarono al servizio degli inglesi, insieme con Garibaldi, con i mercenari ungheresi e con i picciotti di mafia, per dare vita all’Italia che, dal 1860 alle stragi del 1992, è stata praticamente la stessa.
Certo, nel 1848 tanti siciliani volevano l’indipendenza della nostra Isola: ma dodici anni dopo, mentre Ruggero Settimo era, di fatto, ‘prigioniero’ degli inglesi a Malta, a combattere assieme a Garibaldi per consegnare la Sicilia ai piemontesi c’erano i mafiosi e i futuri siciliani ascari: quelli che avrebbero massacrato i siciliani tra il 1860 e i primi del 900, per consegnare Sicilia e siciliani prima a Giolitti e poi a Mussolini: quelli che, nell’Italia repubblicana, avrebbero affossato l’Autonomia siciliana.
Ma nonostante tutto questo, oggi, ci siamo anche noi siciliani: ci siamo ricordando i fatti di Bronte e di Alcara Li Fusi, la Rivolta del Sette e Mezzo, la Rivolta dei Cutrara (quando i piemontesi fucilarono Angelina, una bambina di nove anni!), i Fasci Siciliani dei lavoratori, Bernardino Verro e la grande stagione del Separatismo siciliano di Antonio Canepa, Andrea Finocchiaro Aprile, Attilio Castrogiovanni e Concetto Gallo.
Questo perché la storia del Separatismo siciliano è anche storia del Sud Italia. Di un Sud Italia che, negli anni ’50 del secolo passato, era “all’opposizione” rispetto a un’Italia repubblicana appena nata che imponeva lo sfruttamento del Sud e l’odio e il disprezzo verso i meridionali, buoni solo per essere deportati prima in Belgio, nelle miniere di carbone (come dimenticare l’accordo tra Italia e Belgio chiamato anche Uomo-Carbone? In base a questo protocollo d’intesa, 50 mila minatori italiani si trasferirono in Belgio per lavorare – da schiavi – nelle miniere di carbone; in cambio il Belgio dava all’Italia 2 mila e 500 tonnellate di carbone ogni mille minatori. Gli ‘schiavi’ chi erano? In minima parte veneti, in maggioranza siciliani) e poi nel ‘Triangolo industriale’ del Nord Italia.
Ci siamo anche noi siciliani, in questa giornata del ricorso. Per ricordare a questa Italia sbagliata che, ancora oggi, lo Stato italiano, dal 2009, grazie a politici siciliani ascari, scippa agli ospedali pubblici siciliani quasi 600 milioni di euro all’anno per darli agli ospedali pubblici del Nord!
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