La rivolta dei Cutrara fu la rivolta di tanti siciliani che si rifiutavano, all’indomani della ‘presunta’ unità d’Italia, di sottomettersi agli invasori piemontesi. Così Castellammare del Golfo, nel mese di Gennaio del 1862, si ribellò. In piazza scesero soprattutto i giovani che si rifiutavano passare cinque anni della loro vita al servizio dell’esercito piemontese. I giovani delle famiglie ricche pagavano e venivano esentati dalla leva. I poveri dovevano piegarsi alla prepotenza di casa Savoia. Che passarono per le armi vecchi, donne e persino una bambina di 9 anni
di Ignazio Coppola
Il primo gennaio del 1862, a poco meno di un anno dalla proclamazione del regno d’Italia, buona parte degli abitanti di Castellammare del Golfo, stanchi delle sopraffazioni e dei soprusi subiti in così breve tempo, sopratutto per le esose tassazioni e l’imposizione del servizio militare obbligatorio, scese in piazza al grido di “Abbasso la leva e morte ai Cutrara”.
La causa scatenante della rivolta fu data, appunto, dall’introduzione della lunga leva militare obbligatoria (alla quale sotto il Borbone i siciliani erano esenti) la cui legge istitutiva, pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale del 30 giugno 1861, prevedeva discriminatamene che i figli dei poveri, non potendosi comprare l’esenzione, prevista dalla legge, erano costretti ad una lunga leva di ben 5 anni, mentre al contrario ai figli dei ricchi – appunto i Cutrara (cappeddi o galantuomini) – potendoselo permettere e pagando profumatamente venivano esentati.
Il primo gennaio 1862, esattamente 158 anni addietro, gran parte della popolazione capeggiata da due popolani Francesco Frazzitta e Vincenzo Chiofalo insorse contro questo stato di cose e contro queste ingiustizie. Dopo avere piantato una bandiera rossa al centro del paese si pose alla caccia dei notabili locali – per l’appunto i Cutrara – i nobili e i borghesi, simbolo di queste discriminazioni e di questi privilegi.
Furono assaltate la abitazioni del commissario alla leva, Bartolomeo Asaro, e del comandante della guardia nazionale, Francesco Borruso, che vennero catturati catturati ed uccisi e le loro case bruciate. Eccessi esecrabili di una popolazione esasperata da vessazioni ed ingiustizie. Fatti che non possono certo giustificare le rappresaglie e gli eccidi da parte dei piemontesi sbarcati su due navi da guerra con centinaia di bersaglieri nel porto di Castellammare.
Militari inviati dal generale Govone al comando dal generale Pietro Quintino, un ex garibaldino che, anziché porsi alla caccia dei colpevoli, non trovò di meglio che passare per le armi, in dispregio ad ogni elementare norma di umanità e legalità, uomini, vecchi, donne e persino un’innocente bambina di appena 9 anni, Angela Romano. Innocenti, rastrellati dalle truppe piemontesi in contrada Villa Falconeria, alla periferia del paese, e massacrati. Vigliaccheria allo stato puro.
Gli altri cittadini fucilati alle ore tredici di quel maledetto venerdì 3 gennaio 1862 furono Mariano Cruciata, di 30 anni, Marco Randisi di 45 anni, il sacerdote Benedetto Palermo, di 46 anni, la contadina Anna Catalano, di 50 anni, e i vecchi Angelo Calamia e Antonino Corona, entrambi di 70 anni.
A distanza di poco meno di due anni si ripetevano a Castellammare, ad opera dei piemontesi, con pedissequa ferocia e con una sconcertante crudeltà, gli eccidi andati in scena a Bronte perpetrati da Nino Bixio contro ogni aspettativa di libertà, di giustizia e di affrancamento dalla miseria: richieste che i siciliani avevano all’arrivo dei garibaldini prima e dei piemontesi dopo.
Di recente, in memoria degli atti di crudeltà perpetrati dai piemontesi le Amministrazioni comunali di Castellammare del Golfo e di Gaeta hanno deciso di intitolare una via cittadina ad Angelina Romano, la più giovane delle incolpevoli e inconsapevoli vittime di quell’esacrabile eccidio
La rivolta di Castellammare del gennaio del 1862 fu poi, quattro anni dopo, propedeutica della grande rivolta palermitana del settembre del 1866 così detta del “Sette e Mezzo” che costò miglia e migliaia di vittime a causa della repressione piemontese (qui potete leggere l’articolo sulla rivolta del “Sette e mezzo” scritto, sempre da Ignazio Coppola, nel settembre dello scorso anno).
Rivolte puntualmente ed ipocritamente secretate e ignorate dai testi scolastici e dalla storiografia ufficiale.
Questo, ancora una volta, fu il contributo di sangue innocente dato dai meridionali e dai siciliani alla causa dell’unità nazionale. E proprio per questo sarebbe giusto, oltre che festeggiare e celebrare enfaticamente – come spesso avviene -episodici retorici dell’unità d’Italia, ricordare quei morti e quelle vittime innocenti che furono immolate, loro malgrado, al processo unitario. Ed è quello che, con molto merito per rimuovere una damnatio memoriae che per lungo tempo li ha condannati all’oblio, hanno fatto in questi ultimi tempi i cittadini di Castellammare del Golfo, commemorando e ricordando le vittime della rivolta dei cutrara del gennaio del 1862. In piena sintonia con quanto sosteneva Leonardo Sciascia: “Questo è un Paese senza memoria e io non voglio dimenticare”.
Ed è per non dimenticare che i Sicilianii sono impegnati alla costante ricerca della loro perduta memoria storica.
Foto tratta da pontelandolfonews.com
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