Questa volta ci dobbiamo riuscire: questa volta, con tutte le nostre forze, dobbiamo evitare che la storia si ripeta. Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha scoperchiato il pentolone della ‘ndrangheta, oggi tra le organizzazioni criminali più potenti al mondo. L’inchiesta sta toccando i fili della politica e di apparati dello Stato, in un contesto internazionale. E’ assolutamente necessario che Gratteri non rimanga solo
Come scriviamo spesso, non ci occupiamo di cronaca giudiziaria. Ma anche questa volta siamo costretti a fare un’eccezione. Per dire che il trattamento che l’Italia officiale sta riservando al magistrato Nicola Gratteri, protagonista di un’inchiesta sulla ‘ndrangheta – e sulla presenza della stessa ‘ndrangheta, oltre che in Calabria e nel Sud, nel Centro Nord Italia e all’estero – non ci piace affatto.
E’ in atto un tentativo – che per fortuna non è corale – di isolare un magistrato coraggioso che ha scoperchiato un pentolone maleodorante di corruzione a tutti i livelli.
Noi, a Palermo, conosciamo molto bene questi metodi. L’Italia li ha messi in atto nella seconda metà degli anni ’80 del secolo passato per impedire a Giovanni Falcone di prendere il posto di Antonino Caponnetto al vertice dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo.
Ricordiamo non soltanto l’ostracismo di una certa Palermo verso Falcone (come dimenticare coloro i quali si lamentavano delle automobili dei magistrati che si spostavano in città a sirene spiegate: eppure una bomba aveva già trucidato il magistrato Rocco Chinnici, padre del pool antimafia, facendo altre tre vittime: il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile dove abitava Chinnici, Stefano Li Sacchi), ma anche la ‘bocciatura’ di Falcone, superato da un magistrato che non aveva certo la sua esperienza.
E poi gli attacchi politici da parte di una certa ‘antimafia’ e di una certa ‘sinistra’: due categorie dello spirito che sono andate e vanno ancora oggi sempre a braccetto.
Scrive sulla propria pagina Facebook Pippo Giordano, un poliziotto che ha lavorato fianco a fianco con Giovanni Falcone:
“All’indomani della grande operazione contro la ‘ndrangheta già si odono i rumor di alcuni politici contro il titolare dell’inchiesta, ossia il magistrato Nicola Gratteri. Parimenti, alcuni ‘grandi’ giornali nazionali, dopo aver dato la notizia, preferiscono oscurare l’intera inchiesta. Film già visto e rivisto coi magistrati Falcone e Borsellino. Un passato che prepotentemente ritorna, quando si toccano i santuari della politica. Non è una novità che se i magistrati si occupano solo di mafiosi, ricevono plauso di ogni genere. Ma… Ma appena si toccano imbelli politici abbarbicati sugli ambulacri di potere, ecco che la magistratura viene attaccata e isolata. Mi auguro che il dottor Gratteri non subisca lo stesso isolamento riservato al dottor Falcone. Ed è per questi motivi che, oltre a ringraziarlo, auguro al dottore Gratteri, altre mille inchieste contro la criminalità organizzata. Dottor Gratteri non si faccia isolare per favore. Buon lavoro e grazie mille”.
Scrive Crocifisso Aloisi, Referente regionale per la Puglia di Movimento 24 Aprile per l’Equità Territoriale:
“Gli attacchi al dott. Gratteri sono indecenti e qualificano chi ne è l’autore. Come accadde con Falcone, anche questa volta una parte fortunatamente marginale della politica, coadiuvata da un manipolo di opinionisti a gettone, sta cercando di infangare l’azione giudiziaria di un Grandissimo Magistrato. È una vecchia storia, è la storia di questa specie di Nazione nata su patti scellerati e proseguita fino ai nostri giorni: le mafie come strumento di controllo del Sud Italia. Questo Paese ha bisogno di più Nicola Gratteri e meno politici ed opinionisti collaborazionisti e garanti di patti scellerati”.
Giusto affermare che prima di esprimere giudizi bisogna aspettare i processi e i tre gradi di giudizio. Ma non possiamo certo aspettare sette, otto, dieci anni per commentare lo scenario che viene fuori dall’inchiesta condotta dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, Nicola Gratteri.
Chi segue un po’ i fatti di cronaca sa che, oggi, la ‘ndrangheta è una delle organizzazioni criminali più potenti del mondo. Le sue ramificazioni sono impressionanti. I legami che intrattiene con la cosiddetta società civile – in Italia e in altri Paesi del mondo – sono impensabili.
A differenza della mafia e della stessa camorra, la ‘ndrangheta è sostenuta da un mondo impenetrabile, dove l’antico e il moderno si fondono dando vita a una potenza criminale spaventosa.
Per mettere sotto inchiesta un’organizzazione di tale forza ci vuole tantissima professionalità e tantissimo coraggio: e il dottor Gratteri sta dimostrando di possederle entrambe.
Certo, è presto per esprimere giudizi. Ma in questa fase non vediamo politici in prima fila che lottano contro la ‘ndrangheta: al contrario- e purtroppo ci siamo abituati – prendiamo invece atto dell’eventuale presenza di presunte collusioni a carico di politici di centrodestra e di centrosinistra e a carico, anche, di uomini dello Stato.
Dobbiamo essere cauti, certo: ma – da semplici cittadini che si informano da giornali, radio, televisione e rete – ricordiamoci del processo per la strage di via D’Amelio e di quello che sta emergendo dopo anni di depistaggi già acclarati. Proviamo a guardare il presente alla luce di quanto sta emergendo dalle nebbie del passato.
Noi siamo cauti e rispettosi dell’ordinamento del nostro Paese: aspettiamo l’evoluzione di questa inchiesta e gli eventuali processi.
Ma difendiamo la magistratura e il dottor Gratteri: perché alla fine, ancora una volta, è la magistratura, e non certo la politica, che si sta caricando l’onere molto rischioso di fare luce su un’organizzazione criminale che fa paura.
E fa bene il dottore Gratteri a tenere alta l’asticella dell’attenzione: anzi, noi dobbiamo aiutare questo magistrato e tutta la magistratura: lo dobbiamo fare perché è giusto farlo: e lo dobbiamo fare da gente del Sud che non ne può più di queste forme di criminalità organizzata che al Mezzogiorno hanno portato solo lutti, sciagure, sottosviluppo e povertà.
E’ importante, anche, ricordare allo Stato che, soprattutto nel Sud, la criminalità prende piede se non si creano occasioni di sviluppo. Al capo del Governo, Giuseppe Conte, e al Ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia, va ricordato che l’applicazione dell’Autonomia differenziata senza i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, provocherà soltanto un ulteriore impoverimento delle Regioni del Sud Italia, che si vedranno espropriate di altri 60-70 miliardi di euro all’anno.
Un’Autonomia differenziata senza i Lep sarebbe l’ennesimo regalo alla criminalità organizzata del Sud, che troverebbe altri adepti tra i nuovi poveri.
Foto tratta da Lacnews24.it
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