Un ordine del giorno del senatore Saverio De Bonis, fatto proprio dal Governo Conte bis durante i lavori della commissione Agricoltura del Senato, se finirà nella manovra economica e finanziaria 2020, potrebbe rivoluzionare la zootecnia da carne italiana, fino ad oggi concentrata nel Nord Italia. Vi raccontiamo perché questa volta i nordisti-leghisti potrebbero perdere la partita sulla soccida. E perché lo Stato italiano potrebbe recuperare non meno di 3 miliardi di euro all’anno
E’ opinione diffusa che la cosiddetta zootecnia intensiva abbia poco o nulla a che vedere con l’agricoltura essendo, di fatto, un’attività industriale. Anche se, fino ad oggi, è stata considerata un’attività agricola, usufruendo di ingenti agevolazioni fiscali. Non solo. Grazie a un vecchio contratto agrario mai rivisitato del tutto – la soccida – utilizzato in modo strumentale, gli allevamenti di carne sono stati concentrati nel Centro Nord Italia, relegando il Sud a mero mercato di consumo!
Le cose, però, potrebbero cambiare. Perché? Perché di mezzo, in questa storia, c’è un’elusione fiscale a nove zeri. Basti pensare che la Corte dei Conti ha segnalato la dilatazione delle agevolazioni fiscali, calcolando una riduzione per le entrate dello Stato italiano pari a 313 miliardi di euro!
Non sappiamo a quanto ammontino i fondi che lo Stato potrebbe recuperare rivisitando, se non eliminando, le forzature attuate applicando la soccide. Ma è oggettivo che non solo lo Stato guadagnerà in entrate, ma eliminerà anche alcune distorsioni che fino ad oggi hanno alterato il mercato della carne, penalizzando il Sud.
In realtà, forse è pensando alle nuove entrate che il Governo Conte bis, durante i lavori della commissione Agricoltura del Senato, ha fatto proprio l’ordine del giorno sulla ‘rivisitazione’ della soccide presentato dal senatore Saverio De Bonis.
Eletto senatore in Basilicata nelle file del Movimento 5 Stelle, messo fuori dal Movimento per eccesso di ‘indipendenza di giudizio’, protagonista di GranoSalus (l’associazione che si batte per la tutela e il rilancio del grano duro del Sud), De Bonis, oggi, è senatore del gruppo misto ed è vicino al Movimento 25 Agosto per l’Equità Territoriale di Pino Aprile.
Da esperto di agricoltura, lavora anche a sostegno di questo settore: suo anche l’ordine del giorno – fatto proprio sempre dal Governo – a sostegno delle aziende agricole che hanno subito danni a causa del maltempo e dalle crisi di mercato (ne abbiamo parlato in questo articolo).
Come per l’ordine del giorno sugli aiuti alle aziende agricole, anche questo provvedimento, fatto proprio dal Governo, dovrebbe diventare parte integrante della legge di stabilità 2020 (se non altro perché porterà nelle ‘casse’ dello Stato un bel po’ di quattrini).
E’ interessante leggere l’ordine del giorno fatto proprio dal Governo nel quale si riassume un ‘pezzo’ importante della storia della zootecnia italiana dagli anni del secondo dopoguerra ad oggi.
“La legislazione dell’attuale codice civile – leggiamo nell’ordine del giorno – si è sviluppata in un contesto economico dominato ancora dal lavoro agricolo, dove il processo di industrializzazione era poco sviluppato e lontano dalla sua espansione. In quel contesto forme di conduzione come la mezzadria, la colonia, la soccida e la compartecipazione erano molto diffuse ed hanno caratterizzato la storia economica di vaste aree agricole del Paese. Quei contratti associativi prevedevano la condivisione del ruolo di imprenditore tra il proprietario terriero e il contadino che prestava la propria opera manuale. Ben presto, però, queste forme di conduzione associata hanno perduto l’importanza, anche a causa di alcuni interventi normativi. Infatti, la legge n. 756 del 1964 ha posto divieti alla stipula di nuovi contratti di mezzadria, senza alcuna applicazione ai contratti di soccida. La legge n. 11 del 1971 ha, invece, stabilito la trasformazione in affitto dei contratti di soccida, con conferimento di pascolo a semplice richiesta del soccidario”.
“La legge n. 230 del 1982 – prosegue De Bonis – che è il testo fondamentale in materia di trasformazione dei contratti agrari, ha previsto la conversione in affitto, della mezzadria e colonia vietando espressamente la stipulazione di nuovi contratti. Mezzadria e colonia sono tipologie contrattuali analoghe alla soccida, in cui variano l’oggetto (il bestiame per la soccida, il fondo rustico per le altre fattispecie) e il tipo di attività (allevamento e sfruttamento del bestiame piuttosto che coltivazione di un podere o di un fondo). L’unica forma di contratto associativo sopravvissuta alla conversione è stata la soccida semplice che, non solo ha mantenuto la possibilità di essere ancora stipulata, ma ha trovato larga diffusione in tutta la zootecnia industriale, diventando uno schermo legale per veri e propri oligopoli, che nei periodi di crisi si espandono e consolidano le loro posizioni a danno della collettività e del patrimonio zootecnico nazionale”.
“Nel tempo, a seguito dello sviluppo della «zootecnia industriale» (polli, tacchini, conigli, suini, bovini da ingrasso) – leggiamo sempre nell’ordine del giorno – il contratto di soccida ha registrato un’espansione notevole (il fatturato all’origine in queste filiere nel 2011 è stato pari circa a 8 miliardi di euro, viaggiando di pari passo con il fatturato del mangime, altri 7-8 miliardi di euro), che ha favorito, da un lato, la diffusione di alcune forme organizzative del mercato (integrazione verticale tra allevatori, industrie mangimistiche e macelli), dall’altro, una pericolosa concentrazione oligopolistica che tende a soffocare gli allevatori indipendenti”.
Così la soccida è diventata “industriale” non prevista dal codice, ma cucita addosso all’agroindustria del Nord “come un abito sartoriale”.
Qui arriviamo al passaggio fondamentale:
“Nella zootecnia «rurale» la condivisione del ruolo di imprenditore avveniva tra il proprietario terriero e il contadino che prestava la sua opera manuale, nella zootecnia «industriale» tale condivisione avviene tra un polo aggregante industriale, che tenta surrettiziamente di apparire agricolo, e l’imprenditore agricolo che, pur prestando la sua opera e i suoi immobili (capannoni, terreni e attrezzature) si trova in posizione di contraente «debole» e tende a regredire in un processo di disuguaglianza sociale sempre più spinto”.
C’è poi un alto aspetto che interessa il Sud: ovvero il fatto che la produzione di carne, grazie a questo sistema, si è concentrata nel Centro Nord Italia, mentre al Mezzogiorno è stato assegnato il ruolo di mercato di consumo!
“Oggi, il legislatore – leggiamo sempre nell’ordine del giorno – dovrebbe riconoscere che i processi di concentrazione vanno salutati con favore solo quando sono in grado di accrescere la ricchezza nei singoli settori per tutti e non quando la distruggono”.
Infatti “alcune filiere (guarda caso quelle del Sud ndr) sono state distrutte o ristrette proprio dove sono maggiormente concentrati i consumi, mentre la produzione è stata dirottata solo in alcune aree (il Centro Nord Italia ndr) dove insistono maggiori problemi di entropia dell’ambiente”.
Sempre per essere egoisti ed appapponi, gli imprenditori del Centro Nord hanno concentrato la produzione di carne nelle proprie zone: ma oltre ad aver maggiorato fatturati e utili si sono beccati anche la crescita dell’inquinamento!
Di più: l’egoismo del Centro Nord Italia, riducendo gli allevamenti zootecnici nel Sud, ha finito col limitare e ridurre “la produzione nazionale e, dunque, gli indici di autoapprovvigionamento, compensando il fabbisogno nazionale dei consumi attraverso il ricorso ad una crescente importazione extra Unione europea, con danni enormi per il benessere dei consumatori e per il bilancio sanitario”.
In pratica, è stata messa in atto una strategia miope che ha prodotto vantaggi solo per pochi, svantaggi per il Sud, appesantimento della bilancia commerciale italiana e riduzione delle entrate fiscali per lo Stato!
A questo punto la ‘stoccata’ che non piacerà affatto alla Lega di Salvini, che in questo settore è molto ‘gettonata’:
“Con le soccide – si legge nell’ordine del giorno – i poli integranti industriali sfrutterebbero il regime fiscale agricolo agevolato che spetterebbe unicamente all’allevatore, produttore agricolo per definizione. In tal modo l’allevatore viene strumentalizzato e spogliato del suo reddito, mentre le multinazionali dell’agrobusiness traggono tutti i vantaggi possibili. Il principale vantaggio deriva dalla possibile elusione fiscale che si nasconde dietro società agricole di comodo e cooperative fittizie, tutte riconducibili ad uniche entità economiche (gruppi multinazionali), su cui mai nessuno ha voluto accendere i fari”.
Da qui la proposta:
“Applicare a queste varie tipologie di carne le disposizioni del TFUE in materia di aiuti di Stato. Basti pensare che la Corte dei conti stima oggi «una significativa dilatazione» delle agevolazioni fiscali «sia nel numero, 799, sia nella perdita di entrate che ne deriva, 313 miliardi».
“L’elusione imputabile su tutti gli allevamenti in soccida da carne – si legge ancora nell’ordine del giorno – si ritiene sia rilevante ed erode una buona parte di queste entrate, che vanno a favore di multinazionali (mangimifici, macelli cooperativi e società agricole di comodo) e non del mondo agricolo”.
A quanto ammontano queste entrate che lo Stato italiano ogni anno regala a queste multinazionali della carne? Rintracciato da noi al telefono, De Bonis spiega:
“E’ chiaro che, visto che si tratta di somme mai incassate dallo Stato, si può fare una stima. Ecco, la mia stima è che lo Stato italiano, eliminando queste agevolazioni fiscali concesse a chi non ha nulla a che vedere con il mondo agricolo, potrebbe incassare non meno di 3 miliardi di euro all’anno. E, come si usa dire in gergo, mi sto tenendo basso”.
La parola passa adesso al Governo nazionale, che dovrà “valutare la possibilità di approfondire l’applicazione del contratto di soccida al fine di evitare gli effetti distorsivi eventualmente derivanti”.
Foto tratta da Confagricoltura Bari
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