Oggi, in Italia, su 100 euro di spesa delle famiglie, soltanto 90 centesimi di euro finiscono agli agricoltori. Si tratta di un dato medio. Visto dal Sud, scopriamo che agli agricoltori meridionali – sempre per ogni 100 euro di spesa da parte delle famiglie – arriva meno di 90 centesimi di euro! E’ chiaro che, continuando di questo passo, l’agricoltura meridionale scomparirà. Cosa fare per invertire la rotta
Sì, vale proprio la pena di leggere l’articolo pubblicato da Ambiente Bio sulla cosiddetta Filiera agro-alimentare estesa dell’Italia: è il settore che mette assieme agricoltura, industria di trasformazione alimentare, intermediazione e logistica.
Pensate un po’: la Filiera agro-alimentare estesa italiana, scrive Ambiente Bio, è “in grado di eguagliare la somma del PIL di Danimarca e Norvegia”.
Il fatturato di questo settore economico ammonta a 538,5 miliardi di euro; il valore aggiunto è pari a quasi 120 miliardi di euro; dà lavoro a 3,6 milioni di persone (pari al 18% del totale degli occupati in Italia) per un totale di 2,1 milioni di imprese.
Ambiente Bio analizza il Rapporto di The European House-Ambrosetti, intitolato “La creazione di lavoro lungo la filiera agroalimentare estesa in Italia“, che è stato a Roma da Federdistribuzione, ANCC Coop, ANCD Conad, in collaborazione con ADM (Associazione Distribuzione Moderna).
Il rapporto, leggiamo sempre su Ambiente Bio, “ha messo in luce la ripartizione degli utili tra tutti gli attori della filiera”. E qui le cose cominciano a diventare interessanti. Scopriamo, così, che “per ogni 100 euro di spesa delle famiglie, solo 5,1 euro vanno ai soggetti della filiera agroalimentare estesa”. E precisamente:
“l’industria della trasformazione ottiene la quota più alta (43,1%) che equivale a 2,2 euro;
grossisti e intermediatori di diversi comparti (agricoli, industriali e commerciali) sono remunerati al 19,6%, vale a dire 1 euro;
allevatori e pescatori sono remunerati al 17,7%, vale a dire 90 centesimi;
distribuzioni come supermercati e negozi specializzati sono remunerati all’11,8%, vale a dire 60 centesimi;
la ristorazione è remunerata al 7,8%, vale a dire 40 centesimi”.
A ci vanno i restanti 95 euro? In parole più semplici: chi è che ci guadagna dai consumi alimentari delle famiglie italiane? La risposta la leggiamo sempre su Ambiente Bio:
“32,8 euro tra fornitori di logistica, trasporto, packaging, energia e utenze;
31,6 euro al personale della filiera;
19,9 euro alle casse dello Stato;
8,3 euro ai fornitori di macchinari e immobili;
1,2 euro alle banche;
1,1 euro alle importazioni nette”.
Già da questi dati notiamo che gli agricoltori e i pescatori italiani sono sacrificati. Fatti quatto conti, scopiamo che chi guadagna veramente sono le multinazionali:
“Seppur sia cresciuto di più l’utile ottenuto dalle industrie alimentari che lavorano le materie prime (frutta, carne, pesca e ortaggi) e di chi commercia all’ingrosso i prodotti finiti o le materie prime agricole – leggiamo sempre su Ambiente Bio – la ripartizione dell’utile è altamente concentrata: le aziende leader, in gran parte multinazionali, hanno una quota di mercato superiore al 40% nei propri mercati di riferimento. Parliamo di 57 imprese su 56757 che catturano il 31,1% dell’utile di tutta l’industria alimentare, e il 13,4% dell’utile dell’intera filiera”.
Per chi avesse ancora dubbi, questo Rapporto ci dice che la nostra agricoltura è nelle mani delle multinazionali. Attenzione: non è una tesi dei “complottisti” di turno: è un Rapporto sulla Filiera agro-alimentare estesa italiana!
“Vi è, quindi, una situazione di squilibrio – leggiamo sempre su Ambiente Bio – a detta dei rappresentanti della GDO (Grande Distribuzione Organizzata), che pone i grandi gruppi industriali in una posizione di grande forza, capaci di superare ogni confronto e di imporre le proprie condizioni in tutte le forme di negoziazione e trattativa”.
Questo spiega anche perché, oggi, la Grande Distribuzione Organizzata italiana è, almeno in parte, in crisi. perché a detenere le leve del comando sono i grandi gruppi industriali con radici nell’universo mondo: le multinazionali.
Come si pone, in questo scenario, l’agricoltura del Sud Italia? Malissimo! Questo perché ci troviamo in un Paese – l’Italia – che dal 1860 considera il Sud come una colonia da sfruttare.
Proprio ieri abbiamo raccontato che, dopo il CETA (il trattato commerciale con il Canada che penalizza scientificamente l’agricoltura del Sud Italia), anche l’accordo commerciale tra Unione Europea e Cina penalizza ‘agricoltura del Mezzogiorno d’Italia.
Insomma: già il margine che la Filiera agro-alimentare estesa italiana riserva all’agricoltura è minino: appena 90 centesimi su 100 euro di spesa. Ma all’agricoltura del Sud, di questi 90 centesimi, arriva una minima parte!
Questo spiega la crisi dell’agricoltura del Sud. Due giorni fa abbiamo raccontato dell’incedibile speculazione in atto per distruggere – perché di questo si tratta – la produzione di clementine, agrume che, guarda caso, viene coltivato in Puglia, in Calabria e in Sicilia.
Il metodo per massacrare l’agricoltura del Sud Italia è sempre lo stesso: la speculazione al ribasso sui prezzi. Riflettiamoci: siamo ad inizio di produzione di clementine; sul mercato ci sono le cosiddette ‘primizie’, che dovrebbero spuntare prezzi interessanti. Invece il prezzo è incredibilmente basso!
E’ chiaro che c’è una ‘manina’ che immette sul mercato grandi quantitativi di clementine, prodotte chissà dove – di qualità spesso scadente – che fa crollare il prezzo!
Lo stesso discorso avviene per il grano duro: appena inizia la mietitura, zact!, arrivano le navi cariche di grano dall’estero, Canada in testa, che fanno crollare il prezzo del grano duro del Sud!
(La stessa cosa avviene con il grano tenero nel Nord Italia: ma non ne parla nessuno, perché ormai l’industria dolciaria ha scelto il grano tenero varietà canadese Manitoba).
E lo stesso discorso avviene per la frutta estiva, per i limoni (incredibile quello che è avvenuto a Siracusa, provincia dove si coltivano limoni tra i migliori al mondo, dove erano in commercio limoni trattati con sostanze chimiche dannosissime per la salute umana!), per gli ortaggi (nel silenzio generale i carciofi egiziani stanno soppiantando i carciofi siciliani).
Non potete immaginare quante persone ci scrivono in privato lamentandosi di aver portato in tavola angurie e altra frutta senza sapore, chiedendoci dove potere acquistare la frutta buona!
E che dire dell’olio d’oliva extra vergine? Lo scorso anno la produzione italiana – che per il 90% si concentra in Puglia, in Calabria e in Sicilia – ha subito perdite del 50-60%.
Ebbene, da un anno, nei Centri commerciali va a ruba “l’olio d’oliva extra vergine” a meno di 3 euro a bottiglia da un litro! Ma com’è possibile che ciò avvenga se un litro di olio d’oliva extra vergine – soprattutto per ciò che riguarda la produzione dello scorso anno – non può costare meno di 8-10 euro al netto di imbottigliamento e trasporto?
Qualche giorno fa – giustamente – Cosimo Gioia, agricoltori siciliano, si chiedeva e chiedeva: “Come si fa ad acquistare un litro di olio d’oliva extra vergine a 2,79 euro?”.
A noi nessuno leva dalla testa che è in atto una manovra per distruggere l’agricoltura del Sud Italia.
Detto questo, il nostro consiglio è sempre lo stesso: l’unico modo che noi meridionali abbiamo per difenderci è quello di acquistare i prodotti agricoli e alimentari delle nostre zone.
L’iniziativa Compra Sud è più che mai valida.
I Siciliani, fin dove possono, acquistino prodotti agricoli siciliani, freschi e trasformati.
I calabresi, fino dove possono, acquistino prodotti agricoli calabresi, freschi e trasformati.
I pugliesi, fino dove possono, acquistino prodotti agricoli pugliesi, freschi e trasformati.
I lucani, fino dove possono, acquistino prodotti agricoli lucani, freschi e trasformati.
I campani, fino dove possono, acquistino prodotti agricoli campani, freschi e trasformati.
E via continuando con tutte le Regioni del Sud Italia.
In parole semplici, privilegiare, fin dov’è possibile, il cosiddetto Km zero.
Forse la chiave di volta per la Grande Distribuzione Organizzata, oggi in affanno, potrebbe essere quella di trovare un accordo diretto con gli agricoltori, eliminando altre intermediazioni.
Ovviamente, se un siciliano non trova prodotti siciliani acquisti quelli del Sud, mai quelli del Centro Nord Italia.
QUI PER ESTESO L’ARTICOLO DI AMBIENTE BIO
Foto tratta da www.progettocomprasud.com
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