Possibile che un colonnello borbonico – Bosco – che a Milazzo ha già umiliato Garibaldi e i garibaldini, con pochi soldati, blocchi l’avanzata dei Mille? Pur di non combattere contro di lui – cioè per non essere di nuovo sconfitti – gli inglesi e Garibaldi organizzano un raggiro da Napoli. Così i superiori del Bosco – tutti traditori – gli imporranno di arrendersi ai garibaldini! Poi ci penseranno gli “scrittori salariati” a nascondere quest’ennesima vergogna garibaldina facendola passare per una ‘vittoria’…
di Giuseppe Scianò
I Garibaldini e le bande entrano nella Città di Milazzo.
Al seguito dei soldati Garibaldini entrano a Milazzo le bande dei picciotti di mafia e quelle improvvisate dei banditi comuni. È, questo, un vero castigo di Dio, una grande sciagura. Garibaldini e compagni si abbandoneranno a tante violenze ed a saccheggi. La cittadinanza è considerata colpevole di non essersi ribellata e di non essere andata incontro all’Eroe dei Due Mondi.
Ma è questa una realtà, una vicenda che i Garibaldini e gli scrittori di miracoli Garibaldini non possono ufficializzare, in quanto i dispacci, le odi e le storie, che inventano di città e di paesi ridondanti di bandiere tricolori e di folle esultanti, devono valere anche per la recente conquista della città di Milazzo. La verità, insomma, resterà fuori dalla porta anche per l’epica battaglia di Milazzo.
Va detto, seppure brevemente, che intanto Padre Buttà e l’ufficiale medico del reggimento si sono volutamente trattenuti in un’infermeria di campo per assistere alcuni dei feriti più gravi Piemontesi in attesa che i Garibaldini li vengano a prelevare. Una pattuglia di Garibaldini, in effetti, arriva dopo alcune ore. Questi però, anziché ringraziarli, saltano letteralmente addosso ai due malcapitati. Li vogliono uccidere e spogliare di tutto. Saranno i feriti stessi a intervenire con energia per salvare la loro vita e per evitare che fossero duramente malmenati.
Non potranno evitare tuttavia l’immancabile rapina di tutto ciò che i due benefattori hanno nelle tasche e addosso. Così come non potranno evitare che i due poveretti, rimasti lì per pure ragioni umanitarie, vengano fatti prigionieri. Così il Buttà e il medico vengono consegnati ad altri Garibaldini che li trascinano in posti diversi.
Padre Buttà verrà portato prigioniero nel palazzo Cassisi, a Milazzo. Riuscirà a fuggire approfittando del fatto che i suoi carcerieri si sono addormentati profondamente, in preda all’ubriachezza, dopo le gozzoviglie di quella notte.
L’ufficiale medico avrà invece una prigionia più lunga.
Fortunatamente, a Messina, Garibaldi, con un atto di clemenza, lo lascerà libero.
Le ripercussioni politiche dell’epica battaglia di Milazzo.
La notizia del comportamento eroico del Bosco e dei suoi uomini mette in subbuglio il mondo politico di Napoli, dove il Governo Costituzionale ed i Generali venduti cercano di bloccare l’invio di aiuti al Colonnello Bosco. Sono momenti di grande tensione. Il Re Francesco viene «tirato per la giacca» dall’una e dall’altra parte.
Lo zio del Re, conte d’Aquila, si schiera con quanti non vogliono effettuare interventi armati per agevolare l’avanzata dei Garibaldini. Sembra che il Generale Pianell dica, invece, di volere che il Clary mandi a Milazzo tutte le truppe di cui dispone. Ma il Clary, a sua volta, finge di non comprendere e di ritenere che quelle truppe siano più utili a Messina. Ed anche il Ministro Generale Pianell… fa finta di niente. Insomma, la «tragicommedia» continua…
A Milazzo intanto Garibaldi, attraverso il Capitano Salvy, Comandante di una delle navi mercantili, la Protis, manda una specie di ultimatum al Colonnello Bosco: se la guarnigione Duosiciliana non si arrenderà subito, sarà passata tutta «a fil di spada». Bosco respinge dignitosamente l’ultimatum.
Merita, tuttavia, attenzione il fatto che i Garibaldini, dopo le batoste subite nei combattimenti del 20 luglio, non osano passare direttamente all’attacco delle posizioni del Bosco. E ciò dimostra quanto sia esatta l’analisi di coloro che, inascoltati, insistono affinché l’Alto Comando dell’Esercito Duosiciliano invii qualche rinforzo al Bosco. Se ciò avvenisse a Milazzo si arresterebbe probabilmente la conquista del Sud. Si dimostrerebbe, infatti, che Garibaldi, i Piemontesi, i mercenari, gli agenti Inglesi, e gli altri… sono meno valorosi e più vulnerabili di quanto non si voglia far credere. Insomma: sono tutt’altro che imbattibili!
I referenti Inglesi, che gestiscono l’avanzata dei Garibaldini dai loro posti di regia a Napoli come a Palermo, a Torino come a Londra, non temono però soltanto i risultati che potrebbero ottenere i Duosiciliani inviando a Milazzo qualche rinforzo (basterebbe uno solo dei reggimenti bloccati a Messina per volontà del Clary). Temono che quella testa calda del Bosco possa organizzare comunque un contrattacco o altre forme di resistenza soltanto con gli uomini che ha a disposizione e che già hanno dimostrato quanto sappiano osare e quanto siano motivati.
E si sa che, soprattutto in questa fase delicatissima dell’operazione conquista del Sud, il tempo è prezioso. L’opinione pubblica internazionale potrebbe svegliarsi dallo stato di narcosi nel quale l’abilità britannica nella manipolazione delle informazioni l’ha ridotta. E potrebbero svegliarsi anche i popoli Siciliano e Napoletano fino ad ora più confusi che persuasi dall’accavallarsi di tanti fatti incredibili e sorprendenti.
Una sola direttiva, pertanto, arriva dall’alto:
«Fermate il Colonnello Bosco ed i suoi soldati!».
I telegrammi del disonore.
La rete telegrafica (con i fili) della Sicilia, già in funzione da qualche anno, è una delle più moderne ed efficienti dell’Europa. I telegrammi avranno quindi un ruolo importante anche per le vicende successive alla grande battaglia del 20 luglio.
Ed ecco che il 22 luglio 1860 alle ore 3 del pomeriggio arriva al Bosco un telegramma trappola da parte del Clary. Ne riportiamo il testo:
«Telegramma – Corrispondenza del Regio Corpo Telegrafico –
“Il maresciallo Clary al Colonnello Bosco. 22 luglio 1860 ore 3 Pom. Sospendete le trattative. – Rinforzi sono partiti. – Altre poche ore sarete salvo.” L’ufficiale telegrafico. Firmato Caffiero».
L’entusiasmo dei soldati Duosiciliani, peraltro contrari a qualsiasi eventuale trattativa di resa, sale alle stelle. Sono tutti pronti a riprendere con maggiore ardore i combattimenti, ma… bisogna fermarsi in attesa che arrivino i preannunciati rinforzi. Tutti fermi, dunque. Niente colpi di testa che potrebbero compromettere una vittoria grandiosa.
La mattina del 23 luglio 1860 alle ore 7 arriva, però, un altro telegramma con una notizia scioccante. Un vero e proprio contrordine. Il telegramma, guarda caso, non è però indirizzato al Colonnello Bosco, bensì al suo collega Pironti, Comandante della Fortezza. Riportiamo il testo di quest’ultimo telegramma che contiene una comunicazione del Maresciallo Clary ed è firmato sempre dall’ufficiale postale Francesco Caffiero.
«Questa mattina arriverà costà un Ministro plenipotenziario del Re, con quattro fregate napoletane e tre vapori, per trattare vostra resa».
Insomma tutto è stato deciso ed attuato alle spalle dei combattenti. È questa la prova del tradimento che alligna negli alti comandi Borbonici da Napoli a Messina. Ed è l’ennesima dimostrazione del fatto che il Governo Costituzionale e liberale di Napoli rema contro il proprio Re e contro l’esistenza stessa dello Stato indipendente del Sud, che si chiami o no Regno delle Due Sicilie.
Verso sera, arriva a Milazzo con tre fregate il Colonnello dello Stato Maggiore Francesco Anzani (2). Una tempestività ed un’efficienza degna di miglior causa. In questo arrivo dell’Anzani molti ritengono che vi fosse lo zampino di Garibaldi che aveva brigato con i suoi collaboratori a Napoli, affinché a trattare non fosse il Bosco, tutt’altro che malleabile e sempre pronto a riprendere la lotta.
Non è difficile per Garibaldi mettersi in contatto con Napoli. Ci permettiamo di sottolineare, infatti ed ancora una volta che il servizio telegrafico del Regno delle Due Sicilie funzionava perfettamente. E resterà, per qualche anno ancora e dopo l’occupazione della Sicilia, uno dei migliori d’Europa.
La setta unitaria (come amano dire il Buttà ed i suoi amici) è ormai riuscita ad estorcere a Francesco II il consenso alla capitolazione del Bosco. Ma con l’inganno. In quanto, anche questa volta, vengono accampati motivi umanitari, come dimostrano documenti ufficiali dell’epoca. Fu infatti detto al Re che era necessario contrattare una immediata resa, per evitare
«violenze contro la cittadinanza di Milazzo e spargimenti di sangue».
Un manifesto(16) fu redatto in tal senso dal Governo liberale e costituzionale di Napoli che fingeva preoccupazione per ciò che sarebbe potuto succedere alla cittadinanza, per la guerra civile che Garibaldi vuole portare a Milazzo, pur sapendo perfettamente che il Colonnello Bosco aveva evitato in anticipo che cose del genere potessero succedere, facendo ripiegare, come ben ricordiamo, le proprie truppe nella Fortezza, anziché nella città.
L’accordo per la capitolazione, già concordato in alto loco, viene quindi facilmente concluso fra il plenipotenziario Duosiciliano e Garibaldi. Le condizioni, grosso modo, sono le seguenti: i soldati Duosiciliani riceveranno l’onore delle armi, conserveranno e potranno portare con sé i loro equipaggiamenti, l’artiglieria, i cavalli, ecc. Resteranno al forte, che verrà consegnato ovviamente ai Garibaldini, 13 cannoni, 95 fra muli e cavalli, la metà delle attrezzature di guerra.
Garibaldi pretenderà, con una caduta di stile unica, che i due cavalli del Colonnello Bosco passino in suo possesso. Il nervosismo e la rabbia dei Garibaldini è evidente. In qualche modo sono loro gli sconfitti moralmente e politicamente. Così si spiegano sia i fischi, dettati da sentimenti di odio e di rivalsa, con i quali verrà accolto l’arrivo del Colonnello Bosco al molo per imbarcarsi, sia una specie di scaramuccia che viene tentata dai Garibaldini.
Ma tutto questo è niente.
Nell’accordo fra l’Anzani e il Dittatore Nizzardo viene inserita la vergognosa e miserabile condizione che il Colonnello Bosco dovrà allontanarsi dall’Esercito Duosiciliano per almeno sei mesi. Una condizione assurda ed incredibile, che tuttavia denota il terrore che un semplice ufficiale Duosiciliano, che compie fino in fondo il proprio dovere, riesce ad incutere a Garibaldi ed alla sua «invincibile armata». Ed ai doppiogiochisti del Governo di Napoli…
(2) Francesco Anzani, nato ad Ariano Irpino il 16 aprile 1801, ex allievo della Nunziatella, servì l’Esercito Duosiciliano come ufficiale del Genio fino al 1848. Poi fu assegnato, con il grado di Capitano, allo Stato Maggiore e fu al servizio di Re Ferdinando II. Fece una brillante carriera. Nel 1859 fu nominato Capo di Stato Maggiore, con il grado intanto conseguito di tenente Colonnello, presso il Generale Pianell, al quale era stata affidata la protezione della frontiera abruzzese. Diventato il Pianell Ministro della Guerra, l’Anzani lo seguì e il suo primo incarico fu quello, appunto, di concludere con Garibaldi la capitolazione e il ritiro delle truppe che avevano tanto valorosamente combattuto a Milazzo. Il 7 settembre dello stesso anno, 1860, l’Anzani si ritirò a vita privata, seguendo di pochi giorni la decisione del suo amico e superiore Generale Pianell, che il 2 settembre si era dimesso da Ministro della Guerra. Il Pianell – per la verità – con le sue dimissioni completa l’opera di doppiogiochista e di «demolitore» del Regno delle Due Sicilie. È l’Anzani sulle stesse posizioni? Non siamo in grado di dirlo con certezza. Anche perché, se è vero che l’Anzani stipulò con Garibaldi un pessimo accordo di resa, in obbedienza, ad ordini impartitigli dal Pianell, è pure vero che non entrerà mai nell’Esercito Italiano; così come avrebbe fatto il suo ex-superiore Pianell che avrebbe pure avuto incarichi importanti ed ampi riconoscimenti dall’ex nemico piemontese. Va anche detto che il fratello di Francesco Anzani, Girolamo, fu il principale ispiratore della grande, sanguinosa, rivoluzione avvenuta, sempre nel mese di settembre del 1860, ad Ariano Irpino, contro il Governo Garibaldino-piemontese.
QUI TROVARE LA DODICESIMA PUNTATA
QUI UN ARTICOLO DI IGNAZIO COPPOLA SULLA RIVOLTA DELLA GANCIA
Foto tratta da La nostra Milazzo
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