Il mercato della pasta oggi. Il rapporto ventennale tra il pastificio Tomasello e il gruppo Barilla. I consumatori che guardano sempre più alla qualità. La consapevolezza degli agricoltori siciliani. Il glifosato e le micotossine. I contratti di filiera. Il ruolo della politica. Margherita Tomasello racconta il mondo della pasta, il grano duro siciliano e altro ancora
Qualche giorno fa abbiamo ripreso un post su Facebook di Margherita Tomasello che commentava il ritorno in Sicilia del gruppo Barilla. In realtà, è stata proprio lei a precisare che questo gruppo imprenditoriale torna nella nostra Isola, visto che si diceva che la Sicilia avrebbe “conquistato” la fiducia dell’azienda che produce pasta.
Il post ci ha un po’ incuriositi. Così abbiamo deciso di intervistare Margherita Tomasello per parlare non soltanto del ritorno di Barilla in Sicilia, ma del mondo del grano e del mondo della pasta nella nostra Isola. Perché la famiglia Tomasello, è noto, per tanti anni ha prodotto pasta nel pastifici che aveva sede a Casteldaccia, in provincia di Palermo. E Margherita – che oggi è dirigente di Confcommercio – è stata per anni al vertice di questa gloriosa azienda siciliana che ha chiuso i battenti nel 2014.
Allora Margherita Tomasello, nostalgia per l’azienda di famiglia?
“Assolutamente sì, perché sin da piccoli mio padre mi diceva che al posto del sangue abbiamo farina e acqua nelle nostre vene. Purtroppo oggi questa ‘semola’ non la possiamo più usare”.
Come vedi oggi il mondo della pasta in Italia?
“Sicuramente in grande evoluzione, perché finalmente il consumatore è più interessato non al prezzo ma alla qualità. Quindi si chiede una qualità più pregiata e certamente più sicura”.
Cosa intende per qualità della pasta?
“La qualità della pasta sta a monte, ossia nel suo principale ingrediente: il grano duro. Un grano di qualità fa la differenza con la pasta che oggi troviamo nelle nostre tavole. E questo a prescindere se si tratta di una pasta industriale o artigianale. Il grano duro utilizzato deve essere di qualità elevata. Precisando che, per qualità della pasta, non si intende solo l’apporto proteico, cioè il glutine, ma anche qualità in termini di coltivazione e stoccaggio del grano”.
A proposito di qualità: quanto dovrebbe costare un Kg di pasta prodotta con grano vero duro vero, possibilmente del Sud Italia?
“Il prezzo della pasta oggi non può andare al di sotto di 1,40 euro al Kg. Questo, ovviamente, se la pasta è prodotta nel rispetto di tutti i parametri richiesti ad un buon grano duro e di un’attenta procedura aziendale che salvaguardi la qualità e, quindi, la sanità del prodotto. Purtroppo la non adeguata legislazione ha portato la Grande distribuzione a imporre costi bassissimi. Molte aziende si sono dovute adeguare ai prezzi bassi e la qualità, spesso, va a farsi benedire!”.
Se non ricordiamo male, questo è uno dei motivi per i quali avete chiuso l’azienda di famiglia.
“Esattamente! Noi, pur mantenendo un’alta qualità della pasta – che producevamo con grano duro siciliano – eravamo costretti a vendere il prodotto sotto costo. Una pazzia che oggi non tollererei mai più. Anche perché oggi si consuma sempre meno pasta. Le abitudini alimentari sono cambiate e si pretende, grazie al cielo, che quello che si consuma sia di alta qualità”.
“Ma, forse mentre lo diceva aveva un incubo… Scherzi a parte, noi abbiamo lavorato sia con il grano canadese fino al 2008 per poi convertire tutta la nostra produzione con il grano siciliano, tra i migliori grani duri presenti in Italia. Non parlo di grani antichi, ma grani assolutamente normali: Simeto, Arcangelo, Duilio e altre varietà: tutti grani duri di grande qualità. Poi, è chiaro, tutto dipende dal metodo di coltivazione dei nostri agricoltori che nulla hanno da invidiare alle più grandi multinazionali che coltivano il grano duro nelle aree fredde e umide. La differenza sta nel fatto che noi abbiamo il sole, mentre loro hanno la neve. E ho detto tutto…”.
Nei giorni scorsi ha commentato un articolo correggendo l’annunciata presenza di Barilla in Sicilia. Precisando che si tratta di un ritorno. Può illustrare meglio La sua riflessione?
“Consideri che l’ultima produzione di pasta l’abbiamo fatta proprio per Barilla nell’Ottobre del 2014. Poi a fine Ottobre abbiamo chiuso l’azienda. Abbiamo lavorato per Barilla per più di 20 anni, seguendo inizialmente i loro parametri; per poi continuare con i nostri, visto il risultato eccellente che ottenevamo. Purtroppo in quell’articolo si parla proprio di un commerciante dal quale acquistavamo il grano che serviva anche per Barilla: quindi mi è sembrato veramente un po’ strano leggere quel commento”.
Lei oggi che pasta porta sulla propria tavola?
“Sinceramente oggi non acquisto Barilla e mai più l’acquisterò. Diciamo che non rientra nei miei parametri, mettiamola così”.
Cosa pensa della nostra proposta? Ovvero: una grande alleanza tra tutti i produttori di grano duro del Sud per mettere sul mercato il grano duro del Mezzogiorno d’Italia al prezzo di 40 euro a quintale, come il grano Desert Durum americano.
“Certe volte penso come il mercato del vino si è sviluppato ed è cresciuto in maniera esponenziale, diventando un forte ed importante volano per l’economia. Penso quindi che sia arrivato il momento anche per il grano duro del Sud Italia e siciliano: serve un passo deciso verso l’eccellenza. Per rivalutare la qualità del prodotto e quindi il prezzo. Bisogna avere un po’ più di coraggio e la consapevolezza nel trovare la giusta misura per portare avanti un progetto innovativo. L’esatto contrario di quanto è stato fatto fino ad oggi, se è vero che il Sud e la Sicilia stati utilizzati come terra di conquista e calmiere dei prezzi”.
Scommetterebbe in Sicilia su una linea di pasta artigianale fatta con grano duro siciliano?
“Assolutamente sì. Ci sono già piccoli pastifici che hanno iniziato questa procedura: e sono pastifici che ci garantiscono la provenienza del prodotto. Lo si capisce proprio dal prezzo che diventa più alto rispetto ad altre paste. In più abbiamo la certezza che si consuma il nostro prodotto: quindi ben venga, anche da parte del produttore di pasta, una linea solo con grani siciliani. Anche perché, lo ripeto, l’eccellenza delle nostre coltivazioni, l’eccellenza dei grani duri siciliani non è inferiore a nessun altro grano duro. La mia sensazione è che i consumatori sono consapevoli dell’eccellenza del grano duro siciliano, mentre gli agricoltori della nostra Isola lo sono un po’ meno”.
Perché gli agricoltori siciliani sarebbero un po’ meno consapevoli?
“Perché passano più tempo a lamentarsi che a trovare soluzioni. Qui si deve veramente arrivare ad una svolta. Per esempio, non è normale che ancora oggi le certificazioni dei grani vengano fatte in altre Regioni! Non è normale che si debba pagare una sorta di ‘pizzo’ a soggetti che nulla hanno a che vedere con il Sud, con la Sicilia e con la stessa storia del grano duro per poter coltivare grani che, senza alcun criterio, sono diventati di proprietà altrui! Il grano è un bene di tutti e per questo va tutelato e promosso in tutto il mondo. Noi vendevamo il made in Sicily, ed era questa la nostra forza”.
Oggi i consumatori quando sentono parlare di pasta industriale pensano al glifosato e alle micotossine. Lei cosa pensa?
“Non è un problema della Sicilia e del Sud Italia perché il grano dalle nostre parti matura grazie al sole. Nessun bisogno di fare ricorso al glifosato e il sole impedisce anche il formarsi delle micotossine. Tuttavia il problema esiste, perché ancora oggi c’è chi acquista navi di grano estero e quindi bisogna effettivamente stare attenti alla pasta che troviamo in commercio. Sarebbe bello poter scrivere nell’etichetta solo grano siciliano, certificando e controllando che si tratti di grano duro siciliano”.
Cosa pensa dei contratti di filiera?
“Tutto sommato potrebbero essere una soluzione. Con alcune precisazioni, però. Intanto potrebbero essere uno strumento positivo, perché eliminano l’intermediazione dei commercianti. Dopo di che va fatto un ragionamento. I contratti di filiera vengono stipulati da due parti: industria e agricoltori. Ambedue le parti devono comunque e sempre trovarne giovamento. Quindi è importante che il contratto di filiera venga stipulato, per la parte industriale, non da chi vuole far soccombere gli agricoltori, ma da chi vuole fare squadra insieme, senza imposizioni che appesantiscano i costi di produzione per gli agricoltori. Solo così si possono ottenere ottimi risultati per gli industriali e per gli agricoltori. Penso a industriali che amano il territorio non certo a chi viene nel Sud e in Sicilia per sfruttarlo. Il mio sogno sarebbe quello di vedere la Sicilia chiamata nuovamente il granaio d’Italia: un luogo dove si crea l’eccellenza, perché di eccellenza ne abbiamo tanta”.
La politica che ruolo può giocare?
“Un ruolo centrale. Come ho già accennato, oggi il mercato della pasta chiede qualità. E la Sicilia ha tutti i numeri per potere offrire una pasta di elevata qualità. Mi auguro che la politica possa capire l’importanza di questo cambiamento ed invece di perdere l’ennesimo treno possa essere di aiuto, non con l’assistenzialismo, ma con aiuti concreti sul fronte della ricerca per continuare a sviluppare il prodotto. La Sicilia può contare sul Consorzio di ricerca ‘Gian Pietro Ballatore’, sulla Stazione sperimentale di granicoltura di Caltagirone. Sono realtà di grande pregio che possono essere utilizzate al meglio”.
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