La verità sulla battaglia di Milazzo è che l’Armata Anglo-piemontese-garibaldino-ungherese-mafioso-camorrista e… sabauda era – come in tutte le battaglie garibaldine in Sicilia – numericamente superiore ai soldati Duosiciliani. Ma lo scrittore Dumas ha inventato di sana pianta atti eroici di Garibaldi che invece scappava per terra e per mare temendo di essere scannato. Ennesimo falso storico!
di Giuseppe Scianò
Dal grande scontro alla lenta ritirata del Bosco
I soldati Duosiciliani si ritirano, combattendo, nella Fortezza. E i Garibaldini possono entrare a Milazzo, priva ormai di presidi militari.
Per completezza di informazione dobbiamo precisare che, a Milazzo, a poca distanza dalla città ed in posizione sopraelevata, fa bella mostra di sé la poderosa fortezza, denominata il Castello. È, ancora, in mano Duosiciliana, con una dotazione di alcune centinaia di uomini e qualche cannone. Al comando del Castello è da poco tempo preposto il Colonnello Pironti. Quest’ultimo, però, fin dal primo momento dell’arrivo del Bosco, adducendo il pretesto di essere il militare di grado più alto perché più anziano, snobba il collega più giovane; non si lascia coinvolgere nei combattimenti e si limita a difendere la «fortezza».
La batteria in dotazione al forte del resto è composta da cannoni molto antichi e di difficile manovrabilità. La polveriera è allocata in un magazzino poco sicuro. Il Castello non è affatto una fortezza in grado di resistere a lungo al tiro delle artiglierie del XIX secolo.
Secondo il Buttà, il conflitto di competenze fra i due ufficiali non sarebbe stato casuale, ma piuttosto frutto di una perfidia del Clary che avrebbe di proposito destinato un Colonnello, il Pironti, a comandare la piazza ed un altro Colonnello, il Bosco, a comandare una brigata operativa. Il tutto andava a vantaggio del nemico.
I SOLITI TRADITORI AL SOLDO DEGLI INGLESI – Nel momento culminante della battaglia il Bosco manda a chiedere al Pironti l’invio di 300 uomini che, intervenendo freschi ed inaspettati in quel combattimento, avrebbero potuto fare volgere in favore dei Duosiciliani l’esito di una fase almeno della battaglia. Il Pironti rifiuta ancora una volta di partecipare ai combattimenti. Consente tuttavia che 100 dei suoi soldati siano utilizzati nell’opera di soccorso sanitario e per trasportare i feriti ed i morti all’interno della fortezza.
Analogo rifiuto (di mandare altre truppe) oppone, da Messina, il Clary ad alcuni messaggeri, inviatigli dal Bosco per aggiornarlo sullo svolgimento delle operazioni militari e per fargli comprendere che l’Armata Garibaldina può essere sconfitta. A condizione però che in campo scenda almeno un altro reggimento di soldati Duosiciliani.
Niente da fare. Il Bosco viene lasciato solo in un rapporto con il nemico che va certamente oltre l’uno a cinque.
In campo garibaldino, tuttavia, le perdite sono notevolissime ed il Medici non sfonda, né riesce ad accerchiare il Bosco. Nonostante l’intervento del Generale Cosenz che, da posizione di riserva, è intanto sceso in campo con i suoi uomini.
E GARIBALDI ‘A MALINCUORE’ E LA DA’ A GAMBRE… Garibaldi si muove con difficoltà, come sempre nelle battaglie campali o, meglio, nelle battaglie vere e proprie. Rischia anche di essere travolto dalla carica di un drappello di cavalieri Duosiciliani. Lo Stato Maggiore Garibaldino, a questo punto, lo invita a recarsi sul «Veloce», a debita distanza cioè dalla zona dei combattimenti. Sia pure a malincuore, il Generale-Dittatore decide di accettare l’«invito» e si reca quindi a bordo del Veloce da dove seguirà gli scontri, da spettatore, con il suo binocolo.
Il Medici ed il Cosenz, militari con lunga esperienza alle spalle, prendono così in mano il comando delle forze garibaldine in campo, che vengono calcolate in un numero oscillante fra gli otto e i dodicimila uomini, grazie anche ai rinforzi che continuano ad arrivare senza sosta. In quella battaglia avverrà di tutto. Dai corpo a corpo, alle brevi e veloci cariche di cavalleria, al fuoco di artiglieria ad ampie manovre per accerchiare i nemici o per spezzare gli accerchiamenti.
I Garibaldini occupano quasi tutti i fabbricati di civile abitazione o di uso agricolo-pastorale che esistono nella pianura e nelle colline circostanti per farne altrettanti fortini e piccole basi di attacco. A loro si aggiungono non pochi picciotti di mafia che, da dietro qualche muretto, sanno pure sparare.
I soldati Duosiciliani, dopo alcune ore, cominciano ad avvertire la sete e la stanchezza. Non hanno ricambi (a differenza dei Garibaldini che possono alternare negli attacchi e nelle prime linee migliaia di uomini).
Ma non mollano. Sono tutti eroi. Si combatte senza tregua. Ad ogni attacco si risponde con un contrattacco.
Il Buttà scriverà che si è fatto di tutto tranne che combattere alla baionetta, come, dopo qualche anno dai fatti, diranno le storiografie ufficiali e lo stesso Garibaldi, riferendosi al modo di combattere dei soldati dell’Armata Anglo-piemontese-garibaldino-ungherese-mafioso-camorrista e… sabauda.
Dopo otto ore di accesi combattimenti, il Generale Medici ritiene giunto il momento di sferrare l’attacco conclusivo verso il centro dello schieramento Duosiciliano, mentre alcuni reggimenti si spingono con forza sulle fasce laterali. Sembra la manovra vincente per i Garibaldini, considerate anche l’inferiorità numerica dei soldati Duosiciliani e la loro stanchezza.
Il Bosco, senza perdere la calma, fa dare ai suoi uomini il segnale di ritirata lenta con tocchi di tromba che, come sappiamo, i Garibaldini non riescono ad interpretare. I Duosiciliani si ricompattano, restringono la linea dei combattimenti evitando di farsi chiudere nelle tenaglie del tentativo di accerchiamento e – sempre sparando – ripiegano verso la città di Milazzo.
Nell’effettuare il ripiegamento, i Duosiciliani si avvicinano necessaria- mente alla marina.
E GARIBALDI E IL ‘VELOCE’ SE LA DANNO A GAMBE! – A questo punto Garibaldi fa avvicinare il più possibile alla spiaggia il Veloce e dà disposizioni per fare bersagliare di cannonate le truppe Duosiciliane. Le cannonate sono a mitraglia e per la verità soltanto rara- mente raggiungono le truppe Duosiciliane.
A questo punto il Pironti ha uno sprazzo di amor di patria ed ordina ai suoi uomini di sparare cannonate a palla dal forte sul Veloce. È un imprevisto al quale Garibaldi non ha pensato. I colpi riescono a sfiorare il piroscafo garibaldino che è costretto ad allontanarsi «velocemente» da quell’area, tenendo fede alla propria denominazione.
Il Bosco, prendendo atto della disponibilità mostrata, sia pure tardivamente, dal Pironti e ritenendo più sicuro ritirarsi nella Fortezza anziché nella città, con la consueta lentezza tattica, fa ritirare i suoi verso quest’ultima destinazione. Una piccola, ma importante, variante.
I Garibaldini lì per lì rimangono spiazzati; soltanto dopo due ore decideranno di avanzare verso la città, priva ormai del presidio Duosiciliano. In questa avanzata i Garibaldini vengono disturbati dalle artiglierie Duosi- ciliane, ma non troppo. Il Bosco non vuole altro spargimento di sangue. Ritiene, peraltro, che sia meglio non coinvolgere la cittadinanza di Milazzo nei combattimenti e ritiene altresì che nel caso in cui il Clary mandasse dei rinforzi la sua libertà di movimento sarebbe maggiore. Cosa, questa, che potrebbe consentirgli di lanciare un grande contrattacco.
Non sappiamo se il suo ragionamento sia stato veramente il migliore possibile. Certo è che il Clary non abbocca e coglie un pretesto in più per non intervenire. I Garibaldini, a loro volta, manderanno nel loro circuito propagandistico la notizia di una grande vittoria e della disfatta di un nemico numericamente superiore ed ottimamente armato ed equipaggiato. E racconteranno mirabilie sulla conquista della città.
Qual è il vero consuntivo di quella giornata di combattimenti? Il Buttà così risponde:
«I regi, dopo otto ore di pugna sotto la sferza del sole di luglio, combattendo uno contro dieci senza mai riposare, senza né mangiare né bere, mostrarono che valeano assai quando erano condotti alla guerra da duci non vili o non compri. Perdemmo 3 uffiziali e 38 soldati, 83 feriti, e 21 prigionieri. Questo poco danno della truppa nella giornata di Milazzo si deve ascrivere all’abilità del come dispose e condusse i soldati il Duce Bosco. I prigionieri della truppa piemontese, diggià Garibaldini, ci dicevano essere diecimila tra soldati sardi, Garibaldini del Continente ed esteri, oltre alle bande siciliane».(12)
Ma non è finita. Sentiamo ora cosa è avvenuto in campo garibaldino, sempre dalle parole di Padre Buttà, che si preoccupa di contestare le menzogne del Dumas e degli altri scrittori e che cominciano a circolare dando manforte alla propaganda unitaria.
Padre Buttà, tuttavia, non immagina neppure lontanamente i miti che nel secolo successivo sarebbero stati inventati o i lavaggi di cervello che sarebbero stati attuati per convincere i Siciliani e i Meridionali tutti di essere entrati, con il 1860, nell’età dell’oro e della civiltà più avanzata. E così scrive:
«Alcuni Garibaldini ci assicuravano che avevano perduto mille e cinquecento compagni nel grosso fatto d’armi di Milazzo. Il Bertani, in un proclama a’ volontari, scrisse: i Mille caduti a Milazzo. Garibaldi disse al Comandante del vapore francese il Protis, come avesse ottomila uomini tra soldati del Piemonte e Garibaldini, oltre alle bande siciliane, e come avea perduti ottocento de’ più prodi».
Così conclude la sua testimonianza sulla battaglia il buon Padre Buttà:
«Sulla giornata di Milazzo ho detto coscienziosamente ciò che vidi ed osservai. Intanto su quella giornata si spacciarono menzogne iperboliche, e si inventarono episodii e duelli simili a quelli della “Gerusalemme liberata”. Bosco e Garibaldi si fecero venire a singolare tenzone. Chi vide Garibaldi? Costui da uomo prudente e preveggente, sin dal principio della pugna, se ne andò sul “Veloce”: e buon per lui, che non venne al duello col Bosco. Era a Milazzo il romanziere Dumas, a cui Garibaldi, sotto lo specioso titolo che avesse comprato 1500 fucili, avea dato delle lettere per esigersi dal tesoro di Palermo centomila franchi. Il sindaco Verdura non volle pagarli, il ProDittatore ne pagò sessantamila. Il Dumas inebriato di quella non lieve somma scrisse e stampò sul fatto d’armi di Milazzo menzogne sperticate, cose delle “Mille ed una notte”. Descrisse Garibaldi un Orlando furioso per la forza, un Federico II di Prussia ed un Napoleone 1° per la strategia militare. Fra le altre cose narrò che avea veduto innumerevoli schiere di soldati Napoletani combattere in Milazzo contro duemila e cinquecento ragazzi Garibaldini. Fu questo un fenomeno ottico prodotto da que’ belli sessantamila franchi, perché non erano di carta straccia, ma allora luccicavano, ed aveano la immagine del “ti- ranno” di Napoli».
(12) G. Buttà, op. cit., pagg. 89-90.
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Foto tratta da Castelliere
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