J'Accuse

Catalogna, la sentenza politica fa riesplodere le proteste

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Un vero e proprio capolavoro politico: la condanna dei leader separatisti riaccende e riunifica il popolo catalano che, dopo i fatti del 2017, sembrava avere perso forza e determinazione

Riesplode la protesta del popolo catalano.  A riaccendere la miccia, la scandalosa sentenza (politica) emessa nei giorni scorsi dal Tribunal Supremo di Madrid, massimo organo del sistema giudiziario, contro i 12 leader dell’indipendentismo catalano (condanne da 9 ai 12 anni di reclusione), rei di avere organizzato il referendum- consultivo- sull’indipendenza del 1 Ottobre del 2017, cui seguì la dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Atti politici che ribadivano la volontà della maggioranza dei catalani di avviare una trattativa con Madrid per la separazione ‘consensuale’.

La risposta dello Stato spagnolo, accusato dai catalani e da molte organizzazioni internazionali (come l’Agenzia per i diritti umani dell’Onu) di autoritarismo, è stata durissima allora come  ora.

Ma ciò che le autorità spagnole non avevano previsto sono gli effetti della sentenza, che, di fatto,  ha risvegliato un leone dormiente:  il popolo catalano che, dopo i fatti del 2017, sembrava avere perso un po’ della sua determinazione, si è risvegliato più agguerrito che mai.

Siamo stati a Barcellona a Maggio di quest’anno. La bandiera estelada (simbolo dell’indipendentismo catalano) non sventolava più da tutti i balconi delle vie principali della città. Parlando con le persone, nei negozi, sui taxi, per strada, avevamo colto un senso di stanchezza, uno scoramento dinnanzi alle reazioni “franchiste” di Madrid ed anche una forte autocritica, una sorta di frattura tra i cittadini e i loro leader politici.

Ebbene, la sentenza di condanna dei leader separatisti, è stata un vero e proprio ‘capolavoro politico’: ha riunito i catalani, ha riacceso in loro la voglia di lottare per i  loro diritti, per la democrazia negata.

Così, in questi giorni, le strade di tutta la Catalogna sono inondate dal popolo che con una voce sola chiede giustizia. E torna a chiedere la separazione: ” Contra la sentencia: Indipendencia”. 

E, ancora una volta, non mancano reazioni violente da parte della polizia che spara proiettili di gomma, arresta i manifestanti (una cinquantina) e li manda anche in ospedale, almeno un centinaio di feriti.

Aggiungiamo che, secondo i quotidiani catalani, sia la polizia spagnola che  catalana “coordinate sotto un unico dispositivo” stanno entrambe usando una violenza sproporzionata nei confronti dei manifestanti.

Ovviamente, il governo spagnolo accusa i manifestanti catalani di avere provocato le violenze. C’è chi parla di infiltrati. Il gioco è sempre lo stesso. Screditare per sopprimere.  E i catalani lo sanno. Non a caso, Oriol Junqueras, ex numero due del governo della Catalogna e uno dei leader indipendentisti condannati per il tentativo di secessione nel 2017, lancia un appello via Twitter: “Dobbiamo restare mobilitati – scrive sul suo profilo – ma respingendo la violenza da qualunque parte essa provenga”.

Le proteste hanno interessato, oltre Barcellona, le città di Girona, Tarragona, Lleida e Sabadell.  Le chiamano “Marce per la Libertà”.  E il prossimo 26 Ottobre si riuniranno tutti a Barcellona per una manifestazione che si preannuncia imponente. Intanto, stamattina, stanno protestando gli studenti catalani in diverse città della regione. Anche loro, infatti, hanno deciso di reagire a quello che considerano l’ennesimo sopruso da parte dello stato spagnolo.

Il governo catalano, col suo presidente, Quim Torra, finora prudentissimo, ha annunciato che entro questa legislatura la Catalogna è decisa ad affermare il suo diritto all’autodeterminazione con il ritorno alle urne. E chiede l’amnistia per i condannati.

Un vulcano in piena eruzione. Che rischia di travolgere Madrid dove si susseguono le riunioni dei partiti politici nazionali per fronteggiare la situazione. In che modo? Certo è che altri provvedimenti autoritari farebbero precipitare ulteriormente  la situazione e certo è che il silenzio dell’Unione europea pesa come un macigno: se è vero che le questioni nazionaliste sono un terreno scivoloso, è anche vero che girarsi dall’altra parte, mentre è in corso una repressione in uno Stato europeo che dovrebbe essere democratico, è vergognoso.

Un silenzio di cui approffitta  Pedro Sanchez, primo ministro socialista (?) che, nel tentativo di screditare i catalani, ha dichiarato che la loro causa non ha avuto appoggi internazionali. Cosa non vera del tutto (all’interno di molti Paesi europei ci sono stati e ci sono partiti che appoggiano i Catalani.  Al di fuori dei confini europei, Israele non è certo nemico di Barcellona e persino in ambienti vicini al Vaticano si guarda con empatia alla causa catalana), ma che può essere certamente riferita alle istituzioni europee che fingono di non vedere:

“Chi non sta da una parte o dall’altra della barricata, è la barricata” diceva Lenin. Ed è chiaro che il mancato intervento dell’Ue, del suo Parlamento, fa il gioco di Madrid.

C’è però una istituzione europea a cui i catalani guardano: la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo cui si rivolgeranno contro la sentenza.

Ma affidare tale questione ad un organismo più incline ai tecnicismi che all’essenza delle questioni, non può che essere considerato l’ennesimo fallimento della politica e dell’Unione europea.

ndr A proposito del lavoro congiunto dei Mossos  d’Esquadra con la polizia spagnola, va ricordato che dopo i fatti del 2017 e il conseguente commissariamento dell’Autonomia catalana (articolo 155 della Costituzione spagnola), la polizia catalana ha di fatto perso molti poteri. Lo specifichiamo in seguito ad alcune osservazioni di una lettrice e torneremo sull’argomento. 

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