Mafia, Pippo Giordano racconta/ Quando i mafiosi sciolsero nell’acido un uomo che ancora si muoveva!

13 ottobre 2019

Pippo Giordano, siciliano di Palermo, per tanti anni stretto collaboratore di Giovanni Falcone, la mafia la conosce molto bene. Da qui la sua critica al pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) sull’Italia (leggere ergastolo ostativo). “Giova che io racconti fatti disumani dei quali sono stato testimone oculare”, dice. Ecco il suo racconto

di Pippo Giordano

Il recente respingimento da parte del Cedu di Strasburgo (Corte europea dei diritti dell’uomo) e del ricorso relativo all’ergastolo ostativo presentato dall’Italia, mi costringe ad evidenziare, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la necessità di non stravolgere il fine per il quale fu necessario prevedere l’ergastolo ostativo. Io penso che i Giudici del Cedu, nel rigettare il ricorso, non hanno ben compreso la pericolosità dei mafiosi e terroristi. Parimenti, anche esponenti, di organizzazioni umanitarie, che hanno espresso plauso al rigetto del ricorso, pensano che gli uomini di Cosa nostra siano persone che possano redimersi.

Salvo casi di pentimento, il mafioso è e rimane mafioso: ne consegue, proprio per l’arcaica mentalità, che difficilmente egli possa essere recuperato come previsto dai dettami della nostra Costituzione.

Chi scrive – manovale dell’antimafia – non è esperto di cose di mafia, ma conosce “un’anticchia” (un poco, mettiamola così) mentalità, espressioni gergali e mutismo degli uomini cosiddetti d’onore. Ed è proprio per la conoscenza diretta che mi permetto di affermare che i Giudici del Cedu hanno commesso un grave errore nel rigettare il ricorso in narrativa.

Si fa riferimento, nei fatti di specie, ai “diritti dell’uomo”: e come non essere d’accordo? Epperò si dovrebbe tener conto che i soggetti, beneficiari del rigetto, hanno dolosamente calpestato il “diritto alla vita” di centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini. E quindi vorrei far rilevare che i mafiosi, nel loro agire, hanno dimostrato brutalità e disumanità nel togliere la vita ad altri.

Giova che io racconti fatti disumani dei quali sono stato testimone oculare. Nel tempo la mafia siciliana ha mutato modus operandi per uccidere. L’uso del tritolo o le armi da fuoco sono rimaste pressoché invariate. Il vero cambiamento è avvenuto per le “lupare bianche”.

Tantissimi anni or sono la mafia, per sbarazzarsi dei cadaveri, era solita gettarli nel cemento utilizzato per costruire palazzi. Poi si affinarono, gettando i cadaveri nelle porcilaie per darli in pasto ai maiali.

Mi ha raccontato, un pentito, che questo metodo è stato abbandonato perché i maiali non riuscivano ad addentare la testa del morto e quindi erano costretti a frantumarla con una grossa mazza. In alcuni casi, il cadavere è stato letteralmente bruciato. Ma il fuoco non riesce a distruggere la milza.

Negli anni Settanta-Ottanta Cosa nostra compie il salto di qualità: scopre l’acido come mezzo di liquefazione dei cadaveri. Pratica che ha visto un aumento esponenziale nei primi anni ’80. Un metodo collaudato, che ha visto l’apice nella zona di Sant’Erasmo di Palermo, nella cosiddetta “camera della morte”. Ma quella camera non era l’unica: in altri siti veniva compiuta la stessa pratica.

A tal proposito, racconto un dialogo tra chi scrive e un pentito:

“Pippo hai presente quel magazzino abbandonato in via Messina Montagna?” (Palermo).

“Sì, lo conosco bene! Tante volte ci sono entrato”.

“Ebbene, un giorno prelevammo da casa uno (fece il nome) lo portammo lì dentro e l’ammazzammo. Io ero con… Prendemmo il corpo e lo stavamo infilando dentro il bidone dell’acido per eliminarlo definitivamente. Ma ad un certo punto il corpo si mise a tremare come se fosse ancora in vita. Ci spaventammo, e fuggimmo. Io iniziai a ridere dicendo: ‘Ma come, eravate killer di professione e vi siete spaventati davanti a un morto? Non ci posso credere!’ Pippo, poi siamo ritornati indietro e abbiamo visto che il corpo piano piano si scioglieva”.

Anche il piccolo Giuseppe Di Matteo è stato sciolto nell’acido. La “famigghia” mafiosa che utilizzava la “camera della morte” non disdegnava, di tanto in tanto, di caricare i cadaveri sulle barche per poi gettarli, con una zavorra legata al collo, in mare aperto.

Giudici del Cedu di Strasburgo, sono questi gli umani?

Foto tratta da Antimafia 2000

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