Si sono presi mezza economia italiana (e forse più) e ci preoccupiamo per i dazi doganali di Trump?

4 ottobre 2019

Certo che l’Italia è un Paese strano. Negli ultimi anni americani, svizzeri, francesi, tedeschi, spagnoli, russi, cinesi, giapponesi, da poco anche gli indiani (dell’India), turchi, olandesi, inglesi, sudafricani, thailandesi e anche il Qatar si sono presi il meglio della nostra economia. E noi di cosa ci preoccupiamo? Dei dazi doganali americani…

di Antonino Privitera

Da qualche giorno si è intensificata l’attenzione ai propositi del Presidente Trump di volere difendere il Made in USA. Invero la meraviglia e l’allarme scatenati in questi giorni non dovrebbero essere una sorpresa, poiché già nella campagna elettorale di quattro anni, fa l’allora improbabile sfidante dell’avvocato Hillary Rodham in Clinton, Donald Trump ne fece argomento trainante.

La novità è che, a fronte delle chiacchiere prodotte dai politici nostrani, che siamo abituati a sentire, sorbirci, fagocitare e metabolizzare, questo inaspettato e mal tollerato protagonista della scena mondiale, alle chiacchiere sta facendo seguire le promesse elettorali condensate nel suo slogan “Make America great again”.

Certo, in tempi di globalizzazione sfrenata, l’affidabilità di un personaggio poco politico ha fatto pensare ai potenti dell’economia e finanza che non avrebbe potuto reggere al volere dei mercati. La perseveranza a perseguire quanto non ha apertamente dichiarato ma lasciato spazio all’immaginazione di coloro che aspiravano al cambiamento, sotteso nello slogan, ha dato e sta dando risultati che di fatto lo slogan prometteva.

Dopo anni di dabbenaggine e abbandono al destino della globalizzazione dell’economia mondiale nelle mani del colosso cinese, l’America è ritornata protagonista e la Cina ha dovuto tenere in conto che non esiste solo ‘lei’. La cosa che stupisce non poco è che l’Europa si sta accorgendo solo adesso di quanto sta succedendo. Chi non ricorda le farneticanti asserzioni che magnificavano la globalizzazione dell’economia, mentre nel frattempo gli imprenditori europei delocalizzavano e la quasi totalità delle attività produttive italiane sono state svendute inneggiando agli investimenti che i Paesi stranieri – in particolare la CINA – hanno fatto soprattutto in Italia.

La dabbenaggine italica è aberrante e, mentre ci fustighiamo perché non siamo più produttivi, il nostro PIL è “surgelato” e non cresce, l’occupazione è sotto la media degli altri Paesi, i nostri “mammoni” dipendono dai genitori e dai nonni e quelli che non hanno queste “fortune” emigrano, dobbiamo sentire altri soloni appena svegliati che scoprono il danni che causeranno i dazi annunciati dal Presidente Trump!

La sventura cadrà sul Parmigiano e sul Pecorino romano e, addirittura, c’è chi si dispera perché – se “finalmente” l’UE reagirà ai dazi – il jeans o il rossetto proveniente dagli USA costerà di più… mentre non si accorge di quanto arriva dai Paesi dell’Est (Cina, Tailandia, Bangladesh, Coree, Turchia, India…) e delle grossolane contraffazioni e sofisticazioni dell’agroalimentare italiano.

Grazie a questi eccelsi dibattiti c’è anche chi dice che il Parmigiano negli Usa potrebbe aumentare dagli attuali 40 dollari a 70 dollari… ma se è previsto un incremento da 2,5 a 6 dollari al chilo (cioè più 3,5 dollari) come fa ad aumentare di 30? Se i prezzi del Parmigiano sono questi, noi in Italia cosa compriamo sottoprodotti o Parmesan?

Le stesse considerazioni sono valide per il Pecorino romano e per i pecorini importati e venduti dalla grande distribuzione nel nostro Paese… Parimenti per gli altri prodotti di eccellenza Italiani come i vini, in specie per quelli prodotti nel Veneto, sì, perché per quelli prodotti nel Meridione ci ha già pensato di affossarli il “governatore Zaia”.

Ma, mentre il dibattito sui dazi americani si infervora, non si rileva la stessa preoccupazione nei riguardi della Cina, il vero colosso dell’economia mondiale. Questo Paese – comunista dentro e capitalista fuori – che con sapiente e lungimirante strategia ha condizionato e conquistato il Mondo.
Non sta a me analizzare i comportamenti e valutare se sono stati commessi errori strategici quando, come già si è detto.

Gli americani gettano gli occhi su Barilla, Plasmon, Stock, Italo Treno, Sps Italiana Pack Systems, Loquendo, Avio Aereo, Versace, Poltrone Frau, Roma Calcio, Bologna Calcio.

Gli svizzeri su Buitoni, Italgel Baci Perugina, Antica Gelateria del Corso, le acque minerali: Panna, San Pellegrino, Levissima, Recoaro, Vera, San Bernardo; Motta La Valle degli Orti, Fastweb.

I francesi su Parmalat, Galbani, Invernizzi, Locatelli, Boschetti Alimentari, Edison energia, Gucci, BNL Findomestic, Orzo Bimbo, “Loro Piana”, Bulgari Fendi, Pucci, Eridania, Fattorie Scaldasole, Ercole Marelli, Fiat Ferroviaria, Parizzi, Sasib Ferroviaria, Passoni & Villa , TIM.

I tedeschi su Italcementi, Ducati, Lamborghini, Acciaierie Speciali Terni.

Gli spagnoli su Carapelli, Sasso, Bertolli, Star, Salumi Fiorucci, Del Verde Alimentari.

I russi su ENEL (49%), Gancia, Acciaierie Lucchini.

I cinesi su Chianti Classico, WIND, TRE, quote di Terna, Snam, Ansaldo Energia, Moto Benelli, Pirelli, Krizia, Ferretti Yacth, Internazionale Calcio, Milan Calcio.

I giapponesi su Magneti Marelli, Ansaldo Breda.

E ancora: ILVA all’India; Pernigotti alla Turchia; Safilo agli olandesi, Omnitel gli inglesi, Peroni al Sud Africa, Rinascente alla Thailandia, Valentino al Qatar

Certo, può generare qualche perplessità che l’Europa si allarmi dei dazi americani – ignorando quelli cinesi – solo adesso che vengono rinverditi a seguito di attività connesse con produzioni di Airbus e possibili rincari di AUDI, BMW, Mercedes e Wolksvaghen che hanno un grande mercato negli USA…

Altro che Pecorino romano!

Foto tratta da Xped

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