Oltre il 97% dei prodotti alimentari commercializzati nel nostro Continente contiene residui di glifosato/ MATTINALE 412

29 settembre 2019

Uno degli effetti della globalizzazione dell’economia è “l’internalizzazione” del glifosato, presente ormai nel 97% dei cibi che finiscono sulle nostre tavole. La globalizzazione avvelena l’economia e avvelena le persone! Prima scomparirà l’Unione europea, che ci ha regalato globalizzazione

Lo scorso anno il quotidiano The Guardian che la FDA, sigla che sta per Food and Drug Administration, l’Agenzia per gli alimenti e i medicinali degli Stati Uniti d’America, non riusciva a trovare un alimento senza tracce di glifosato! I giornalisti sono riusciti a mettere il naso nelle mail interne alla FDA, ottenute in base alla legge sul diritto di accesso alle informazioni. Quello che è venuto fuori, ha raccontato poco più di un anno fa Il fatto alimentare, è sconvolgente.

Dalla lettura di una mail risulta che il chimico della FDA, Narong Chamkasem, racconta Il fatto alimentare, “ha trovato residui di glifosato oltre i limiti nel mais – 6,5 ​​parti per milione, contro il massimo ammissibile di 5,0 ppm – il che avrebbe dovuto essere segnalato all’Environmental Protection Agency (EPA), cosa non avvenuta perché in una mail un supervisore di Chamkasem gli disse che il mais non era considerato un ‘campione ufficiale’. Fatto smentito da un portavoce della FDA interpellato dal Guardian, secondo il quale i campioni ufficiali da sottoporre a test sono mais, soia, latte e uova, aggiungendo che in nessun campione sono stati superati i limiti massimi di residui di glifosato. Il portavoce della FDA non ha voluto però entrare nel merito delle mail ottenute dal quotidiano britannico”.

“Dai documenti della FDA – prosegue l’articolo de Il fatto alimentare – risulta che Chamkasem aveva trovato il glifosato anche in numerosi campioni di miele e in prodotti di farina d’avena. Dopo questi risultati, la FDA sospese temporaneamente i test e il laboratorio di Chamkasem venne riassegnato ad altri programmi, perché quei test non facevano parte del suo incarico sui residui di glifosato”.

Oggi noi vogliamo riprendere una petizione sul glifosato lanciata due anni fa da GranoSalus, l’associazione che raccoglie produttori di grano duro del Sud Italia e consumatori. Perché la rilanciamo? Perché l’uso smodato di glifosato in agricoltura e non soltanto in agricoltura: si pensi al diserbo dei cigli delle strade: a tal proposito, lo scorso 12 aprile, abbiamo pubblicato un video incredibile, dove si vede un’autobotte carica di glifosato che irrora i lati delle strade non preoccupandosi nemmeno del fatto che questo veleno sarebbe venuto a contatto con gli automobilisti!

Così facendo, da anni, i gestori delle strade ‘risparmiano’ sul personale (prima del glifosato e, in generale, degli erbicidi, il diserbo veniva effettuato manualmente: ricordate le case cantiniere lungo le strade gestite dall’ANAS? Chiediamoci da che cosa sono state sostituite…).

Lo stesso discorso vale per giardini pubblici: come è stato effettuato il diserbo in questi luoghi, in tutti questi anni?

Il dubbio è che il glifosato, tra campagna, strade e città piccole e grandi sia entrato nella nostra vita. Alimentato, anche, da tecniche agronomiche suicide, che hanno spinto fino all’inverosimile gli agricoltori all’uso del glifosato.

Il punto 1 della petizione di GranoSalusi ricorda che il glifosato – prodotto  e venduto dalla multinazionale Monsanto con il marchio commerciale Roundup (per la cronaca, la multinazionale americana Monsanto e la tedesca Byer oggi ‘viaggiano’ insieme, come potete leggere in questo articolo) – è l’erbicida più diffuso al mondo ed è classificato, in base alla direttiva 67/548/CEE, come irritante e pericoloso per l’ambiente, tossico per gli organismi acquatici e con formulati pericolosi per l’uomo e/o per l’ambiente acquatico”.

A tal proposito va detto che il brevetto del glifosato è scaduto ormai da qualche anno. Morale: a produrre gli erbicidi al glifosato sono in tanti, Cina in testa: ciò significa che che la presenza del glifosato nel Pianeta Terra è aumentata vertiginosamente!

Il punto 2 della petizione ricorda che “l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha fissato la dose massima di assunzione giornaliera di glifosato in 0,5 mg per kg di peso corporeo”. Certo, sarebbe normale evitare di ingerire questo veleno: ma gli Stati, com’è inevitabile quando ci sono di mezzo gli interessi delle multinazionali, debbono scendere a compromessi con le stesse multinazionali (e, nel caso dei Paesi deboli, debbono subirle).

Il punto 3 è molto importante: si sottolinea, infatti, che “l’Agenzia per la ricerca sul cancro Iarc (OMS) di Lione, nel 2015, ha classificato il principio attivo (cioè il glifosato ndr) come un ‘probabile cancerogeno per l’uomo’ e come tale lo ha inserito nel gruppo delle 66 sostanze a rischio”.

Il punto 4 ci racconta il ‘capolavoro’ delle multinazionali in agronomia. ll vero ‘boom’ del glifosato è iniziato quando la Monsanto ha cominciato a introdurre varietà di piante resistenti allo stesso glifosato.

In un servizio trasmesso tre anni da da Le Iene si devono gli aerei che sorvolano grandi distese di soia in Argentina. Con queste irrorazioni a tappeto muoiono tutte le erbe infestanti, mentre le piante di soia rimangono vice. Perché? Perché le multinazionali che producono il glifosato hanno selezionato varietà di soia (ma anche di mais, di riso e di altre colture erbacee) che resistono al glifosato!

Che significa questo? Semplice. Uno dei problemi dei cereali sono le cosiddette malerbe, che debbono essere eliminate. Utilizzando varietà di cereali resistenti al glifosato, quando con le irrorazioni a base dello stesso glifosato si interviene, a tappeto, sulle piantagioni di cereali attaccate dalle malerbe, le stesse malerbe muoiono tutte, mentre il cereale resistente allo stesso glifosato rimane in vita.

Tutto giusto, tranne che in un punto: il cereale che si raccoglie e che finisce sulle nostre tavole è pieno di glifosato: un veleno che finisce sulle nostre tavole e nel nostro organismo… Dopo di che noi acquistiamo nei Centri commerciali olio di soia! Hanno torto gli amici di GranoSalus a sollevare questo problema?

Inquietante il punto 5 della petizione, dove si racconta, dati alla mano, che “oltre il 97% dei prodotti alimentari commercializzati nel nostro Continente contiene residui di glifosato”.

Tutti, inconsapevolmente, siamo vittime di questo erbicida. Tracce di glifosato sono state trovate nelle urine di 48 europarlamentari con concentrazioni da 0,17 a 3,5 microgrammi per litro ed una media di 1,73 (fonte: Agricolae.eu)”.

“Altri studi in Germania avevano già dimostrato, su un campione di 2009 persone, che il 99,6% presentava residui di glifosato nelle urine; il 75% di queste con una concentrazione almeno cinque volte superiore ai limiti consentiti per l’acqua; il 35% di queste con una concentrazione addirittura superiore tra le dieci e quarantadue volte (fonte: Test Il Salvagente)”.

Anche in Germania – Paese tradizionalmente molto attento all’alimentazione – la rivista tedesca Oko-Test ha trovato tracce di glifosato oltre che nel latte materno, nel miele e nella birra, in 14 campioni su 20 di farine di frumento, d’avena e pane (fonte: Test Il Salvagente).

Insomma, il glifosato ha ormai invaso la nostra vita. Nella petizione si ricorda che “in una recente interrogazione al ministro della Salute, da parte di un gruppo di parlamentari alla Camera dei deputati, si afferma che il glifosato sarebbe presente persino nei vaccini destinati ai bambini nei primi mesi di vita, secondo i risultati di una ricerca autofinanziata dall’associazione nordamericana Moms Across America (fonte: Agricolae.eu)”.

Anche noi ci siamo occupati del glifosato presente nei vaccini.

Il punto 8 della petizione di GranoSalus ricorda “che il glifosato viene ampiamente usato anche in pre-raccolta negli USA e Canada nelle coltivazioni di grano duro, per favorirne la maturazione artificiale, con conseguente presenza di residui nel grano raccolto e nelle farine che ne derivano”.

E’ il motivo per il quale noi raccomandiamo ai nostri lettori di non mangiare pasta industriale, specie oggi che le importazioni di grano canadese, in Italia, sono aumentare di sette volte in un anno!

Quanto alle tecniche di coltivazione del grano utilizzate nelle aree fredde e umide del Canada, ebbene, questo è ormai un argomento che i nostri lettori conoscono bene: se c’è qualcuno che non ha ancora approfondito tale argomento, o lo vuole approfondire ulteriormente può leggere questo articolo.

Il punto 9 della petizione di GranoSalus è cruciale, perché ci ricorda che il glifosato “non ha tempo di carenza in quanto è un disseccante totale che uccide tutto ed è pertanto illegittimo: l’uso di prodotti chimici in pre-raccolta comporta l’incremento di residui chimici nelle derrate alimentari e va quindi vietato”.

In un contesto di Paesi civili – e tra i Paesi civili dovrebbero rientrare anche i 27 Paesi dell’Unione Europea – dovrebbe essere vietato importare prodotti agricoli trattati in pre-raccolta con il glifosato. Il problema è che in certa aree fredde e umide del Canada, senza il glifosato, il grano non maturerebbe mai! E il discorso non riguarda solo il grano duro, ma anche il grano tenero, dal momento che siamo invasi anche dal grano tenero canadese varietà Manitoba, che ormai entra nella preparazione di dolci e merendine. 

Invece, attualmente, si legge sempre nella petizione, “l’Italia importa grano duro da USA e Canada per la miscelazione e produzione di semole per pasta, pane e altri prodotti da forno. Questi rapporti commerciali, in particolare con il Canada, sono stati rafforzati dalla stipula degli accordi CETA a livello UE. (CETA= Canadian European Trade Agreements = accordi commerciali tra Canada ed Europa)”. Più il grano tenero canadese Manitoba nei dolci e nelle merendine.

Il punto 11 della petizione poneva, due anni fa, la possibile presenza di glifosato in alcuni marchi di pasta industriale. Cosa, poi, che è stata confermata dai risultati delle analisi sulla pasta disposte sempre da GranoSalus e dalle analisi sulle semole che contengono glifosato. 

Anche se, per completezza d’informazione, va detto che ci sono marche di pasta che non contengono glifosato. 

Il punto 13 della petizione di GranoSalus ci ricorda che “la legislazione europea e italiana, dal mese di agosto 2016, vieta l’uso di glifosato in pre-raccolta per il grano duro. In particolare, il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1313 della Commissione del 1° agosto 2016, ha modificato il regolamento di esecuzione (UE) n. 540/2011 per quanto riguarda le condizioni di approvazione della sostanza attiva glyphosate (o glifosato); e il Ministero italiano della Salute, con un decreto entrato in vigore il 7 ottobre 2016, ha recepito tale regolamento, imponendo una serie di divieti all’uso del glifosato, tra cui l’impiego sui cerali prima della raccolta, al solo scopo di ottimizzare il raccolto o la trebbiatura”.

Questo è un aspetto beffardo: l’Unione Europea vieta “l’uso di glifosato in pre-raccolta per il grano duro”: ma allora perché la stessa Unione Europea, consente l’importazione di grano duro trattato con il glifosato in pre-raccolta? Questo non è farsesco?

GranoSalus ricorda, inoltre, che è già stata presentata “una petizione su scala globale, sostenuta da una coalizione di 38 realtà italiane” con la quale si chiede “alle Autorità politiche europee e a quelle degli Usa, Canada e Brasile di esercitare il principio di precauzione e sospendere immediatamente l’uso del glifosato” (come potete leggere qui).

Nella petizione si ricorda che l’Unione Europea “può stabilire solo il livello minimo di tutela ambientale, sotto al quale non si può andare, mentre quello massimo e di precauzione viene stabilito comunque dagli Stati membri (Sovranità Ambientale e Sanitaria)”.

Il principio di precauzione ci ricorda che, anche a fronte di un minimo sospetto di tossicità, sarebbe opportuno fermarsi e riflettere. Ebbene, secondo GranoSalus sarebbe opportuno che Governo nazionale e Regioni Italiane bandissero l’uso del glifosato in Italia.

“Si rammenta che il principio di precauzione, base del diritto europeo e nazionale – si legge sempre nella petizione – prevede l’inversione dell’onere della prova, ovvero che prima di immettere sostanze nell’ambiente, e in particolare nell’agricoltura, deve essere dimostrata la loro innocuità”.

Perché abbiamo voluto riprendere questa petizione? Perché notiamo con piacere che tanti giovani, in tutto il mondo, sono scesi in piazza per difendere l’ambiente e il clima. A noi importa poco se l’andamento climatico – come fanno giustamente osservare gli scienziati – non dipende dall’eccesso di anidride carbonica.

Per noi è importante che i giovani siano comunque scesi per le strade di tante città del mondo. E magari, chissà, troveranno anche il tempo di riflettere su una delle più grandi emergenze del nostro tempo: quello che le multinazionali ci costringono a portare sulle nostre tavole!

 

 

 

 

 

 

 

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