In attesa della battaglia di Milazzo, quando 10 mila soldati al servizio di Garibaldi (in massima parte mercenari pagati dagli inglesi) affronteranno 2 mila e 600 soldati borbonici vincendo (questa sarà una delle poche vittorie dei garibaldini in Sicilia ottenuta grazie alla schiacciante superiorità numerica), gli sgherri di Garibaldi trovano anche il tempo di prendere una sonora legnata a Trivio di Archi. Il tradimento dei generali borbonici accampati a Messina
di Giuseppe Scianò
L’invincibile Armata Garibaldina marcia indisturbata alla volta della città di Messina
Forte di 10.000 uomini e di armi pesanti, l’Armata Garibaldina sarà fermata a Milazzo dai duemila valorosi soldati Duosiciliani comandati dal Colonnello Bosco
È ora necessario fare il «punto».
Abbiamo la seguente situazione: l’abbandono di Palermo da parte del Luogotenente Lanza, il concentramento di forze Duosiciliane a Messina, l’opera disfattista del Governo Costituzionale di Napoli (Governo soltanto formalmente Duosiciliano, ma di fatto di obbedienza anglo-piemontese…).
Un «Governo di traditori» che apertamente incoraggiava e legittimava anche l’immobilismo della flotta militare del Regno delle Due Sicilie, che era in assoluto tecnicamente la migliore flotta militare di tutti gli Stati Italiani pre-unitari nonché di buona parte degli Stati europei dell’epoca.
Ma il tradimento degli alti comandi militari, le incertezze del Ministro della Guerra Pianelli ed il continuo arrivo di rinforzi all’Armata Garibaldina, provenienti dal continente, spesso organizzati in territori compresi nelle aree sottoposte all’Impero Britannico, con l’apporto di pseudo-volontari e di mercenari che erano stati destinati ad ingrossare le fila dell’Esercito dell’Eroe dei Due Mondi, avevano consentito a Garibaldi di organizzare, nella prima quindicina del mese di giugno, tre colonne per occupare quelle che erano ritenute (ed in gran parte erano) le province già abbandonate dall’Esercito Duosiciliano in ritirata.
Una prima colonna, composta in gran parte dai mercenari della Legione Ungherese, era affidata al Colonnello Türr. Questi, però, a causa di una malattia, sarebbe stato temporaneamente sostituito nel comando, per questa azione, dal connazionale Eber. Ed Eber era il Colonnello giornalista del quale abbiamo già parlato. Ovviamente era più importante del connazionale Stefano Türr, nel contesto della conquista della Sicilia, proprio perché già da tempo accolto nell’organico dei servizi segreti Inglesi e perché al proprio attivo vantava una buona istruzione militare.
Una seconda colonna, al comando di Nino Bixio, avrebbe marciato su Corleone ed Agrigento (allora Girgenti). Ed una terza, la più numerosa, alla quale si erano aggregati gli ultimi rinforzi appena arrivati dall’Italia Centro-Settentrionale, sarebbe stata comandata dal Colonnello Medici, già nominato dal Dittatore Comandante della città di Messina e della sua provincia con ogni potere civile e militare. Evidentemente il Dittatore è sicuro di sé e di ciò che lo aspetta nell’immediato futuro. Questa terza colonna aveva come destinazione finale la città di Messina, passando per diverse città, fra le quali – importantissima – la città di Barcellona Pozzo di Gotto.
Il 5 luglio il Medici occupa Barcellona Pozzo di Gotto e minaccia di assalire Milazzo, difesa da un solo battaglione di scarsa consistenza numerica, non dotato di armi e di munizioni adeguate a resistere ai quattromila Garibaldini già in campo che disponevano anche di artiglieria. Questi ultimi erano, adesso, schierati nei pressi di Milazzo pronti per essere mandati all’attacco.
Certamente il Clary, da Messina, avrebbe potuto e potrebbe ancora mandare tanti aiuti da ributtare in mare i Garibaldini con i loro comandanti. Peraltro la Fortezza Duosiciliana di Messina era stata rinforzata da nuovi arrivi di truppe scelte. E la Cittadella restava imprendibile e pericolosa, a guardia dello Stretto e dell’area circostante.
Si fa presente che non manca al fianco del Bosco una pattuglia di ben duecento volontari decisamente antigaribaldini che avevano respinto le offerte dei Garibaldini ed erano decisi a contrastare il passo agli invasori.
Appena qualche settimana prima (il 22 giugno) Garibaldi era entrato nella rada del porto di Messina per un fugace sopralluogo e per qualche abboccamento riservato. Aveva viaggiato a bordo di una nave da guerra Inglese. Nessuna meraviglia: gli Inglesi erano più impazienti di lui di concludere la conquista della Sicilia.
Dopo aver avuto qualche incontro coperto da segreto, possibilmente con militari e politici di alto rango pronti a tradire il Dittatore, viene riportato indietro a bordo della nave Governolo (della flotta sabauda). Difficile dire con precisione che impressione avesse avuto di Messina.
La città era stata abbandonata dalla maggior parte della popolazione ed appariva quasi deserta. Così come era già avvenuto a Palermo ed in altre località della Sicilia. Anche a Messina – non a caso – sulle abitazioni campeggiavano cartelli con le scritte «Domicilio Inglese» e «Domicilio Francese». A tal proposito Giacinto De’ Sivo così scriverà (nel suo antiquato e difficile italiano):
«I cittadini sloggiavano, scriveano sulle case “domicilio inglese o francese”; così palagi, botteghe, abituri e sin le barchette avean in lettere cubitali d’esser straniere, appunto in quel furibondo gridar “fuori lo straniero”. E mentre i cittadini uscivano, veri stranieri entravano».(1)
Gli agenti Anglo-piemontesi hanno la massima libertà d’azione. Le bande comuni pure. La popolazione, terrorizzata, come Garibaldi stesso ha ben compreso, cerca di salvarsi e non è affatto entusiasta dell’occupazione che di lì a poco avverrà. Non era comunque in rivolta e probabilmente, sotto sotto, aiutava le truppe Duosiciliane. Diversamente, queste truppe non avrebbero potuto resistere neppure un giorno (nel sistema di tradimenti che faceva capo al Governo Costituzionale di Napoli e che trovava proseliti soprattutto fra gli alti gradi dell’esercito).
Il Clary, sia pure obtorto collo, finalmente darà al Colonnello Bosco l’autorizzazione a marciare su Milazzo. Ma, com’è comprensibile, con forze molto modeste ed inferiori al bisogno. In quel modo accontenta tutti. Fa, inoltre, vedere a quanti volessero resistere all’invasione che lui ha mobilitato contro l’Armata Garibaldina uno dei più valorosi ufficiali Duosiciliani, il Bosco, appunto.
A quanti avessero preferito, invece, la resa, la ritirata ed il doppiogiochismo, avrebbe potuto giurare che aveva inviato, sì, contro gli invasori un contingente di soldati, ma di consistenza veramente irrisoria. Non dice, il Clary, al Bosco che gli ordini arrivatigli da Napoli il 13 luglio lo avrebbero obbligato a passare comunque al contrattacco. Il Clary, peraltro, considera il Colonnello Bosco nient’affatto capace. Un facile boccone, insomma, per il Colonnello Medici, la cui fama di ottimo militare superava di gran lunga quella degli altri colleghi Garibaldini.
Si combatte nella piana di Milazzo.
Al Bosco sono stati affidati una brigata con tre battaglioni (1°, 8° e 9°), uno squadrone di cacciatori a cavallo e 40 pionieri, nonché alcuni compagni d’arme (volontari civili di campagna). In tutto poco meno di duemila soldati Duosiciliani. Mentre, in campo avverso, da Palermo il Comando Garibaldino, accogliendo probabili, specifici suggerimenti Inglesi, continua ad inviare uomini e mezzi per rafforzare la colonna Medici.
L’atteggiamento del Clary appare maggiormente riprovevole in quanto nei fatti tiene fermi e bloccati almeno ventimila uomini. Si comporta a Messina come si era comportato il Luogotenente Lanza a Palermo. Sia pure in condizioni diverse e forse senza alcuna specifica intesa con il nemico. Il Clary raccomanda, inoltre, al Bosco di non assalire mai per primo. Assalito, tuttavia, il Bosco è autorizzato a difendersi.
Con un’ulteriore precisazione: in caso di contrattacco non dovrà mai andare oltre il territorio di Barcellona.
Bosco esce dalla città di Messina il 14 luglio, all’alba. A Colle San Rizzo ed a Gesso vede fuggire le camicie rosse al suo solo apparire. Secondo gli ordini avrebbe dovuto lasciare il 1° battaglione per rilevare, in cambio, altri uomini. Ma i soldati e gli ufficiali di quel battaglione insisteranno per andare in prima linea a combattere. Il Bosco li accontenta. Non chiede di meglio.
Questo piccolissimo episodio la dice lunga, ancora una volta, sul coraggio e sulla determinazione dei soldati del Regno delle Due Sicilie.
A Spadafora (oggi Spatafora) il Colonnello Siciliano trova buona accoglienza sia da parte delle autorità municipali, sia da parte della popolazione. Viene rifornito di vettovaglie. Trova il tempo per fare ripristinare il telegrafo e, ripartendo, lascerà nel paese una piccola guarnigione militare.
Arrivato nei pressi di Milazzo decide di trascorrere la notte, fra il 15 ed il 16, accampato nel Piano San Papino. Il mattino del 16 occupa due mulini sulla costa per assicurare la macinazione del grano e la fornitura di pane ai propri soldati. Dividerà poi le sue forze mandando il maggiore Maring con i suoi uomini al Trivio di Archi. Verrà disturbato soltanto da alcune scaramucce garibaldine di poco conto, che saranno puntualmente respinte.
Il 17 mattina avviene il primo vero scontro armato fra il Maring ed un robusto contingente di Garibaldini proprio sulla strada che costeggia il mare, nei pressi di Milazzo. Lo scontro sarà breve, ma durissimo! I Duosiciliani perderanno 13 uomini e conteranno ben 25 feriti. Maggiori le perdite dei Garibaldini, che tuttavia riusciranno a fuggire precipitosamente, lasciando anche alcuni di loro indietro, che saranno tutti fatti prigionieri.
Con i soldati semplici si troveranno un Capitano, un Tenente e diciotto soldati, tutti Piemontesi. I combattenti Garibaldino-piemontesi avevano come grido di battaglia «Savoia e Italia». Questo è un fatto molto significativo. Secondo il De’ Sivo, i Garibaldini in quello scontro lasciarono cento commilitoni fra morti e feriti.(2)
A questo punto avviene uno spiacevole e forte screzio fra il Maring – che, temendo di essere accerchiato dai Garibaldini, aveva lasciato la posizione conquistata – ed il Bosco che, considerando quel movimento un atto di insubordinazione, ordina l’arresto del suo pur valoroso ufficiale.
Un altro grosso scontro armato avviene fra i soldati Duosiciliani e i Garibaldini, sempre nei pressi del Trivio di Archi. Comandava i soldati Duosiciliani il bravo Tenente Colonnello Marra, che saprà tener testa ad un numero superiore di nemici. Al momento opportuno il Marra verrà raggiunto da un forte contingente delle truppe guidate dallo stesso Bosco.
I Duosiciliani, resi più forti, registreranno, così, una nuova smagliante vittoria. I danni arrecati ai Garibaldini sono stati rilevanti, ma la loro superiorità numerica non consentiva al Bosco di sfruttare al meglio i vantaggi delle brillanti operazioni militari svolte, né di sferrare un attacco che lo avrebbe potuto portare ad una vittoria risolutiva.
Il Bosco chiede quindi nuovamente rinforzi al Clary, prospettandogli sia lo stato di pericolo nel quale si trova, sia le grandi occasioni di successo militare che si sarebbero potute sfruttare con un più adeguato numero di soldati. Il Clary fa orecchio da mercante ed accamperà mille pretesti per… non fare niente. Alla fine gli mandò il Capitano Fonseca con appena sette uomini, tutti e sette compagni d’arme. Una vera e propria beffa, aggravata dal fatto che il disimpegno del Clary suona come l’ennesimo servizio reso a Garibaldi.
Per placare gli animi e per evitare una sommossa da parte dei propri soldati, il Clary poi metterà in piedi anche una commedia. Avrebbe mobilitato alcuni battaglioni, li avrebbe fatti salire su alcune navi che sembrava dovessero salpare subito alla volta di Milazzo, poi improvvisamente revoca l’ordine, inventandosi nuove emergenze ed il pericolo di un grande assalto alla città da parte garibaldina. Pericolo che, in quel momento, non esisteva, se non nei diabolici piani dei tanti voltagabbana.
Anche quest’ultima infame messinscena dimostra tuttavia – se ci fosse bisogno – che i soldati Duosiciliani vogliono battersi, mentre gli alti gradi ufficiali ed i ministri già asserviti al Cavour ed ai servizi segreti di Sua Maestà Britannica vogliono renderli demotivati e disattivi per agevolare l’occupazione del Regno delle Due Sicilie.
Il Bosco intanto – avendo capito che il Clary se ne è lavato le mani – ritiene prudente concentrare maggiormente le proprie forze, ritirandosi via via da quelle posizioni conquistate, che fossero troppo distanti fra di loro. Il morale dei suoi soldati resta comunque miracolosamente altissimo.
Quando il Medici, pensando di avere a che fare con uno dei soliti ufficiali contrattabili, inviterà il Bosco ad un incontro per discutere, questi gli manderà a dire che, da buon ufficiale Duosiciliano, era lì per combattere e non per parlamentare.
Nello stesso tempo la macchina propagandistica Italo-inglese diffonde al mondo la notizia che i Garibaldini erano già usciti vincitori dai due combattimenti avvenuti nei pressi del Trivio di Archi. Notizie false che i ministri e non pochi alti ufficiali, a Napoli, fingevano di considerare fondate. Ma la verità è quella che è. E lo Stato Maggiore dell’Esercito Garibaldino da Palermo, sempre sotto «regìa inglese», fu costretto ad inviare a Milazzo una vera e propria armata, guidata, questa volta, dallo stesso Garibaldi. Furono utilizzate le navi «Veloce» e la «Queen of Abirdeen» ed un’infinità di navi di minore stazza, in gran parte Inglesi e di altre nazionalità. Migliaia di uomini ed una enorme quantità di armi, comprese le artiglierie, vi furono trasbordati.
A Milazzo Garibaldi non poteva perdere. Una eventuale sconfitta dell’Armata Garibaldina, ad opera di circa duemila soldati Duosiciliani, avrebbe, infatti, rimesso tutto in discussione. Ed era del resto già grave il fatto che la città di Milazzo non si fosse ribellata affatto e che l’Armata Garibaldina fosse rimasta bloccata in malo modo e così a lungo.
È il 19 luglio 1860. Garibaldi, come sempre, fa innanzitutto scena. Passa in rassegna le forze combattenti coprendole di promozioni, elogi e premi. Nelle vesti di Dittatore adotta, lì, sul campo, alcuni provvedimenti speciali. Nomina generali Medici,(3) Cosenz,(4) Carini, Bixio, Eber e qualche altro.
Il Dittatore Nizzardo vuole cavalcare, al solito, la scena, ed adotta provvedimenti ed emana proclami e disposizioni che prescindono il più delle volte dalle esigenze della imminente battaglia, sul cui esito si dimostra tranquillo. Forse non ha mai avuto in combattimento, alle sue dipendenze, tanti soldati professionisti della guerra… Dichiara ufficialmente la costituzione di quello che per un certo periodo di tempo sarà denominato Esercito Meridionale, composto di quattro divisioni. E che a dispetto della denominazione stessa è… al servizio del Nord.
C’è di più: è anche composto soprattutto di soldati del Nord e del Centro Italia (almeno per quanto riguarda la componente etnica italiana). Il Dittatore decide, infine, che l’indomani si vada all’assalto delle posizioni Duosiciliane ed alla conquista di Milazzo. I rinforzi continuano ad arrivargli senza sosta. Il Dittatore pregusta una nuova facile, vittoria.
È nei paraggi, in attesa della facile vittoria, con Alessandro Dumas, il celebre autore dei Tre moschettieri, lautamente compensato da Garibaldi per le grandi capacità di diffondere testimonianze romanzate e fatti guerreschi nella quasi totalità romanzeschi e romanzati sull’impresa dei Mille.
A Milazzo, potrà raggiungere il massimo della propria abilità di confezionatore di fantasticherie.
Fine della 38esima puntata/ Continua
Foto tratta da storiologia
(1) G. De’ Sivo, op. cit., vol. II, pag. 119.
(2) G. De’ Sivo, op. cit., vol. 2°, pag. 121.
(3) Giacomo Medici, nato a Milano il 15 gennaio 1817 e morto a Roma il 9 marzo 1882. Di lui avremo modo di parlare nei capitoli successivi. Anche perché, dal mese di giugno del 1868 al mese di dicembre 1873, in un periodo particolarmente drammatico per la storia del Popolo Siciliano, il Medici fu contemporaneamente Prefetto di Palermo e Comandante delle truppe italiane in Sicilia.
(4) Enrico Cosenz, nato il 12 gennaio 1820 e morto il 28 settembre 1898. A differenza del Medici, il Cosenz era meridionale ed aveva militato nell’Esercito del Regno delle Due Sicilie. Nel 1848 si convertì alla causa unitaria e passò al servizio di Vittorio Emanuele II. Come ufficiale dei «Cacciatori delle Alpi» partecipò alla II Guerra d’Indipendenza del Regno Sabaudo contro l’Austria. Nel 1860 raggiunse Garibaldi in Sicilia al comando della terza «spedizione garibaldina». Sarebbe diventato Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano dal 1882 al 1893. Fu anche Deputato e Senatore del Regno d’Italia. Insomma… non si fece mancare niente!
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