Storia & Controstoria

Oggi il Sud ricorda la ‘Rivolta del Sette e mezzo’ di Palermo e della Sicilia

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Esattamente 153 anni fa Palermo e molti centri dell’Isola i siciliani davano vita a una grande rivolta contro gli invasori di casa Savoia che stavano depredando l’Isola. La storia ‘officiale’ italiana ricorda ‘Le cinque giornate di Milano’ e ‘Le dieci giornate di Brescia’. Ma nasconde ancora oggi la prima, grande rivolta popolare contro i ladri e i criminali piemontesi. Oggi che il Sud si prepara a presentare il conto all’Italia con una nuova formazione politica ricordare questi fatti diventa importantissimo 

di Ignazio Coppola

A Palermo il 15 settembre del 1866, 153 anni fa, scoppiava la rivolta del “Sette e Mezzo”, chiamata così, perché durò sette giorni e mezzo, prima di essere soffocata in un lago di sangue. Una rivolta epica e gloriosa, ma come al solito ignorata dai libri di scuola e dalla storiografia risorgimentale. Una rivolta repressa con migliaia di morti e di prigionieri da parte dell’esercito sabaudo, al comando del generale Raffaele Cadorna e con la proclamazione dello stato d’assedio.

Una rivolta che rimane una eroica pagina della storia del popolo palermitano e siciliano che, dopo appena cinque anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia, si accorse che il nuovo era peggio del vecchio. Con la rivolta del “Sette e mezzo” i palermitani si riscoprirono i degni eredi dei “Vespri Siciliani”, per lo spirito di ribellione, come allora, contro ogni forma di sopraffazione e di violenza.

Fu lo scontro feroce tra chi, annettendo la Sicilia intendeva colonizzarla (e così sino ai nostri giorni) e chi, con quell’annessione, si illudeva di essere affrancato dai torti subiti dai baroni e dai ricchi proprietari terrieri che sino allora avevano dettato legge in Sicilia nei confronti delle classi più deboli e dei contadini.

La rivolta scoppiò al grido di “Viva la Repubblica”, “Viva Santa Rosalia”, “Viva Francesco II”, allo sventolare delle bandiere rosse, a dimostrazione della eterogeneità e della spontaneità dell’insurrezione. Renitenti di leva (in Sicilia quasi ventimila), ecclesiastici, espropriati, repubblicani, mazziniani, socialisti, autonomisti, impiegati borbonici cacciati dai loro posti di lavoro, legittimisti, contadini che avevano creduto alle promesse di Garibaldi di distribuzione delle terre e avevano ricevuto soltanto fucilate, e rappresentanti delle arti e dei mestieri, colpiti pesantemente dalla soppressione delle corporazioni religiose.

Tutti accomunati dall’avversione verso il regime accentratore e dispotico del nuovo stato unitario, che nulla concedeva alle aspettative che in premessa aveva illusoriamente creato.

La vera forza e la motivazione ideale dei rivoltosi fu la consapevolezza della “giusta causa” per la quale si battevano, spinti ormai da una condizione che andava oltre ogni limite di sopportazione per lo stato di prostrazione sociale e di repressione autoritaria, cui erano stati sottoposti dal nuovo governo Italo-piemontese con nuove tasse, coscrizione obbligatoria e, in ultimo, la soppressione delle corporazioni religiose, in applicazione alla legge Siccardi (già vigente nel regno di Sardegna sin dal giugno del 1850) e con la conseguenza di buttare sul lastrico più di diecimila famiglie nella sola città di Palermo.

In poche ore, i palermitani, così fortemente motivati, riuscirono a sconfiggere le truppe sabaude. Nei giorni successivi al 15 settembre sbarcarono nel porto di Palermo, a ondate successive, più di 40.000 soldati regi. In quelle eroiche giornate i palermitani provarono l’ebbrezza e coltivarono la speranza di essere padroni del proprio destino, del proprio futuro e della loro città.

Ma quelle speranze, quelle illusioni e quelle rivendicazioni di libertà furono spezzate e stroncate successivamente dai 40.000 uomini (fanti, granatieri e bersaglieri) agli ordini del generale Cadorna (che proclamò lo stato d’assedio), sbarcati da decine e decine di vascelli militari e anche da navi mercantili. I rivoltosi furono costretti alla resa.

I caduti e i feriti per le strade si contarono a migliaia e a migliaia, così come gli arresti indiscriminati. In una vera e propria carneficina, il 23 settembre del 1866, dopo sette giorni e mezzo appunto, si concludeva l’eroica rivolta palermitana che gli storiografi prezzolati di regime hanno sempre cercato di cancellare dai libri di storia, ricordando invece e sino alla noia “Le cinque giornate di Milano” o “Le dieci giornate di Brescia”.

Per la storiografia ufficiale sono queste le “eroiche” rivolte che gli italiani devono ricordare, non quella palermitana, relegata nel dimenticatoio della storia. È ora che i siciliani e i palermitani ritrovino la loro memoria storica: ricordare la ricorrenza della gloriosa rivolta del “Sette e Mezzo” è un atto dovuto, nei confronti dei caduti di quelle epiche giornate.

Foto tratta da Scomunicando

 

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