La Sicilia, sin dall’inizio, si è ribellata alla “Serva Italia”: nel 1860, mentre Garibaldi, perdendo tutte le battaglie, ‘conquistava’ la nostra Isola con l’aiuto di inglesi, massoneria e mafia, i cittadini di Caltanissetta si rifiutavano di inneggiare a Garibaldi. Onore al loro coraggio. Anche i cittadini di Resuttano si sono ribellati e gli storici hanno nascosto tutto
1° luglio 1860. Ribellione antigaribaldina a Resuttano.
Torniamo a parlare dell’avanzata dei Garibaldini. Tutto procede bene. Ma ad un certo punto il paese di Resuttano si è ribellato alla colonna dei Garibaldini lì pervenuta. La notizia arriva come un fulmine a ciel sereno a Santa Caterina, dove è accampata la colonna del Colonnello ungherese Eber.
Scatta l’allarme rosso. Si organizza una spedizione punitiva comandata dal maggiore Angelo Bassini, il quale si mette in marcia immediatamente alla volta di Resuttano. La popolazione si mostra coraggiosa: affronta il battaglione del Bassini con le armi in pugno. Si combatte con energia dall’una e dall’altra parte. I Garibaldini hanno, a fatica, la meglio.
A questo punto il Bassini avrebbe ordinato la decimazione dei ribelli. Il condizionale è d’obbligo. Non abbiamo prove certe in proposito, ma solo indizi interessanti e seri.
L’Abba, da parte sua, ci racconta qualche singolo fatto di sangue e di morte. Non già per informarci compiutamente su come le cose siano andate realmente, ma piuttosto per minimizzare la gravità della rivolta. E, probabilmente, per disinformarci. Dobbiamo, quindi, estrapolare dal suo stesso testo quelle poche ammissioni sincere ed accertabili che l’autore, per affermare o per negare quanto gli interessa dire, in un modo o nell’altro si è lasciato sfuggire. Solo così riusciremo a sapere qualche altra notizia.
Avviene, infatti, che lo scrittore ligure affermi che il Bassini avrebbe messo le mani su «undici scellerati», per di più «rei di Mille prepotenze e di sangue.»
Dice anche che il Maggiore Garibaldino, pur essendo «uomo da dar dentro a baionetta calata», avrebbe usato degli accorgimenti. Non ci spiega tuttavia quali, ma pensiamo che gli accorgimenti siano stati più micidiali delle baionette, sempre chiamate in causa, ma poco usate.
Dulcis in fundo: l’Abba conclude dicendo che un Siciliano, come un demonio, avrebbe cacciato, raggiunto ed ucciso uno degli undici malcapitati, che era riuscito a fuggire. Non precisa, però, che fine abbiano fatto gli altri dieci ed, inoltre, attribuendo la colpa di una (sola) esecuzione ad un Siciliano fa credere agli ingenui lettori che tutto sia finito lì. E per giunta… fra Siciliani.(8)
Per compiere quest’azione, tuttavia, il Bassani ed il suo battaglione, del quale non sappiamo quanti Garibaldini facessero parte (l’Abba si guarda bene dal dirlo), avrebbero impiegato addirittura «quattro giorni di marcia».
Francamente ci sembrano troppi, considerato il chilometraggio(9) che un soldato in quell’epoca compiva, a piedi, in un solo giorno. Sarà stata, piuttosto, una lotta lunga e sanguinosa quella ingaggiata fra i Garibaldini e l’eroica popolazione di Resuttano? Non abbiamo risposta, ci affidiamo (soltanto in questo caso però) pure noi alla logica ed alle ipotesi. Tanto più che l’Abba non parla espressamente dell’intera popolazione che si sarebbe ribellata (come peraltro a quella data già avveniva in alcune zone della Sicilia).
Pensiamo che sia lecito dedurre che si sia trattato di una vera e propria lotta di resistenza popolare, lunga e sanguinosa, durata almeno quattro giorni, molto più importante di quanto l’Abba non voglia farci comprendere. Una resistenza che fa onore alla popolazione di Resuttano. Anche perché quattro giorni sono quattro giorni!
Abba non ci dice neppure se alla spedizione contro Resuttano siano stati aggregati pochi o molti mercenari Ungheresi, di quelli cioè particolarmente bravi in azioni di repressione e di rappresaglia. Ma ha iniziato la narrazione dei fatti con una frase che sa di commiserazione e che racchiude tutto il senso della vicenda: «il povero maggiore Bassini (10) l’hanno pigliato pel giustiziere».
Non occorre aggiungere altro. Sappiamo bene cosa sappiano fare e faranno ovunque nell’ex Regno delle Due Sicilie i giustizieri Piemontesi in Sicilia e nel Sud-Italia, con o senza il supporto dei mercenari stranieri. E sappiamo pure come l’Abba parlerà in termini riduttivi dell’operato di Nino Bixio a Bronte… appunto per non farci sapere quanto brutta è la verità.
2 luglio 1860. Caltanissetta in festa per accogliere i Garibaldini. Questi gli ordini…
È già pervenuta da qualche giorno all’Eber e allo Stato Maggiore Garibaldino la notizia dell’ostilità nutrita dalla cittadinanza di Caltanissetta nei confronti dell’impresa garibaldina. Corre anche voce (e non si tratta di voce da sottovalutare se si pensa a ciò che è avvenuto in quei giorni a Resuttano) che si voglia ricorrere alle armi.(11) Scattano, quindi, immediate e forti, le contromisure.
I notabili locali, con l’immancabile aiuto dei picciotti di mafia, con i collaborazionisti e con gli emissari del Colonnello Eber fanno scattare enormi misure di sicurezza. Ammoniscono senza tanti complimenti i dissenzienti e minacciano il pugno di ferro. Ma non si contentano… Vogliono che tutta la popolazione sia in strada a festeggiare l’ingresso dei Garibaldini.
Guai a chi boicotterà l’iniziativa. Tutto sarà controllato. Anche la spontaneità delle partecipazioni. Viene pure approntato un enorme arco trionfale, sotto il quale far passare i liberatori. Non si ha paura delle esagerazioni e neppure del cattivo gusto. L’importante è che chi deve vedere veda e riferisca ai giornalisti di tutto il mondo.
Peccato che il celebre scrittore Alessandro Dumas, bravissimo nel magnificare le imprese garibaldine, se ne fosse andato improvvisamente, dopo una lite con alcuni ufficiali Garibaldini, ai quali in un momento di crisi nervosa aveva detto cosa realmente pensasse sia dei Garibaldini sia degli Italiani. Ma tutto si sistemerà e non mancheranno cantori di quella grandiosa accoglienza nissena. Tutto, cioè, secondo copione, insomma!
Il 2 luglio 1860 i Garibaldini vengono accolti da una città in festa. Il loro è un ingresso trionfale. Tutto bene, dunque. I liberatori tuttavia, come ci spiega l’Abba, si guardano bene dal lasciare gli schioppi ai giovinetti che vogliono, per dovere di cortesia, alleggerire il loro carico di armi e di bagagli. Pare infatti che i Garibaldini abbiano già preso troppe fregature, soprattutto nelle prime settimane del loro sbarco.
Addirittura per qualche tempo hanno preso l’abitudine di legarsi le armi al corpo quando riposano o dormono. Rischiano infatti di svegliarsi disarmati… Naturalmente, minimizza, al solito, l’Abba, riferendosi soltanto ai primi tempi. «Dopo», tuttavia, la prudenza non sarà mai troppa.
3 luglio 1860. A Caltanissetta la festa è già finita.
L’indomani i Garibaldini si accorgono di non essere affatto accettati, né tantomeno ben visti dalla stragrande maggioranza dei cittadini di Caltanissetta. L’Abba, pur volendo nascondere o minimizzare ciò che vede, è costretto dall’evidenza dei fatti a scrivere: «3 luglio. Che quella festosa accoglienza di ieri fosse una lustra? Oggi la città è silenziosa; pare che noi non ci siamo più; la gente attende alle cose sue come dicesse: “ho fatto il dover mio e basta”».(12)
Il dover (il dovere) del quale l’Abba parla è in pratica un atto di costrizione, senza convinzione, né libertà di scelta, subìto dai cittadini di Caltanissetta. Ed imposto dalle autorità ora dominanti alla data del 3 luglio 1860, appunto…
(8) G.C. Abba, op. cit., pagg. 172 e 173.
(9) Si pensi che il territorio del Comune di Santa Caterina (oggi Santa Caterina Villaermosa) e quello del comune di Resuttano sono confinanti e che la distanza fra i due centri abitati, per i sentieri di campagna, non supera i venti chilometri.
(10) Angelo Bassini (1815-1888), nato a Pavia, diventerà il Comandante della Sesta Compagnia. Raggiungerà il grado di Colonnello. Pochi giorni prima che accadessero i fatti di Resuttano, a Prizzi, aveva diretto la repressione di alcuni moti analoghi, sui quali tuttavia scarseggiano notizie precise. Appunto perché «scomode».
(11) Caltanissetta era stata promossa a capoluogo di Provincia da Ferdinando II di Borbone, Re delle Due Sicilie nel 1816. Ed è questo uno dei tanti motivi per i quali la città è tanto ostile, in quel 1860, al programma «Italia e Vittorio Emanuele» imposto da Garibaldi alla Sicilia.
NOTA A MARGINE
E’ semplicemente assurdo che Caltanissetta – i cui cittadini, nel 1860, furono costretti con la forza delle armi (molti vennero minacciati uno per uno!) a ‘festeggiare’ l’arrivo dei garibaldini – dedichino ancora oggi una piazza a Garibaldi! Possiamo capire Palermo, dove la forza della mafia e della massoneria – protagoniste incontrastate, insieme con gli inglesi, della cosiddetta ‘Impresa dei Mille’ – è sempre stata fortissima.
Ma che Caltanissetta – che, nel 1860, non ne voleva sapere proprio di ‘festeggiare’ l’arrivo di Garibaldi, e che il giorno dopo la forzata manifestazione, come si ricorda nell’articolo, manifestò indifferenza, se non disprezzo verso i garibaldini – dedichi ancora oggi, come già ricordato, una piazza a chi ha venduto la Sicilia ai Savoia è veramente un’anomalia.
Certo, tutta la Sicilia, anzi tutto il Sud Italia dovrebbe liberare via, piazze e scuole dal nome di Garibaldi e dei suoi sgherri. Ma Caltanissetta avrebbe già dovuto dare l’esempio da un pezzo!
Caltanissetta è sempre stata una cittadina colta, attenta, orgogliosa: come mai non si è liberata dalla testimonianza topografica di un usurpatore che la stragrande maggioranza dei nisseni del 1860 non sopportava?
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