Il personaggio al quale, ancora oggi, tante città del Sud dedicano via, piazze e scuole – lo ‘statista’ Cavour – considerava i meridionali come esseri da ‘spolpare’. Per Cavour i meridionali erano “maccheroni”. E ancora oggi, nel Settentrione d’Italia, maccherone è sinonimo di terrone, per indicare appunto il cittadino del Sud, in senso dispregiativo e razzistico. E i siciliani? per il piemontese erano “arance” da mangiare…
La Francia mette in moto una infelice e tardiva iniziativa diplomatica
Ma chi comanda il gioco è sempre l’Inghilterra. Non c’è spazio per altri.
Cosa avviene in campo internazionale nel giugno del 1860?
Grandi e convulse trattative e riunioni che sostanzialmente non cambiano nulla, perché la Gran Bretagna tiene tutto sotto controllo. Al Gabinetto di Londra non si può certamente contrapporre con successo neppure l’Imperatore dei Francesi, Napoleone III. Quest’ultimo non si è ancora reso conto pienamente del fatto che il Regno Sabaudo si va allargando a dismisura sotto protezione inglese. L’Imperatore si affida comunque ad una sua iniziativa diplomatica, che ne dimostrerà soltanto l’impreparazione. E forse anche l’imperdonabile ingenuità.
Il Quai D’Orsay, quindi, attraverso i buoni uffici dell’ambasciatore inglese a Parigi, Lord Cowley, manderà a dire al Palmerston che sarebbe opportuna una iniziativa comune anglo-francese per bloccare l’espansionismo piemontese e l’aggressione in corso nei confronti del Regno delle Due Sicilie.
Il Governo Britannico, ovviamente, non si limita a considerare assurda la proposta. Ma si infastidisce e si insospettisce ancora di più. Non gradisce l’attenzione dimostrata da Napoleone III verso i fatti Duosiciliani. La considera un’interferenza inopportuna e pericolosa con fini espansionistici.
La parentela fra i Savoia ed i Bonaparte, la simpatia ed i legami culturali fra il Piemonte e la Francia, il fondamentale intervento francese nella seconda guerra d’indipendenza italiana dell’anno precedente, la irrequietezza delle mosche cocchiere Piemontesi (fedeli ed obbedienti, senza dubbio, al progetto inglese, ma non prive di passioni personali, di rivalità interne, di voglia di protagonismo) e la paura che emergano nuovi fatti, prevedibili o imprevedibili, rendono più diffidente e più ostile la politica di Lord Palmerston nei confronti, appunto, della Francia.
(Qui un articolo sul ruolo dei servizi segreti inglesi durante l’impresa del Mille)
Questa, in realtà, è la potenza europea che – con o senza Napoleone – ha insidiato e può ancora insidiare la leadership della Gran Bretagna in Europa e nel Mediterraneo. E probabilmente anche nel Medio e nel lontano Oriente. L’Unità d’Italia del resto, è programmata anche in funzione antifrancese.
Piaccia o no agli Italiani. Piaccia o no ai Francesi. A Torino, inoltre, non mancano le voci di probabili cessioni di Genova e/o della Sardegna alla Francia… in cambio del trasferimento dei territori del Regno delle Due Sicilie alla corona sabauda.(1) Una scorciatoia, cioè, che placherebbe le ambizioni di Napoleone III e di Vittorio Emanuele II.
Un motivo in più – seppure piuttosto campato in aria – per indurre l’Inghilterra a concludere al più presto l’occupazione del Regno delle Due Sicilie, avvalendosi intanto (e apparentemente) quasi totalmente dell’Armata Garibaldina. Alla quale ovviamente sarà fornito ogni supporto necessario. Niente di più…
(Qui un articolo sul ruolo fondamentale svolto dagli inglesi durante lo sbarco di Garibaldi a Marsala)
Considerata la delicatezza del momento, il Governo Britannico non trascura comunque di avviare una propria originale iniziativa diplomatica: intimidire l’Imperatore Austriaco Francesco Giuseppe facendogli sapere che la Gran Bretagna si sarebbe opposta direttamente ad ogni eventuale intervento dell’Austria in favore del Regno delle Due Sicilie. Meglio essere espliciti.
Ed in effetti Francesco Giuseppe ha di che temere, considerato che la Mediterranean Fleet in qualsiasi momento gli può bombardare ad esempio molti porti sull’Adriatico. Mentre i servizi segreti britannici potrebbero scatenare un’altra rivoluzione interna all’Impero Asburgico avvalendosi delle infiltrazioni e della influenza sulle nazionalità, sulle etnie e sui popoli inglobati nell’Impero stesso, ma che non sempre sono Sudditi fedeli del giovane Re.
Peraltro il Governo Britannico, come abbiamo già detto, ha un feeling particolare con il nazionalismo magiaro, manovrabile in ogni momento contro Vienna e ha già imbastito tante e tali trame, ha già assoldato e corrotto tanti funzionari ed alti ufficiali del Regno delle Due Sicilie, ha tali infiltrazioni in ambienti mafiosi e camorristici ed ha, ammettiamolo, tanto carisma da poter fare a meno anche di quel pasticcione di Garibaldi.
(Qui un articolo sul ruolo della legione ungherese durante l’impresa dei Mille)
Tuttavia, anche per la finezza politica con la quale sa gestire il proprio immenso potere, il Governo di Londra bene intuisce che la copertura della spedizione garibaldina (sia pure sotto la tutela britannica) renderebbe più accettabili dall’opinione pubblica internazionale e dagli altri Stati, europei e no (2) le violenze, le sopraffazioni e le stragi che caratterizzeranno via via la conquista di tutto il territorio e dei popoli del Regno delle Due Sicilie.
Per concludere: il Governo Palmerston ha un progetto ben definito e le idee ed i mezzi per attuarlo. Non intende perdere altro tempo.
Cavour: «Siamo ben decisi a mangiare le arance che sono sulla nostra tavola».
Un monito però è quasi esplicitamente rivolto di fatto pure al Cavour e a Vittorio Emanuele II: facciano le mosche cocchiere. Non vadano oltre. Il piano inglese non deve subire varianti, né sconti. In quest’ottica vanno letti i messaggi che l’ambasciatore piemontese a Londra, Vittorio Emanuele D’Azeglio (il giovane D’Azeglio, come ama definirlo con simpatia la Regina Vittoria) e l’ambasciatore inglese a Torino, l’indaffaratissimo Lord James Hudson, inviano al Cavour per informarlo dell’avviso che il Governo Palmerston ha fatto recapitare all’Imperatore Austriaco Francesco Giuseppe.
D’altra parte ci voleva ben poco a capire che se l’Austria si fosse mossa molto meglio e giocando d’anticipo, il Regno Sabaudo sarebbe stato cancellato dall’Europa ancor prima di quello Borbonico… Il tutto avviene mentre gira a vuoto la missione diplomatica della delegazione guidata dall’ambasciatore Duosiciliano presso la Santa Sede, De Martino.
Il Cavour, al quale non difettano certo astuzia ed intelligenza, comprende il messaggio londinese. È, del resto, già passata l’euforia derivante dalla facilità con la quale è andato a buon fine lo sbarco in Sicilia. Lo statista piemontese sa, a sua volta, che un Governo plurimiracolato dalla Gran Bretagna, come quello di Torino, non può permettersi di condizionare le scelte di Lord Palmerston. Quest’ultimo, infatti, in quanto premier, guida e governa la Gran Bretagna. Ha un ruolo istituzionale che gli consente di non tenere eccessivamente conto dei ripensamenti della regina Vittoria, successivi allo sbarco dei Mille in Sicilia sotto protezione inglese.
La regina Vittoria non vorrebbe più quel tipo di fine per il Regno delle Due Sicilie, né quel modello di annessione, al Regno di Vittorio Emanuele
II. Ma neppure lei può fermare ormai la grande manovra.
Al Cavour non resterà altro che dare al proprio operato diplomatico un’interpretazione funzionale al progetto inglese. Quella, cioè, di fare intendere di aver giocato – soltanto giocato – a fare perdere tempo prezioso a Francesco II, distraendolo dalla difesa del Regno del Sud. Si tratta, in verità, di una giustificazione peregrina sufficiente, però, a rassicurare gli Inglesi e a dare ai patiti di storia risorgimentalista un’occasione in più per esaltare la genialità del Padre della Patria, che peraltro amava più parlare in francese che in italiano.
In sostanza, il 25 giugno 1860, così il Cavour scrive a Costantino Nigra:
«Villamarina (ambasciatore piemontese a Napoli, n.d.a.) mi comunica che il Re di Napoli è disposto a seguire i consigli dell’imperatore (Napoleone III). Noi lo asseconderemo per ciò che riguarda il Continente, puisque les macaronis ne sont pas encore cuits, mais quant aux oranges qui sont déjà sur no- tre table, nous sommes bien décidés à les manager».(3)
Sono doverose alcune brevissime, ma specifiche, considerazioni, che prescindono dalla funzione, significativa, della lettera. Il Cavour inizia a scrivere in italiano, ma poi completa in francese. È quest’ultima, infatti, la lingua madre non solo del Cavour (figlioccio di Paolina Bonaparte), ma anche di Garibaldi e di Vittorio Emanuele, che continueranno ad usarla persino dopo l’Unità d’Italia.
Un’altra considerazione è quella relativa alla terminologia. Si parla cioè di mangiare il Regno delle Due Sicilie. I Siciliani vengono considerati arance ed i Meridionali-continentali maccheroni. Ancora oggi, nel Settentrione d’Italia, maccherone è sinonimo di terrone, per indicare appunto il cittadino del Sud, in senso dispregiativo e razzistico. Non si tratta quindi, per il Cavour, di un semplice lapsus freudiano. Freud c’entra ben poco. La verità è che a Torino si ha poco rispetto tanto per la Nazione Siciliana, che per la Nazione Napoletana.
Dalla lettera a Costantino Nigra si comprende pure che il Cavour si è rassegnato ad accettare la conquista del Sud, così come la vogliono gli Inglesi e con i ritmi di questi ultimi. Saprà, da par suo, regolarsi in conseguenza. Sia pure a malincuore.
Firenze, 23 marzo 1860: Emerico Amari aveva lanciato un allarme… Ed una profezia… Ma non fu ascoltato!
Emerico Amari: «La Sicilia perde quel po’ di vita propria che Napoli le aveva lasciato…».
Come ci sintetizza mirabilmente Massimo Ganci il progetto-proposta francese era quello di separare la Sicilia dal Regno di Napoli, dandole un Capo di Stato che fosse un principe napoleonico. La Sicilia, divenuta Stato indipendente, avrebbe però stipulato un’alleanza di ferro con lo Stato Sabaudo (ufficialmente denominato, come sappiamo, Regno di Sardegna).
Nel Regno di Napoli la monarchia regnante avrebbe dovuto promulgare ed applicare una Costituzione Liberale.(4)
Il Regno Sabaudo in tal caso si sarebbe denominato: «Regno dell’Alta Italia». Su questa proposta ovviamente concorda – ritenendola sincera – la diplomazia di Francesco II con la sola variante di proporre l’unione personale della Corona Siciliana con quella di Napoli e con l’impegno di affidare il Governo separato della Sicilia ad un Viceré. Si propone cioè il ritorno alla situazione precedente alla riforma del 1816. Così facendo non si garantirebbe però l’alleanza di ferro con il Re di Sardegna (Vittorio Emanuele II).
Inutile sottolineare che all’Inghilterra questa proposta non può fare piacere, perché renderebbe vano il suo impegno per una pax britannica nel Mediterraneo, nella quale l’Italia da espressione geografica dovrà diventare una sola, univoca, figura giuridica, istituzionale e politica filo-britannica. Senza il pericolo che uno Stato del Sud (ad esempio la Sicilia o il Regno di Napoli o entrambi, cioè Regno delle Due Sicilie) possano assumere iniziative diverse da quelle assunte dal Regno del Nord coinvolgendo potenze diverse dalla Gran Bretagna (e, possibilmente, ostili a questa).
Sappiamo altresì che (già prima dello sbarco garibaldino) in Sicilia esisteva un piccolo movimento politico molto pubblicizzato ed artatamente sopravvalutato, che invocava l’annessione al Regno Sabaudo. Lo abbiamo già detto e abbiamo altresì adombrato il convincimento che questo fosse organizzato e finanziato dal Governo di Londra. Lo confermiamo anche per favorire la migliore comprensione dei fatti.
Ne troviamo, peraltro, ampia traccia, nella lettera che Emerico Amari (nonostante la delicata condizione, protrattasi per lungo tempo, di rifugiato politico e di ospite presso il Regno Sabaudo) aveva indirizzato al marchese di Roccaforte, il 23 marzo 1860 da Firenze, dove aveva ricevuto un prestigioso incarico di insegnamento, analogamente a quanto era avvenuto per altri esuli Siciliani che, però, generalmente si guardavano bene dal criticare gli indirizzi politici assunti di volta in volta dal Governo Sabaudo. Non già per convincimento, ma perché temevano di perdere i prestigiosi privilegi.
Dopo aver fatto qualche cauto riferimento alla esigenza di coinvolgere la Francia nella questione siciliana, probabilmente perché aveva ben compreso in quale direzione marciasse l’Inghilterra, l’Amari così scrisse:
«Solo vi prego a rammentarvi due cose: che la corrente va impetuosa alle annessioni e, senza volermi fare giudice dei fatti e delle opinioni altrui, quanto alla Sicilia credo che l’annessione avrebbe due gravi inconvenienti:
1) per la natura e la topografia un vero danno;
2) impraticabilità per non dirla impossibilità finché Napoli non ha annesso.
Il Piemonte, colla Toscana e la Romagna sulle braccia(,) ha bastante lana da scardassare, né un uomo né uno scudo ci darebbe, onde Sicilia dovrà sobbarcarsi ai tremendi mali di una guerra, di cui tu sai perigli, senza sperarne altro premio della vittoria che la perdita di quel poco di vita propria che Napoli le ha lasciato».(5)
Nonostante la prudenza ed i giri di parole, l’Amari ci diede (ed ancora oggi i fatti gli danno ragione) la testimonianza dell’esistenza di quel movimento annessionista che scavalcava le stesse mosche cocchiere Piemontesi. Ed è importante anche il giudizio negativo sulla eventuale annessione della Sicilia. L’Amari era stato infatti profetico, quando aveva adombrato l’ipotesi che l’unico premio sarebbe stato la perdita di quel poco di vita propria, che la Sicilia ancora aveva con i Borbone. Ed aggiungeva:
«…una fusione alla piemontese, idest francese (cioè centralista ed unitaria, n.d.r.) non sarebbe né giusta né utile alla Italia né alla Sicilia, che la Sicilia è per istituto, per posizione, per senno, federalista».(6)
(1) Così scrive in proposito Massimo Ganci: «Londra, inoltre, preoccupata dell’eventuale cessione della Sardegna o di Genova alla Francia, da parte del Piemonte, in cambio dell’annes- sione dell’Italia Meridionale, aveva tutto l’interesse di inserire un cuneo tra Parigi e Torino». Vedi Storia della nazione siciliana, II ed., Ediprint s.r.l., Siracusa 1986, pag. 72.
(2) Si pensi che persino gli Stati Uniti d’America si erano fatti coinvolgere, in modo poco appariscente ma concreto, nell’impresa dei Mille (ed, ancora prima, in alcune azioni di «monitoraggio» contro il Regno delle Due Sicilie) nell’errato convincimento che gli Inglesi appoggiassero una causa giusta. In particolare furono indotti a credere che fosse in corso una lotta contro l’assolutismo regio e contro l’oppressione dell’Impero Asburgico nei confronti delle popolazioni italiane. Va anche ricordato che gli Inglesi si erano adoperati affinché il Governo di Torino concedesse una base navale alla flotta U.S.A. che doveva assicurare protezione ai bastimenti commerciali americani che diversamente sarebbero divenuti facile preda dei pirati barbareschi. Quella «base» finì (nel 1860) con il dare apporti logistici e «bastimenti» alle tante «spedizioni» di soldati Piemontesi e dei mercenari al loro servizio che andavano alla «conquista» del Regno delle Due Sicilie. Una vera e propria interferenza, in favore del Regno Sabaudo, per agevolare la conquista di uno Stato (quello delle Due Sicilie), al quale né gli Americani, né gli Inglesi, né i Piemontesi avevano dichiarato guerra.
(3) M. Ganci, op. cit., pag. 74.
(4) M. Ganci, op. cit., pag. 72.
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