Sul Titanic

Estate a Palermo: si può fare o no il bagno a Romagnolo e alla Bandita?

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A questa domanda prova a rispondere il professore Silvano Riggio, ecologo e biologo marino. Una risposta molto articolata, la sua. In punta di scienza. Un articolo che fa giustizia su tanti luoghi comuni che circolano sul mare di Palermo, con riferimento alla costa orientale della città. Con qualche sorpresa 

di Silvano Riggio

Siamo al giro di boa dell’estate: le spiagge sono piene, le città semivuote, e con un po’ di ritardo si risentono i tormentoni estivi. Il primo è: quest’anno fa un caldo insopportabile, come non ricordavo prima d’ora. Il secondo, ristretto all’estate palermitana: ma il mare di Palermo è pulito? L’acqua di Romagnolo e della Bandita è buona? Ce lo possiamo fare il bagno (mentre se lo fanno)? E se è buona, perché ci mettono il divieto?

Tenterò di dare l’ennesima risposta evitando di ricopiare quelle vecchie di decenni e di cui nessuno si ricorda. Scorderà anche queste.

Al primo tormentone rispondo che già 50 anni addietro gli esperti mondiali avevano previsto l’aumento delle temperature per l’effetto serra, preannunciato nel 1896 da Svante Arrhenius (che non sapeva di essere il bisnonno di Greta Thunberg, premio Nobel per la Chimica nel 1903).

Il secondo si sintetizza nei seguenti quesiti:

1° – è pericoloso farsi il bagno dove c’è il divieto? La risposta è: sì se non volete rischiare una multa, che però a Palermo è un evento improbabile e molto aleatorio dipendente per esempio dall’umore dei vigili urbani.

2° quesito: che pericolo c’è di prendersi malattie? E qui la risposta è più articolata. Il pericolo c’è e ci fu nelle acque dolci – fiumi, laghi, canali di irrigazione, ecc. – ai tempi delle epidemie di peste e colera che nell’Occidente furono sconfitte prima dai grandi sistemi fognari, poi dal trattamento delle acque potabili e di recente dall’impiego degli antibiotici.

Dopo aver stabilito che la causa delle epidemie erano alcuni batteri intestinali, per convenzione internazionale si bandì il bagno nelle acque in cui l’Escherichia coli e gli enterococchi intestinali erano presenti con oltre 100 unità per 100 ml di acqua. E ciò non perché l’Escherichia coli fosse un agente di malattie, ma semplicemente perché in acqua la sua vita non va oltre le 2 – 4 ore. La presenza del batterio in buon numero non è in sé causa di malattie, ma indica la vicinanza di uno scarico fecale. E lo stesso vale per gli altri batteri che vivono da sempre nell’intestino, non solo in quello umano.

In parole povere, l’Escherichia non è un batterio pericoloso dato che è ospite abitale degli individui sani, ma soltanto l’ INDICATORE DI UN PERICOLO POTENZIALE. Questo soprattutto per le acque dolci. E non mi dilungo.

A mare il discorso è diverso, e qui mi conforta il parere degli igienisti d’antan, e fra questi cito il compianto prof. Luigi Dardanoni, il quale usava dire che il mare non è un veicolo di malattie, e che un mare sporco non è necessariamente pericoloso. Perché, diceva il Maestro, i microbi non passano attraverso la pelle, a meno che non ci siano ferite aperte, ma anche qui non è facile infettarsi, a causa dell’alta salinità. E non ci sono rischi neanche nel bere acqua infetta, dal momento che lo stomaco distrugge tutto ciò che si ingoia grazie all’acido cloridrico, HCl, che secerne.

Restano accessibili le mucose, o in altri termini, le aperture – occhi, orecchie, bocca, vagina – attraverso le quali possono entrare agenti infettivi. Qui però le uniche infezioni imputabili al mare sono le congiuntiviti, e in misura minore le otiti. Ma sia le une che le altre si procurano normalmente in ambienti caldo umidi: docce, piscine, autobus affollati e perfino a casa propria. Non so cosa pensino i batteriologi attuali dopo l’allarme per l’Ostreopsis, ma è certo che se il mare costituisse un pericolo globale, dovremmo avere milioni di malati.

Per nostra fortuna intervengono le difese immunitarie, che però si sono indebolite nelle ultime generazioni, in buona parte a causa dell’allattamento artificiale.

Allora, qualcuno si chiederà, com’è che si spiega il colera degli anni ‘70 a Napoli, Taranto, Bari ed altre città costiere? Semplice, basta mangiare frutti di mare crudi – cozze, vongole ostriche e cappesante – malcotti o mal conservati, che si nutrono di batteri fecali, li accumulano nei loro tessuti e li avvolgono di uno strato di muco che li isola dall’HCl gastrico. Protetti dal muco i batteri arrivano all’intestino tenue dove scatenano la loro tossicità. Basta evitarli e il pericolo è superato.

Qualcuno si chiederà pure come mai non ci siano stati casi di colera a Palermo, dove l’igiene è stata sempre sconosciuta. Bene, la risposta è immediata: in Sicilia i molluschi filtratori non sono comuni come nel resto del Tirreno e dell’Adriatico e non fanno parte della nostra tradizione alimentare, basata sul pesce e sui crostacei. Quelli che si vendono da noi sono tutti importati dai grandi allevamenti della penisola e stabulati in acqua corrente negli stabilimenti cittadini, dove si depurano. Questa disposizione fu emanata proprio negli anni in cui scoppiò il colera che non giunse da noi.

Forse dobbiamo ringraziare Santa Rosalia che ci scampò dalle epidemie prima col miracolo e dopo con la prevenzione. Un 3° miracolo lo fanno i ricci, gli unici frutti di mare per i quali i palermitani impazziscono, e che però non sono filtratori, ma erbivori e vivono in acque pulite. Qualcuno si trova in prossimità di una fogna, ma non accumula batteri come una cozza.

Dopo queste note veniamo alla conclusione. E’ giusto chiudere ai cittadini 4 e più km di spiagge (artificiali) alla balneazione se il pericolo non è immediato? La mia risposta è sì, perché le mie sono considerazioni da ecologo e biologo marino, ma il servizio sanitario deve rispondere alle leggi vigenti, per quanto esse siano obsolete e liberticide. E il servizio sanitario richiede l’assenza certificata di scarichi.

Ebbene è impossibile fare una passeggiata fra S.ant’Erasmo e l’Acqua dei Corsari senza incontrare scarichi putridi e maleodoranti direttamente sulla battigia o affioranti nella sabbia. Ovviamente abusivi. Sarebbe bastato un servizio di sorveglianza continuo, la loro individuazione e chiusura con una congrua sanzione per i contravventori, e il problema sarebbe risolto già da 40 anni. Con eccezionale beneficio della città, per i suoi abitanti e i visitatori.

Ma il Comune non lo fa, e l’unico sfogo a mare resta la spiaggia di Mondello, sempre più sporca e affollata come l’inferno dantesco dipinto nelle tavole del Doré. Ma qui si apre un altro capitolo, quello delle colpe passate e presenti della pubblica amministrazione. E con poche o nulla speranze per il futuro.

Foto tratta da Palermo Today

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