La domanda non è oziosa. Anche perché sappiamo tutti che i controlli sulla salubrità del prodotto – specie quelli disposti dalla Regione siciliana – sono tragicomici. La CNA Agroalimentare pone alcuni interrogativi corretti sui quali è opportuno riflettere. Le contraddizioni della legislazione che, alla fine, servono solo a confondere i consumatori
Chi ha ordinato il grano canadese? Sarebbe interessante capirlo. E ancora: dove sarà commercializzata la farina che ne deriverà? Visto che la produzione nazionale non è sufficiente, quali organismi di controllo sono stati attivati?”.
Sono le domande che la CNA Agroalimentare di Ragusa pone – in un articolo pubblicato su RTM – dopo l’arrivo, a Pozzallo, dell’ennesima nave carica di grano canadese (supponiamo grano duro).
Non possiamo che salutare positivamente la presa di posizione della Confederazione Nazionale Artigiani (CNA) di Ragusa su tale vicenda. Con una piccola precisazione: il grano duro prodotto oggi in Italia, nonostante la volgare e truffaldina speculazione al ribasso del prezzo di questo prodotto, è ancora oggi sufficiente per il consumo interno.
Ma siccome l’Italia è il primo Paese esportatore di pasta nel mondo, ecco che, per produrre l’enorme quantità di pasta che serve per il consumo interno e per l’export, si fa ricorso al grano estero (canadese, ma non soltanto canadese).
Se proprio la dobbiamo dire tutta – così, per completezza d’informazione – il grano duro prodotto nel Sud Italia, grazie al clima, matura naturalmente al sole e non contiene né glifosato, né micotossine DON. Viene utilizzato per miscelarlo con il grano duro estero che, spesso, contiene, invece, sostanze contaminanti.
Domanda: perché in Italia, da quando è in vigore il CETA – il trattato commerciale tra UE e Canada – l’importazione di grano duro canadese è aumentata di sette volte? Risposta semplicissima: perché il grano duro canadese, appunto perché maturato artificialmente con il glifosato, contiene un’alta percentuale di proteine (cioè di glutine).
L’alta percentuale di glutine è molto richiesta dalle industrie della pasta. Perché? Perché consente alle stesse industrie della pasta di risparmiare una barca di soldi nella fase di essiccazione della stessa pasta.
Fatte queste precisazioni torniamo al ragionamento della CNA Agroalientare di Ragusa.
“Noi – sottolinea Carmelo Caccamo, responsabile provinciale di CNA Agroalimentare – difendiamo il grano nazionale, in particolare i nostri grani siciliani. Ma siamo davvero tutti d’accordo su questo punto? La CNA Agroalimentare della provincia di Ragusa intende tutelare la filiera locale, dal produttore al consumatore. Più volte ci siamo spesi per difendere la tracciabilità del prodotto attraverso una chiara etichettatura. Diciamo questo perché l’indicazione della sede dello stabilimento rimane, sino a oggi, meramente facoltativa”.
La CNA Agroalimentare di Ragusa pone un tema centrale. E’ noto che il carico di grano duro canadese arrivato nei giorni scorsi nel porto di Pozzallo è stato oggetto di prelievi non abbiamo capito da parte di quali autorità. Ma sappiamo, per esperienza, che i controlli sulla salubrità del grano estero che arriva in Sicilia disposti dalle autorità regionale sono tragicomici: intanto non sono stati mai resi noti i risultati e, in ogni caso, non si sa nemmeno se la Regione siciliana sia in grado di disporre i controlli sul glifosato.
Cosimo Gioia, ad esempio, che oltre ad essere un agricoltore e produttore di grano duro siciliano, ha ricoperto anche la carica di dirigente generale del dipartimento Agricoltura della Regione siciliana nutre molti dubbi sui controlli della stessa regione in materia di eventuale presenza di glifosato: e noi la pensiamo esattamente come lui.
Il vero tema è: considerato che il grano estero – a cominciare da quello canadese – che arriva in Sicilia, in un modo o nell’altro, ce lo fanno mangiare, non sarebbe corretto informare i consumatori sulle vie che prende? Solo che oggi, come sottolinea giustamente la CNA Agroalimentare di Ragusa la legislazione è poco chiara.
“L’indicazione della sede dello stabilimento rimane, sino a oggi, meramente facoltativa – dicono, come già accennato – alla CNA Agroalimentare di Ragusa -. L’indicazione può venire mantenuta su base volontaria, ma se ne raccomanda l’impiego anche perché i consumatori italiani hanno finalmente compreso il valore della scelta di prodotti che contribuiscono all’economia e all’occupazione in Italia. Queste le contraddizioni che è corretto fare emergere tra leggi italiane ed europee. Non dimentichiamo che è fondamentale mettere in evidenza l’origine della materia prima e la sede dello stabilimento di produzione. Per noi sono due elementi centrali a tutela del consumatore”.
“Stiamo, a ogni modo, parlando di contraddizioni che sono pienamente a conoscenza delle istituzioni – sottolinea ancora la CNA Agroalimentare di Ragusa -. Contraddizioni su cui occorrerebbe spendere una parola e attivare delle contromisure adeguate. Ad esempio: perché non avere una sede dell’Ispettorato repressione frodi nei porti siciliani? Tutto ciò per evitare e contrastare il ripetersi di problematiche molto serie come quella a cui stiamo assistendo in questi giorni”.
La proposta di questa organizzazione è seria. Ma cozza con i grandi interessi economici e commerciali che stanno dietro il grano duro.
Ricordiamoci che, proprio mentre si scopre che l’importazione di grano canadese in Italia è aumentata di ben sette volte, non mancano le pubblicità che ci raccontano che la pasta industriale italiana è fatta “con grano duro rigorosamente italiano”.
Noi non abbiamo motivo di non credere che la pasta industriale italiana sia prodotta con “grano rigorosamente italiano”. però non possiamo non ricordare che, lo scorso anno, Paolo Barilla, presidente dell’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane e vicepresidente dell’omonimo gruppo, ha affermato quanto segue:
“Per l’industria tutto dipende da che tipo di prodotto produrre e a quali costi, perché se noi dovessimo fare un prototipo di pasta perfetta, in una zona del mondo non contaminata, senza bisogno di chimica, probabilmente quel piatto di pasta invece di 20 centesimi costerebbe due euro. Una pasta a ‘glifosato zero’ – aggiunge il vicepresidente dell’omonimo gruppo – è possibile, ma solo alzando i costi di produzione”.
A questo punto, per tagliare la testa al toro, visto che il prezzo della pasta industriale italiana preparata “con grano duro rigorosamente italiano” non ci sembra costi oggi 2 euro a piatto, non sarebbe opportuno organizzare una serie di controlli, da affidare a organismi indipendenti?
Foto tratta da sicilia5stelle.it
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