L’amico Mario Di Mauro, dell’Istituto TerraeLiberAzione, ci invita a sostenere la “magnifica iniziativa promossa dalla Pro Loco di Lascari (Palermo) in ricordo del caro ROSARIO MOSCATO”. Lo facciamo con grande piacere, pubblicando un carteggio che lo stesso Mario Di Mauro ci ha inviato sulla straordinaria storia della Masseria in Sicilia
Rosario Moscato era medico veterinario, studioso del Paesaggio agrario e zootecnico siciliano… ed anche profetico salvatore dell’APE NERA SICULA. Era ricercatore attivo nell’Istituto TerraeLiberAzione. Un SICILIANU NOVU – colto e gentile – che mancherà a tanti.
Nel link inviatoci da Mario Di Mauro leggiamo un interessante carteggio sulla Masseria siciliana.
“Rosario Moscato a Mario Di Mauro
24 marzo alle ore 08:32
Caro Mario , tempo fa si parlava dell’incomunicabilità tra allevatori e contadini, ti promisi un mio piccolo contributo, eccolo.
L’attuale incomunicabilità tra allevatori e contadini ha una storia antica tu giustamente parti da Caino e Abele ma basta andare un poco più vicino nel nostro passato per provare a trovare una spiegazione sociologica a tale tua affermazione ‘Vera e Attuale’ ma poi se guardiamo bene bene tra di loro, si parlano e magari si mettono pure d’accordo, poiché anche se i due mondi sembrano in antitesi tra di loro, sono strettamente intrecciati.
Il contadino riferendosi all’allevatore: A unni viri vidi va, tuttu u munnu ieni so.
L’allevatore riferendosi al contadino: Viddani scarpi rossi e ciriveddo finu…
Andiamo con ordine e cerchiamo di ricostruire e perché esiste questa marcata differenza sociale tra i due mondi.
Considero come punto di partenza per capire il fenomeno, l’organizzazione sociale che la Masseria ha avuto in Sicilia dalla sua nascita fino alla scomparsa.
La Masseria raggiunge il suo massimo splendore con il latifondo, dove la coltura primaria era il grano, ma spesso era organizzata a ciclo chiuso come si direbbe oggi, con affiancata la zootecnia.
Quindi la Masseria impiantata sul latifondo dove la produzione cerealicola zootecnica era il suo asse principale produttivo. Al suo interno vivevano, famiglie, operai stagionali e avventizi, vi erano magazzini, stalle e impianti di manodopera da controllare e custodire. Tutto ciò imponeva una rigida organizzazione gerarchica.
La Masseria di solito era proprietà del signorotto di turno: barone, principe, insomma sangue blu che si teneva lontano dalle sue terre preferendo vivere nei fastosi palazzi di città. Egli si avvaleva di una figura fondamentale che era quella del Suvrastante: questi, uomo di fiducia corrispondeva solo al suo barone proprietario e si avvaleva di losche figure che imponevano con la buona o con le cattiva la volontà baronale: i “Campieri” e spesso i soprusi e le angherie erano il pane quotidiano.
Il Suvrastante era quello che organizzava la vita economica vera e propria della Masseria, facendo funzionare ogni piccolo dettaglio; egli era quello che in accordo col barone prendeva le decisioni finali.
Quando nella Masseria si svolgeva attività zootecnica, vi erano altre figure che, interfacciandosi e coordinandosi con il Suvrastante, organizzavano il proprio settore di competenza.
Mettiamo il caso che nella nostra Masseria si allevassero: Vacche, Cavalli, Pecore, Capre, Maiali; ognuno di questi allevamenti aveva una rigida organizzazione.
Nell’allevamento bovino la figura che gestiva e coordinava il tutto era il Curatolo; egli aveva il compito di curare la caseificazione e la trasformazione dei prodotti lattiero caseari, avvalendosi di collaboratori che lavoravano in coppia: erano l’anziano e u cumpagno, anziano non per vecchia ma per esperienza; a loro era affidato un numero di animali di solito divisi per categoria produttiva:
“animali figliati da mungere” e animali “strippi” sterili che non hanno ancora figliato; per i bovini i numeri erano sempre più ridotti, mentre per gli ovini era una “guardia” (un centinaio circa): un numero non eccessivamente alto da poter essere guardato da anziano e cumpagnu.
Il curatolo e l’anziano più importante dell’allevamento bovino (quello che veniva appellato con “ZU…”) decidevano anche gli spostamenti della transumanza e l’organizzazione in funzione dell’evolversi dell’annata agraria.
L’allevamento bovino era considerato l’allevamento più importante della Masseria, insieme con quello dei cavalli, e lavorare al suo interno era un segnale sociale d’importanza notevole.
Di solito l’allevamento dei cavalli non aveva grossi numeri: anche qui esisteva una rigida organizzazione, gli animali erano divisi per sesso ed età, i pochi stalloni erano adibiti alla monta, le cavalle figliate Jmenti, puledri sotto mamma e i giannizziddi, i puledri ancora sotto i tre anni; vi erano poi muli e asini che erano affidati ai vaccari e pastori per il trasporto delle masserie e degli utensili principali per il lavoro. Se la masseria aveva cavalli di pregio o purosangue o razze importanti, naturalmente il prestigio di chi ci lavorava aumentava.
Il grosso dell’allevamento, nella Masseria latifondista, era impiantato sull’allevamento ovino; questi animali sfruttano i pascoli dopo che erano passati nell’ordine: cavalli e bovini; le restucce spesso spettavano solo alle pecore, agli altri il meglio.
Nella gerarchia sociale il pastore era considerato il parente povero che si doveva tenere in casa, il ruolo di principe spettava ai vaccari e cavaddari, anche qui la rigida disposizione dei ruoli permetteva il funzionamento dei meccanismi organizzativi: il pastore più anziano sovraintendeva a tutte le operazioni di lavorazione e ne corrispondeva al curatolo e al suvrastante.
Anche qui gli animali erano divisi per sesso e produttività ed erano accuditi da un numero sufficiente di operatori che lavoravano sempre in coppia, vi erano le pecore figliate da mungere, le strippe (quelle che ancora dovevano figliare), gli arieti in numero sufficiente a coprire e ingravidare le pecore, e gli agnelli che si dividevano in sutta i mammi e azzaccanati, sutta i mammi che ancora allattavano azzaccanati agnelli già svezzati pronti per essere avviati al macello o alla quota di rimonta.
Tra i gradini più bassi dell’allevamento vi era quello delle capre, considerati animali che facevano danni ovunque a causa della loro voracità di appetito di germogli ed erbe tenere; i vaccari usano e usavano dire:
“U Signuri e crapi ci fici l’occhi nte rinocchia e a u craparo arre o cozzu”.
Di solito il numero di animali allevati non era eccessivo, e quando erano poche decine erano tenute in promiscuità con le pecore e o con le vacche, la cosiddetta “Crapa vaccarisca”. C’è da spegnere una lancia in favore delle capre, queste nei periodi estivi in caso d’incendi spesso riuscivano a trarsi in salvo portandosi dietro il resto degli animali.
L’ultimo gradino nella zootecnia spettava ai maiali e al suo allevamento; il porcaro veniva quasi considerato un appestato: Puzza chiù jddu ca i so porci. Viveva ai margini della masseria, e i maiali utilizzavano tutti i resti della caseificazione e i pascoli marginali non utilizzabili dalle altre specie. Forse quest’atavica resistenza deriva dai i precetti religiosi? Insomma il porcaro sicuramente non faceva una bella vita.
Un ultima figura si aggirava tra le mura della nostra Masseria, u sfacinnato che, a discapito del nome, proprio sfaccendato non era, ma veniva chiamato di volta in volta per le varie incombenze che si creavano e non vi era nessuno che le poteva fare.
Galline, conigli e animali da cortile venivano affidati alla “Za o Gna” di casa, la donna più anziana che aveva il compito di organizzare e gestire la cucina. L’allevamento intensivo di galline e conigli si è sviluppato alla metà del 1900, nella Masseria non era concepito distrarre risorse umane e materiali dagli allevamenti nobili. Sino a qualche anno fa, qualche vecchio allevatore si stupiva come si “puteva purtare pani a casa cu jaddini e cuniglia”.
Una figura a margine che spesso si vedeva passare dalla masseria e che non esisteva se non i rarissimi casi era l’apicoltore: u Lapunaru viaggiava con le sue api di notte a dorso di mulo, e scambiava i suoi prodotti cera e miele con quelli della masseria, era un po’ visto come uno sciamano, i vaccara non lo consideravano: “meglio piglirasi na pirata di na vacca ca na punciunata d’api”.
***
“Caro Rosario Moscato…intanto grazie: hai dato una vivace ed efficace smossa al lavoro dell’Istituto TerraeLiberAzione in tema di Sociologia rurale ‘allevatoriale’ che troverà sintesi in una scheda specifica nel quadro della Storia del paesaggio agrario e zootecnico siciliano, alla quale lavoriamo da anni.
E complimenti, perché sei andato subito al cuore della questione, al contesto cruciale: la Masseria – che ha avuto nei secoli diverse trasformazioni – è il “luogo da studiare”, ma anche, insieme ai porti e caricatoi, un punto di osservazione decisivo per comprendere la Storia siciliana.
Le Forze storiche e mentali che controllano i Tre Mari del nostro Arcipelago (oggi anche lo Spazio aereo) afferrano regolarmente la Potenza geostrategica sul Mediterraneo, ma chi controlla(va) la rete delle Masserie deteneva la Potenza sulla Terra. Il mutamento, spesso traumatico (collisioni storiche e sociali) che determina nel Tempo Lungo la formazione storico-sociale siciliana trova anche nella sua “dimensione allevatoriale” materiali e spunti.
Ci sono molti studi specifici, anche di grande pregio, e diverse riflessioni preziose, come la tua, che ci permettono di sviluppare un lavoro di ricerca “inedito” con gli strumenti della nostra scuola del REALISMO DIALETTICO…nella convinzione, ormai consolidata, che la MASSERIA non è il passato, ma il Futuro del Paesaggio agro-zootecnico siciliano. Alzando uno sguardo realista sul Mondo del Secolo XXI, “vediamo” la MASSERIA 3.0. come uno dei motori strategici della Ri-Evoluzione Siciliana che spezzerà le catene della dipendenza neocoloniale. Semu Simenza! N’abbrazzu, Mario.
P.s.
Tra i tanti spunti: Rusà, u Suvrastanti era un MANAGER di alto livello, fondamentale anche nella MASSERIA STATALE-SOCIALISTA FEDERICIANA, in questa chiave è una figura sociale da rileggere bene…/ Quanto alla figura du sfacinnatu, la sua presenza era geniale, un jolly, capace di tutto: sarebbe un bel personaggio… per narrare la Masseria.:) – quanto a… ‘u Vaccaru dice “U Signuri e crapi ci fici l’occhi nte rinocchia e a u craparo arre o cozzu”, era vera, oggi potrebbe essere vero il contrario!.
Foto tratta da reportagesicilia.blogspot.com
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