Come abbiamo scritto nella 25esima puntata, Garibaldi, in un modo o nell’altro, è entrato a Palermo. A questo punto gli inglesi, in un modo o nell’altro, debbono farlo vincere. Con la collaborazione dei generali borbonici traditori che, per soldi e carriera, si vendono ai Savoia. Siamo alla vergogna assoluta. E in questo mare di miserie, tra un tradimento e l’altro, c’è il bombardamento di Palermo ad opera degli stessi generali borbonici traditori…
di Giuseppe Scianò
Due giorni di fuoco, piccoli combattimenti, ma nessuna vera battaglia… La conquista «miracolosa» di Palermo.
Alle truppe garibaldine ed ai picciotti di mafia era apparso subito chiaro che la completa conquista di Palermo non sarebbe stata affatto trionfale, né così popolare, né così facile come qualcuno aveva promesso. Nonostan-te il fatto che il comportamento spregiudicato del Luogotenente Lanza e dei suoi complici avesse già dato buoni frutti. E nonostante la sapiente opera di George Rodney Mundy, che trasformerà l’ammiraglia Hannibal in una prestigiosa, per quanto atipica, sede diplomatica. Oltre che, ovviamente, in una centrale operativa di supporto al Generale-Dittatore. Mancava infatti ogni segno di vera rivoluzione… e di partecipazione di popolo.
Niente potrà impedire che il deserto, che sarà incontrato da Garibaldi alla Fiera Vecchia, diventi, oltre che un fatto deludente, la dimostrazione della mancanza di condivisione popolare. E non basta! Più andrà avanti l’occupazione della città e più si concretizzerà una specie di resistenza passiva dei palermitani, che consideriamo comunque coraggiosi.
Si pensi infatti ai pericoli che corrono i cittadini ed al clima di violenza e di sopraffazione, all’interno del quale i picciotti danno manforte (con i sistemi e le finalità che ben conosciamo) ai Garibaldini.
Bandiere italiane? No grazie! Si preferiscono quelle Inglesi.
Le tante bandiere britanniche ed i cartelli con la indicazione «DOMICILIO INGLESE», che molte famiglie palermitane collocano alle porte, alle finestre ed ai balconi delle rispettive abitazioni, dimostrano che i cittadini di Palermo non collaborano con i liberatori Garibaldini e che, anzi, ne prendono le distanze. Tali bandiere, soprattutto l’Union Jack britannica ed i cartelli – ai quali abbiamo fatto cenno – sono senza dubbio segni di paura e di non partecipazione.
Queste bandiere, questi cartelli e questa resistenza passiva li abbiamo già notati a Marsala. Li ritroveremo in altre città della Sicilia. Ma sono anche gesti offensivi per gli occupatori della città, i quali, ufficialmente, hanno come bandiera il tricolore italiano. Neppure gli storiografi di parte risorgimentale osano smentire questa realtà. Anzi, spesso sono costretti ad ammettere, fingendo sorpresa, che nei cartelli posti sugli usci e sulle finestre delle abitazioni campeggia la sola dicitura: «DOMICILIO INGLESE». Nessun cartello con la scritta «VIVA L’ITALIA», o «VIVA GARIBALDI», o «VIVA VITTORIO EMANUELE». Gli Inglesi non vi hanno pensato né messo mano per non esasperare ulteriormente i Siciliani.
L’intervento della malavita organizzata o quello dei singoli manigoldi ed anche quello degli ex detenuti dell’Ucciardone e degli altri penitenziari, liberati e contrabbandati per perseguitati politici (anche se utili sul piano della propaganda politica, soprattutto all’estero), in concreto, danneggiano, esasperano ed atterriscono la popolazione di Palermo che continuamente viene sottoposta a violenze e a saccheggi. Ma non riescono affatto a convertirla veramente alla causa unitaria… Ottengono l’effetto contrario.
Altro fatto incontestabile, e volutamente sottovalutato, è costituito dalla ferma determinazione di fare il proprio dovere e di combattere – anche a costo di rischi e di sacrifici inimmaginabili – dimostrata dalla totalità dei soldati Duosiciliani e dalla maggioranza degli ufficiali più giovani, che rimangono fedeli al loro ideale di Patria Duosiciliana ed al loro Re, respingendo i numerosi tentativi di corruzione e le istigazioni a cambiare casacca, messi in moto dagli anglo-Piemontesi.
Garibaldi emetterà qualche specifico decreto per comprare la diserzione dei valorosi soldati Duosiciliani. Ne parleremo.
Seguiamo un po’ le vicende di quella che la storiografia definisce la battaglia di Palermo. E che sarebbe più esatto definire la mancata battaglia di Palermo. O meglio ancora l’occupazione di Palermo.
Combattimenti ve ne saranno molti, ma la vera, grande battaglia – come vedremo – non avrà luogo, perché verrà evitata con la consueta tempestività dal Luogotenente Lanza che continua, intanto, a fare ritirare e a tenere le proprie truppe letteralmente immobilizzate ed ammassate nel quadrilatero creato attorno al Palazzo Reale. Migliaia di ottimi soldati sono pertanto costretti a bivaccare, inoperosi, indignati, disperati, nel Piano di Santa Teresa (oggi Piazza Indipendenza) e nella vasta area antistante il Palazzo Reale, Piano di Palazzo (oggi Piazza Vittoria, dove, fra l’altro, oggi ha sede la Villa Bonanno).
La tattica del Lanza non cambia: «Un passo avanti… e due indietro».
Il Lanza continua con la tattica già collaudata: autorizza soltanto l’uscita di piccoli contingenti che vengono mandati qua e là senza una precisa strategia di combattimento. Anzi, sembra proprio che questi vengano destinati di volta in volta ad una sicura sconfitta per meglio accreditare la versione della superiorità numerica e militare dei Garibaldini e dei picciotti di mafia.
Non costituisce eccezione il trattamento riservato al Generale Landi, al quale – come già detto – viene consentito di muovere verso il nemico con un consistente contingente di soldati. Ma a ragion veduta. Il Landi, che ben conosciamo, è stato già l’artefice della incredibile vittoria di Garibaldi a Calatafimi. Non costituirà quindi nessun ostacolo effettivo per gli invasori. A maggior ragione a Palermo. Conosce fin troppo bene la via della ritirata…
Combattimenti, particolarmente chiassosi, disordinati ed appariscenti, si svolgono, comunque, a Piazza Bologni, nei pressi del Palazzo Arcivescovile, a Porta Maqueda, al Giardino Inglese, nei dintorni immediati della Chiesa e del Convento di San Francesco di Paola, a ridosso dei Conventi dell’Annunziata e dei Benedettini, al Bastione Montalto ed in quasi tutto il quartiere di San Giacomo. I Garibaldini ed i picciotti di mafia tuttavia non sfondano. Ma sono destinati comunque a vincere. È scandaloso ma è così.
Diversamente, lo scrittore e letterato garibaldino Ippolito Nievo non avrebbe parlato di miracolo, alludendo alla conquista di Palermo, nella lettera inviata alla cugina Bice. E non crede ai propri occhi quando diventa partecipe di una conquista miracolosa… a sua insaputa! Una vera e propria offensiva bellica finale di ampie dimensioni viene iniziata dai Garibaldini che cercano di sfondare il quadrilatero Duo-siciliano dalla parte del Papireto. Una vittoria sul campo OPORTET…
Vengono però respinti con fermezza dai soliti soldati Duosiciliani che vogliono continuare a fare il loro dovere. Anche in questo caso tuttavia i Garibaldini vinceranno ugualmente, grazie agli ordini del Lanza.
Alcuni buoni successi, che pure non mancano ai soldati Duosiciliani, vengono prontamente vanificati dai soliti ordini di ritirata emanati dal comando borbonico.
Il Lanza non si limita a questo. Cerca di non lasciare in circolazione alcuna unità in grado di mettersi a combattere veramente. Il precedente del maggiore Sforza, che a Calatafimi aveva rischiato di… sconfiggere Garibaldi, non dovrà più ripetersi.
In quest’ottica tutte le forze del maresciallo Cataldo ed il mezzo battaglione del Colonnello Bonanno, ricevono l’ordine di convergere, pure loro, nel Quadrilatero del Lanza per restarvi immobili. Non è un fatto di poco conto… Devono ritirarsi per regalare a Garibaldi altre posizioni strategiche. Si tratta infatti del grosso contingente, acquartierato in ottima posizione, nelle caserme dei Quattroventi (comandato appunto dal prestigioso maresciallo di campo Cataldo) e che avrebbe potuto in ogni momento sorprendere alle spalle l’Armata Garibaldina.
Il ritiro di questo contingente da una posizione strategica sul mare, regalerà nei fatti a Garibaldi l’agibilità di una grande fetta di porto e di costa. E toglierà di mezzo ostacoli che l’Eroe dei Due Mondi difficilmente avrebbe potuto superare. Il Lanza è, infatti, irremovibile: anche quei soldati dovranno ritirarsi, senza combattere, nel quadrilatero del disonore, ad eterna gloria del Duce dei Mille.
A questo punto, la Squadra Navale Duosiciliana ed il Comandante del Forte di Castellammare ricevono l’ordine di bombardare. E bombardamento fu.
In tale e tanto caos di ordini e di contrordini, il Luogotenente Lanza può infatti passare alla seconda parte del suo piano. Quella cioè, già preannunciata, di fare cannoneggiare la città. Stando alla teoria, non infondata, degli scrittori di parte Duosiciliana, egli vorrebbe cinicamente far precipitare gli eventi prima che la situazione gli possa sfuggire di mano e prima che la sua intesa con il nemico, finora andata a gonfie vele, venisse vanificata da qualche testa calda.
Avverrà, in concreto, che la Squadra Navale Duosiciliana (nella quale ritroviamo i comandanti Cossovich ed Acton, i brillanti ufficiali, rispettivamente comandanti del Partenope e dello Stromboli, da noi conosciuti a Marsala, durante il fortunoso sbarco dei Mille), ed il Comandante del Forte di Castellammare, Colonnello Fileno Briganti,(24) ricevano l’orine procedere al bombardamento.
Precisiamo che l’ordine del Luogotenente Lanza viene trasmesso dal Palazzo Reale alla Squadra Navale Duosiciliana dal Brigadiere della Real Marina, Chrétien, legittimato a farlo in quanto Comandante della Stazione Navale della Sicilia. Sì, perché, quando vuole, il Lanza riesce a far funzionare tutto alla perfezione. Anche la trasmissione di comandi a distanza, fra il Palazzo Reale ed il mare. Ed è, questo, un dato di fatto.(25)
Il Briganti, stando agli ordini ricevuti, fa sparare un colpo di cannone ogni cinque minuti; l’Acton e gli altri ufficiali dell’Armata Navale hanno più libertà di manovra, d’iniziativa e di movimento. Faranno sparare qualche colpo in più. Per la verità avrebbero dovuto colpire il campo Garibaldino e il Quartier Generale del Dittatore. Ma non lo faranno. Colpiranno alcune case, alcuni edifici religiosi e sfioreranno l’accampamento Duosiciliano.
L’unico ufficiale Duosiciliano che colpisce obiettivi strategici sembra essere il Comandante dell’Ercole, Flores, il quale spara con precisione lungo il percorso della via Toledo, evitando di colpire le case e gli edifici che vi gravitavano ed impedendo ai Garibaldini di muovere all’attacco del Palazzo Reale. Almeno da quel percorso.
La perizia del Flores viene in qualche modo riconosciuta dal Mundy, che lo vede manovrare a poca distanza dalla sua Ammiraglia. Il Mundy, tuttavia, scriverà che probabilmente i marinai agli ordini del Flores non avrebbero manovrato così bene se avessero trovato opposizione. Osservazione, questa, che ci conferma la mancanza di una rivoluzione e che l’opera bellica del Comandante Duosiciliano era sostanzialmente chirurgica.
Colpito il «campo» dei picciotti di mafia a Villa Giulia.
Riteniamo che in quella occasione molti dei picciotti di mafia che affollano quell’importante arteria, forse per la prima volta, siano stati, loro malgrado, uccisi. Ma non saranno pianti né onorati dai loro amici Piemontesi.
Fu colpito pesantemente anche l’accampamento improvvisato, realizzato dai picciotti di mafia, all’interno della Flora (cioè della Villa Giulia) il giorno 27 maggio, al momento dell’ingresso in Città dell’Armata anglo- piemontese-garibaldina.
I poveri picciotti, infatti, contano da vivi, almeno per il momento.
Difficile sapere, a questo punto, quante siano state effettivamente le vittime fra la cittadinanza, letteralmente finita fra i due fuochi. E quali i danni materiali.
Gli storiografi filo-Garibaldini mostrano fotografie di edifici distrutti in parte o comunque danneggiati (scattate ovviamente dopo, così come quelle delle barricate) e, più spesso, litografie di scene inventate o truccate. E ci forniscono le cifre, più disparate e tutte catastrofiche.
Ma sappiamo quanto questi abbiano la tendenza a manipolare la storia di quel periodo, sull’esempio dei corrispondenti Inglesi e di illustri personaggi, come lo stesso Mundy o l’estroso romanziere francese Alessandro Dumas. Quest’ultimo strapagato e protetto dal Dittatore Garibaldi in persona. Gli storiografi Duosiciliani, a loro volta, minimizzano, forse un po’ troppo, quel fatto drammatico.
Non si tratta, tuttavia, di un bombardamento a tappeto, come quello che l’Esercito e la Flotta del giovane Regno d’Italia avrebbero scatenato su Palermo nel settembre del 1866. Come avviene però in tutti i bombardamenti, le morti, le vittime innocenti e le distruzioni, purtroppo si verificano sempre. E vi furono, numerose, anche in quei tragici giorni di maggio del 1860 a Palermo.
E non abbiamo quindi remore nel condannare e nel definire disumana ed assassina quella iniziativa del bombardamento. Né intendiamo attenuarne la mostruosità. Oppure omettere di stigmatizzare la responsabilità del Lanza e quella dei suoi più diretti collaboratori. Le responsabilità insomma, vi furono e furono enormi. E da un traditore di primo piano, qual era appunto il Lanza, c’era da aspettarsi di tutto.
Non escludiamo che anche questa vile azione fosse stata ordinata dagli Inglesi per i motivi già anticipati. E cioè per consentire l’intervento e la mediazione dell’Ammiraglio Mundy e del Corpo Diplomatico straniero per addivenire a trattative di pace salva-Garibaldi, che giustificassero e consentissero altre manovre per regalare letteralmente la Città di Palermo, le sue fortezze, le sue ricchezze all’Armata anglo-piemontese-sabauda-garibaldina e mafiosa.
Palermo bombardata per ordine del Generale Lanza.
Il bombardamento della città fu imposto al Lanza dagli Inglesi o fu comunque concordato? Il sospetto è legittimo, il risultato non cambia.
A questo punto, riproponiamo il sospetto che il bombardamento di Palermo fosse stato preventivamente concordato con gli agenti segreti britannici, se non con lo stesso Mundy, per rendere necessario ed urgente l’intervento umanitario del Corpo Diplomatico straniero ed in particolare quelli del Console Generale di Gran Bretagna e dell’Ammiraglio Mundy.
Un intervento che in realtà vi sarà e che creerà artificiosamente (come sappiamo) le condizioni di una tregua taroccata. Nel corso della quale sarebbero stati adottati espedienti ed imbrogli inqualificabili, funzionali alla resa del Presidio Militare Duosiciliano di Palermo. Ed all’uscita di scena della Luogotenenza del Re Francesco II in Sicilia, al fine di dare legittimazione, credibilità e libertà di azione alla Dittatura Garibaldina in Sicilia, che si era installata in nome e per conto di Vittorio Emanuele, il quale non era affatto Re d’Italia, né tantomeno Re di Sicilia.
Tutti avvenimenti, questi, paradossali, che servirono a fare crollare l’intero Regno delle Due Sicilie.
Pensiamo che sia stato altrettanto esecrabile il comportamento di tutti gli ufficiali che intanto eseguivano l’ordine illegittimo e disumano del Luogotenente. Comportamento riprovevole, a maggior ragione, se costoro, come sembrerebbe, fossero stati contattati da tempo e fossero stati informati delle mire del Lanza.
Sappiamo bene, del resto, che né il Chrétien, né il Briganti, né l’Acton, né gli altri ufficiali, che eseguono i bombardamenti, erano stinchi di santo.
Non dobbiamo dimenticare, ad esempio, che il Briganti sarebbe stato, di lì a poco, sospettato (ed in conseguenza ucciso dai suoi stessi soldati) di alto tradimento, come responsabile delle tante manovre militari (ritirate, soprattutto), finalizzate ad agevolare – anziché contrastare – l’avanzata dei Garibaldini in Calabria.
Mentre Guglielmo Acton, la cui professionalità abbiamo pure riconosciuto, sarebbe passato (anche lui!), dopo pochissimo tempo dai fatti di Palermo, al servizio di Vittorio Emanuele II. Ed avrebbe fatto una brillante carriera. Sarebbe addirittura diventato Ministro della Marina italiana e sarebbe stato nominato Senatore del Regno (d’Italia, naturalmente).
Altrettanto gratificante sarebbe stata la successiva carriera militare del Chrétien dopo il cambio di casacca, ovviamente, sotto il tricolore sabaudo.
E così avvenne per quasi tutti gli alti ufficiali che avessero avuto qualcosa da vendere…
Le prove e le condizioni per confermare, con certezza, le accuse di doppiogiochismo, di infiltrazioni, di tradimenti, di corruzione e di altro, nelle vicende risorgimentali italiane, vi sono veramente tutte, proprio tutte. E ciò, dall’inizio della tanto decantata impresa dei Mille. Se non addirittura da prima ancora.
Anche se la cultura ufficiale fa finta di non saperlo.
(24) Fileno Briganti era nato a Chieti il 1° maggio 1802. Figlio di un Capitano dell’Esercito, non ebbe grosse difficoltà ad essere ammesso al prestigioso collegio militare della Nunziatella di Napoli, da dove uscì nel 1819 con il grado di sottotenente di artiglieria. Fu abbastanza attivo contro le rivoluzioni indipendentiste siciliane, a cominciare da quella del 1848. Fece poi una discreta carriera, ma niente di eccezionale, se a Palermo lo troviamo con i gradi di tenente Colonnello, nel maggio del 1860. La promozione a Colonnello gli arriva a Messina il 17 giugno dello stesso, fatidico, anno. Le sue quotazioni sono ottime, perché il fatto che abbia combattuto a Palermo, cannoneggiando la città, lo fa apparire come un uomo d’azione, forse un po’ rozzo, ma nel complesso affidabile. Nessuno si pone il dubbio di come mai neppure lui abbia arrecato danni effettivi ai Garibaldini e tantomeno a Garibaldi… Ma si sa, in campo Duosiciliano sono troppi, fra gli alti ufficiali, quelli che hanno qualcosa da farsi perdonare. Tutti i dubbi sulla onestà del Briganti riemersero allorché nel mese di agosto i suoi stessi soldati ne scoprirono il ruolo di traditore, in Calabria, e lo fucilarono sul posto. Ne riparleremo ampiamente nelle pagine dedicate appunto all’avanzata garibaldina in Calabria. Un’avanzata resa possibile dai generali Duosiciliani traditori.
(25) G. R. Mundy, op. cit., pag. 134.
QUI TROVARE LA DODICESIMA PUNTATA
QUI UN ARTICOLO DI IGNAZIO COPPOLA SULLA RIVOLTA DELLA GANCIA
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