Storia & Controstoria

La vera storia dell’impresa dei Mille 19/ Garibaldi sconfitto a Pioppo e salvato dai traditori. Il ‘giallo’ della morte di Rosolino Pilo

Condividi

Dopo la ‘vittoria taroccata’ di Calatafimi, Garibaldi si avvia verso Palermo. A Pioppo l’avventura dei Mille rischia di concludersi. Un presidio dell’esercito Duo siciliano attacca i garibaldini e li mette in ginocchio. Ma ecco l’ordine che arriva dai generali corrotti del Borbone: ritirata. Per la seconda volta i militari Duosiciliani sono costretti a non vincere. La strana – e mai chiarita – morte di Rosolino Pilo, ucciso a San Martino delle Scale da una pallottola ‘vagante’…   

di Giuseppe Scianò

Nei giorni 19, 20 e 21 maggio 1860, l’Armata Garibaldina tenta di conquistare Monreale  – All’alba del 19 maggio 1860 Garibaldi ed i suoi uomini, lasciatisi alle spalle Borgetto e Sagana, scendono baldanzosi verso Monreale. Dovranno attraversare la borgata di Pioppo. Il programma dell’Eroe dei Due Mondi è semplice: conquistata Monreale, potrà piombare su Palermo, sulla Capitale cioè della Sicilia.

Per la verità a Monreale sono acquartierate ingenti forze borboniche. Fra queste il Reggimento 8° Cacciatori, comandato dal Colonnello Von Mechel, coordinato da ottimi ufficiali Siciliani come il Colonnello Beneventano Del Bosco. Garibaldi, comunque, è ottimista. Conosce già di che pasta siano fatti gli alti ufficiali e gli alti funzionari dell’apparato Duosiciliano. Conta poi sulle bande di picciotti che Rosolino Pilo dovrebbe far convergere, passando da San Martino, su Monreale.

E conta anche sulla constatazione del fatto che, dalla battaglia taroccata di Calatafimi in poi, nessuna formazione militare del Regno delle Due Sicilie lo abbia attaccato. Conta, infine, nonostante i mancati riscontri, sulla grande rivoluzione che sarebbe scoppiata a Palermo, nonostante tutto.

Apriamo una parentesi per ricordare che, proprio in quei giorni, il nuovo Luogotenente del Re delle Due Sicilie, a Palermo, è il Generale Francesco Lanza, che ha sostituito l’inetto Paolo Ruffo di Castelcicala. E che, per dirla con Giuseppe Buttà, «finì di rovinare tutto».(8)

Un rimedio peggiore del male, sotto tutti i punti di vista, insomma. Seguiamo la cronaca dei fatti, che diventano, ogni giorno di più, determinanti per il destino della Sicilia (e per quello della Parte Continentale del Regno delle Due Sicilie).

Sulla stretta strada per Monreale l’Eroe Nizzardo deve attraversare, intanto, il piccolo centro abitato di Pioppo, dove è piazzato un adeguato presidio dell’Esercito Duosiciliano. E dove gli abitanti forse non sono affatto rivoluzionari o filo-sabaudi. E, tanto meno, sono filo-garibaldini.

Naturale quindi che vi sia immediatamente un nutrito scambio di fuoco di fucileria e, subito dopo, a distanza ravvicinata, un furibondo scontro armato.
I Garibaldini subiscono, pertanto, gravi perdite. Molti di essi rimangono inchiodati su una posizione oltremodo scomoda. Gli attaccanti, guidati dal loro Duce, sono alla fine costretti a ritirarsi fra mille difficoltà. Si è trattato di una prima, brutta, sconfitta e di una grossa, inaspettata, batosta per l’Eroe dei Due Mondi.

Altissimo invece il morale delle truppe Duosiciliane, che vorrebbero avanzare e passare ad un contrattacco vigoroso. Niente da fare, però. Dal Comando Duosiciliano di Monreale arriva l’ordine di ritirata! Si tratta di uno dei tanti assurdi, specifici, ordini salva-Garibaldi, che già conosciamo e con i quali dovremo convivere (e… soffrire) per tutta la durata delle vicende militari legate alla conquista definitiva della Sicilia e della Napolitania da parte dell’Armata anglo-piemontese-sabaudo-ungherese-mafiosa, camorrista e garibaldina nel biennio 1860-1861.(9)

Il resto di quella giornata trascorrerà senza grosse novità, dal punto di vista dei combattimenti. Le grandi manovre, politiche, nell’uno e nell’altro schieramento, tuttavia, continuano in altra sede. Ma non finirà qui.

Altra battaglia, altra vittoria ed… altra ritirata «salva-Garibaldi» –
Il 20 maggio al Colonnello Von Mechel, Comandante del Reggimento Cacciatori Esteri (del quale abbiamo parlato), viene dato il permesso di muovere nuovamente contro i Garibaldini. Con lui sono Bosco, Morgante, Chinnici, Luvarà, Del Giudice ed altri ufficiali, onesti e valorosi.

A Monreale restano tre battaglioni sotto il comando del Colonnello Bonanno. Con il Von Mechel sono complessivamente circa quattromila soldati Duosiciliani. Gli avamposti dell’Armata Garibaldina sono acquartierati nei pressi della parte abitata di Pioppo, sopra la Casina di Buarra. Si tratta prevalentemente delle bande di picciotti di mafia, alcune migliaia di persone, difficilmente quantificabili con esattezza. I Garibaldini D.O.C. sono, ora, una minoranza protetta.

Il Von Mechel fa aggirare dall’alto gli assalitori, grazie ad una rapida azione eseguita dagli uomini comandati dal Capitano Del Giudice.

I picciotti, alle prime avvisaglie di combattimento, cominciano a fuggire. Si allontanano sempre più disordinatamente. Alcuni di costoro tuttavia cercano di trascinare una cinquantina dei carri che trasportano equipaggiamenti e salmerie verso Partinico. Faticosamente. È un momento di Generale sbandamento. La strada rimane interrotta ed impraticabile. Sta per diventare una trappola.

Giuseppe Garibaldi e i suoi Mille rischiano di rimanere senza copertura ed alla mercé del Reggimento comandato dal Von Mechel.

Ma ecco che ai Duosiciliani arriva l’ordine di… ritirata. Così ci descrive la scena a cui ha assistito personalmente Padre Buttà:

«In quella (quando cioè i picciotti e i Garibaldini cominciano ad arretrarsi per poi fuggire disordinatamente, n.d.A.) sento la nostra tromba sonare a ritirata. Io non volevo credere né ai miei occhi, né a’ miei orecchi. Ritirata…! E perché? […] Vedo venire Bosco con una faccia da mettere paura: martirizzava il cavallo su cui montava; era al colmo dell’irritazione. Io, avendo molta confidenza col Bosco, gli dissi:

“Ritirarci, e perché?” Mi rispose con parole sdegnose ed inintelligibili, e passò via. Non ho avuto mai certezza sicura della vera causa di quella inesplicabile ritirata. Il Mechel non poteva essere sospetto né di viltà, né di tradimento; quindi non si parlò che di un ordine venuto da Palermo».

Continua il povero cappellano, che subito dopo aggiunge:

«Intanto i soldati mormoravano e cominciavano a proferire la parola tradimento, e non si faticò poco per farli ritornare alla volta di Monreale».

Un ordine di ritirata, insomma, che sarebbe arrivato addirittura dall’Alto Comando della Luogotenenza del Regno, dal Palazzo Reale di Palermo. Un ordine di ritirata salva-Garibaldi, arrivato con puntualità e zelo degni di miglior causa.

Il racconto del Capitano Del Giudice conferma l’esistenza del doppio- giochismo e del tradimento organizzato ai vertici dell’Esercito delle Due Sicilie. A Monreale, come a Palermo, come altrove.

Il Capitano racconterà, poco dopo, al Buttà (facendolo ovviamente soffrire ancora di più) che dalla posizione alta in cui si trovava con i suoi uomini, avrebbe potuto distruggere metà dell’Armata Garibaldina soltanto facendo rotolare sulla strada sottostante grosse pietre. E che, sempre con le sole pietre rotolate dall’alto, si poteva interrompere la strada che portava a Partinico. Ai soldati che volevano combattere, guidati dal Capitano Del Giudice, è concesso, tuttavia, il contentino di marciare su San Martino, dietro i monti di Monreale, a nord-est. Probabilmente si pensa ad un inutile diversivo. Ma non sarà così.

A San Martino muore Rosolino Pilo… I picciotti tagliano la corda
Lì, a San Martino, sono acquartierate le bande di picciotti, guidate da Rosolino Pilo, pronte a scendere verso Palermo, anche perché corre voce che da un momento all’altro la città si ribellerà compatta alle autorità Duosiciliane, in nome dell’Italia e di Vittorio Emanuele (ovviamente!…).

Trovandosi in condizioni estremamente vantaggiose, i picciotti attaccano, affrontando, probabilmente per la prima volta dopo la battaglia di Calatafimi, un vero, regolare conflitto a fuoco. È un combattimento destinato però a non durare a lungo. Subito dopo l’inizio, infatti, cade ferito mortalmente proprio Rosolino Pilo.

I picciotti sono quindi costretti a ritirarsi in modo precipitoso. Ricordiamo che Rosolino Pilo apparteneva ad una delle più illustri famiglie siciliane. Il padre, Girolamo, è il conte di Capaci e la madre, Antonia Gioeni, appartiene alla famiglia dei duchi di Angiò. Rosolino era stato, giovanissimo, uno dei protagonisti della rivoluzione indipendentista siciliana del 1848. Avrebbe successivamente aderito agli ideali repubblicani ed unitari del Mazzini ed avrebbe collaborato a lungo con questi. Anche lui, nel 1860, è già convertito alla Causa Sabauda, unitaria e conseguentemente monarchica.

Con Giovanni Corrao si era trovato in Sicilia, fin dal 12 aprile di quel 1860, per organizzare appunto le squadre dei picciotti e per accendere qua e là qualche focolaio d’insurrezione che giustificasse e preparasse uno sbarco in Sicilia. Sbarco che, con Garibaldi o senza Garibaldi, si era comunque deciso di fare effettuare, per scelta strategica di quegli ambienti autorevoli di Londra e di Torino, ai quali abbiamo già fatto cenno.

Secondo alcuni studiosi (10) Rosolino Pilo avrebbe mantenuto integri e forti gli ideali indipendentisti e Sicilianisti della propria gioventù, al di là delle apparenze, in fondo al suo cuore. Molto in fondo riteniamo. Certamente il suo aiuto per Garibaldi era stato utile, soprattutto dal punto di vista propagandistico. Ma la sua morte avrebbe lasciato un vuoto notevole nello schieramento garibaldino.

Venuto meno Rosolino Pilo, le squadre dei picciotti si disperdono. La battaglia di San Martino si conclude quindi con la vittoria del Capitano Del Giudice e dei soldati Duosiciliani.

Garibaldi ripiega prudentemente su Altofonte – Garibaldi, minacciato dal contrattacco del Von Mechel, constatato che a Palermo nessuna rivoluzione era in corso e che l’apporto di Rosolino Pilo (che comunque sarebbe stato utile) era stato annullato dalla morte dello stesso, per evitare il peggio, decide di ripiegare verso il Parco (Altofonte), paese posto alla sommità di una zona montagnosa e quindi più sicura.

Così riassume i fatti Padre Buttà:

«Garibaldi al Pioppo aspettava la rivoluzione di Palermo, e vedendo che non scoppiava, come gli avevano promesso, trovandosi seriamente minacciato dai regi, la notte del 21 maggio, riunì i suoi, già dispersi per la paura che avevano avuto nel tentato attacco della colonna Mechel, prese la via de’ monti, a destra, e marciò verso Parco piccolo paese fabbricato a metà della costa di una grande montagna, rimpetto Monreale dalla parte del Nord Est. Divise i suoi in due colonne, una comandata da lui accampò sull’alta montagna, in un luogo detto Pizzo di Fico, l’altra comandata dall’ungherese Türr occupò Parco».(12)

Sembra che tutto volga ora per il meglio per l’Esercito delle Due Sicilie. Ma qualcosa continua a non andare. L’ordine di inseguire Garibaldi tarda infatti a venire. Sembra proprio che il Lanza voglia dare ai Garibaldini tutto il tempo per fare ciò che vogliono. Mentre le truppe Duosiciliane rimangono bloccate a Monreale.

Ci corre l’obbligo di una domanda che – in mancanza di prove certe – lasciamo senza risposta: l’improvviso ordine di ritirata, intimato alle forze del vincente Bosco, a Pioppo, è in qualche modo collegato con l’arrivo a Palermo del Contrammiraglio Mundy, al quale il Lanza obbedirà quasi ciecamente, cercando soltanto di camuffare il gioco delle parti?

Fine 19esima puntata/ Continua

Foto tratta da it.wikipedia.org

(8) G. Buttà, op. cit., pag. 35.

(9) Ci sia perdonato l’eccesso di passione con il quale ci siamo espressi, che non intacca, tuttavia, l’esattezza con la quale abbiamo riportato i fatti e gli avvenimenti realmente accaduti.

(11) Giovanni Aceto, 1982: il centenario di Garibaldi e la rivoluzione siciliana del 1860, «Sicilia Oggi», 1982, pag. 46. Scrive l’Aceto:
«Così mentre Pilo assedia Palermo con i suoi armati dall’alto dei monti, e vede crescere di giorno in giorno le sue forze, Garibaldi e Crispi sbarcano a Marsala. Quando si congiungono le forze dei Mille con quelle di Pilo, esplode subito il dissenso fra le due posizioni politiche, e Pilo viene ucciso a tradimento in circostanze misteriose sul monte San Martino. Viene eliminato così l’ostacolo di chi poteva sostenere con le armi la tesi dell’indipendenza siciliana contro quella di fare entrare “Casa Savoia”. “Da una pallottola di rimbalzo” si legge nel referto medico che descrive la ferita mortale inflittagli alle “spalle” quasi la pallottola avesse potuto rimbalzare su una racchetta da tennis». Con la consueta sincerità ci corre l’obbligo di dire che, in realtà, la tesi dell’Aceto ci appare dimostrata tutt’altro che bene nel contesto del saggio sopra citato. Non sappiamo se in altre pubblicazioni la tesi sia stata supportata da «altri» documenti o da argomenti più consistenti. Riterremo tuttavia utile qualsiasi iniziativa di indagare (che, a nostro giudizio, deve essere allargata non soltanto al personaggio Pilo ma a tutti gli ex protagonisti della lotta indipendentista 1848-49) sulla «decapitazione» del movimento indipendentista Siciliano, avvenuta, nel periodo che va dal 1849 al 1860, per opera degli ex «alleati» del Governo della Gran Bretagna. Una «decapitazione» non violenta, ma fatta di asili politici, incarichi, blandizie e coinvolgimenti ben remunerati, in iniziative unitarie e filo sabaude, poco compatibili con gli ideali di origine. Se non in contrasto.

La vera storia dell’impresa dei Mille 18/ La verità sulla rivolta della Gancia del 4 aprile 1860 e sulle “tredici vittime” 

 

 

Visualizza commenti

Pubblicato da