Già i due eminenti studiosi, qualche anno fa, ci hanno deliziato con una ‘innovativa’ interpretazione della trattativa tra Stato e mafia. Adesso il professore Lupo, storico di polso, ci viene a raccontare che la mafia non sarebbe figlia del Risorgimento. E allora i ‘picciotti’ che ci facevano con Garibaldi durante l’impresa dei Mille? Giocavano a briscola con Generale e con Bixio?
Lo scorso 5 aprile scorso, a Palermo, nei saloni di Palazzo Steri, lo storico Salvatore Lupo ha presentato il suo ultimo libro dal titolo: ”La mafia – Centosessant’anni di storia” con in copertina la foto di Salvatore Giuliano che, per quanto ci è dato da sapere, lo si conosce più come bandito che come mafioso…
La copertina la dice tutta sullo ‘stile’ del Prof Lupo che, a forza di scrivere storie di mafia, alla fine, miscelando le cose, rischia di confondere anche il lettore. Innamorandosi spesso delle proprie tesi, l’autore finisce, suo malgrado, con l’apparire un tuttologo, depositario delle verità in tutti i campi dello scibile storico, da quello mafioso a quello risorgimentale.
Abbiamo ascoltato la relazione del prof Lupo, secondo il quale gli altri storici non sempre avrebbero centrato il tema. E qualcuno, addirittura!, sarebbe anche imbecille, come ha avuto modo dire nel suo intervento, entrando in polemica con chi non la pensa come lui. Del resto, gli storici, a proposito del Risorgimento, appioppano spesso l’attributo di revisionisti spiccioli o di filo-borbonici a chi, come Carlo Alianello, Nicola Zitara, Gigi Di Fiore, Tomaso Pedio, Antonio Gramsci, Pino Aprile hanno riscritto e stanno riscrivendo la storia risorgimentale troppo spesso mistificata dalla storiografia ufficiale e di regime.
Qualcuno dovrebbe provare a raccontare al Prof Salvatore Lupo che la storia d’Italia, in questi ultimi 160 anni, è molto diversa da quella che ci hanno propinato gli storici di regime. E a proposito di mafia, nel suo libro, anziché affermare che la mafia non è figlia del Risorgimento, dovrebbe specificare bene il ruolo determinante che la mafia e i picciotti ebbero nell’impresa dei mille, tanto da far dire alla storico Giuseppe Carlo Marino nel suo documentatissimo libro “Storia della mafia” che:
“Garibaldi in Sicilia senza l’aiuto determinante della mafia non avrebbe potuto fare molta strada”.
C’è anche la testimonianza del boss italo-americano, Joseph Bonanno (Joe Banana), che nel suo libro autobiografico, a pagina 32, a proposito delle sue memorie, così scrive:
“Mi raccontava mio nonno che quando Garibaldi venne in Sicilia gli uomini della nostra ‘tradizione’ (mafia) si schierarono con i mille perché ciò era funzionale ai nostri obbiettivi e ai nostri interessi”.
Per non parlare del giudice Rocco Chinnici, che, a proposito della mafia, sosteneva che prima della venuta di Garibaldi era ancora allo stato embrionale e che si “istituzionalizza” proprio con l’Unità d’Italia.
Ecco come ampiamente documentato nasce e prospera la mafia in Sicilia e su questo punto il prof Lupo, nel suo libro “La mafia 160 anni di storia”, da storico, appare molto generico e un po’ approssimativo. Ha un bel dire, il Prof Lupo, quando ci racconta che la mafia non è figlia del Risorgimento, mentre da quanto detto è storicamente ampiamente dimostrato l’esatto contrario.
Infine, in sede di presentazione del libro, nel dibattito è riaffiorata la polemica sollevata dal Prof Giovanni Fiandaca a proposito della trattativa Stato-mafia e della relativa sentenza che ha bocciato la teoria giustificazionista del duo Lupo-Fiandaca.
Il Prof Fiandaca e lo storico Salvatore Lupo, infatti, nel libro che qualche anno fa ha avuta molta eco e di cui sono gli autori – “La mafia non ha vinto” – mettendo in dubbio i fondamenti giuridici del processo di Palermo, accusavano i PM di un pregiudiziale atteggiamento “criminalizzatore”, arrivando al paradosso di affermare che il presunto patto occulto tra Stato e mafia era una necessità per far cessare le stragi.
I due studiosi sostengono, in buona sostanza, che in determinate situazioni di emergenza, motivate da uno “stato di necessità”, possono essere giustificati interventi (che a quanto pare ci sono state e la sentenza lo conferma) al di fuori dalla legge adottati da alcuni organi dello Stato. Uno “stato di necessità”, secondo i professori Lupo e Fiandaca, che alla fine giustifica la trattativa fatta per il bene dei cittadini.
Ma a questo punto c’è da chiedersi qual è il bene dei cittadini: quello di vivere in uno Stato che dovrebbe essere forte, autorevole e credibile e vederlo alla fine arrendersi ai ricatti della mafia? Il prof Fiandaca, da illustre giurista, ed il prof. Lupo, da insigne storico, avrebbero dovuto sapere, come sanno bene, che le trattative Stato-mafia in questo nostro Paese, sin dalla strage di Portella della Ginestra (la prima strage di Stato dell’Italia repubblicana cui ne seguiranno via via tante altre), sono state “elette a sistema” e non troveranno mai giustificazione, dal punto di vista etico e morale, in uno Stato di diritto ed in un Paese civile, da qualsiasi “stato di necessita”.
A questo punto, per onorare la memoria del giudice Paolo Borsellino – che per ostacolare ogni tipo di trattativa Stato-mafia (ed è quello che emerge dalle carte processuali) è saltato in aria insieme agli uomini e alle donne della sua scorta – sarebbe opportuno che si invertisse lo stato di necessità e di arrendevolezza che ha ‘giustificato’ la trattativa tra Stato e mafia. Per diventare, al contrario, stato di necessità e di fermezza di uno Stato autorevole, forte e credibile, espressione delle sue forze sane: uno Stato che non ha bisogno di scendere a compromessi e patti con la mafia col fine abbietto e riprovevole di legittimarla.
Uno Stato, insomma, in grado di combattere con mezzi adeguati la mafia, riconquistando così la fiducia dei cittadini e la dignità di vivere in un Paese civile.
La sentenza di primo grado del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, che risale al 20 aprile dello scorso anno, riconoscendo la validità dell’impianto accusatorio dei PM di Palermo, deve essere stata, per i due assertori delle teorie giustificazioniste, un vero e proprio pugno nello stomaco. Proprio questa sentenza dovrebbe portare consiglio a chi, con superficialità, opta per teorie e giustificazioni affrettate.
Foto tratta da Donzelli
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