E’ inutile girarci attorno: oggi il basso costo del lavoro agricolo e l’uso smodato di pesticidi ed erbicidi sono la chiave di volta del liberismo per scardinare le agricolture dell’Europa mediterranea. Il Sud Italia, con molta probabilità, è una delle prime aree agricole europee che dovrà essere massacrata dalla globalizzazione dell’economia. L’assenza della politica e i silenzi sul ‘Caporalato’ al Nord
L’ultima notizia di sfruttamento della manodopera per i lavori in agricoltura arriva da Salerno, con un’inchiesta della magistratura. Ma è solo uno dei tanti casi registrati in Italia, in particolare nel Mezzogiorno. Fermo restando che lo sfruttamento del lavoro – il cosiddetto ‘Caporalato’ – va combattuto ed eliminato, vorremmo provare a ragionare su un problema che, oggi, in agricoltura, è fondamentale: il costo del lavoro, che nel nostro Paese è di gran lunga maggiore rispetto al costo del lavoro di altri Paesi che ‘invadono’ letteralmente l’Italia con le proprie produzioni agricole, spesso di pessima qualità.
Oggi il costo del lavoro e la ‘chimica’ fanno la differenza tra le agricolture del mondo. Ci sono Paesi – e tra questi c’è l’Italia – che si sono dotati di leggi per ridurre l’uso di pesticidi e di erbicidi in agricoltura e di leggi a tutela di quelli che, un tempo, si chiamavano braccianti agricoli, oggi definiti lavoratori stagionali.
In Italia, già alla fine degli anni ’60 e nei primi anni ’70 del secolo passato alcuni pesticidi sono stati banditi dalla farmacopea agricola perché dannosi per la salute umana.
Ebbene, c’è il dubbio – che in realtà è più che un dubbio – che molti di questi prodotti chimici, sicuramente efficaci contro i parassiti delle piante, ma dannosi per la salute umana, siano usati da molti Paesi del mondo esportano i propri prodotti in Italia e in altri Paesi.
Citiamo solo due esempi: i pomodori e la passata di pomodoro che, a fiumi, arrivano in Italia. Come vengono prodotti questi pomodori? Che prodotti chimici vengono utilizzati?
Ma se per il pomodoro c’è il punto interrogativo, per alcuni prodotti coltivati nelle aree fredde e umide c’è la certezza di qualche problema: è il caso dei grano – duro e tenero – e dei legumi (soprattutto lenticchie) che arrivano dal Canada. E’ noto che, nelle aree fredde e umide del Canada, visto che il clima è quello che è, la maturazione viene, come dire?, sollecitata artificialmente con il glifosato, forse l’erbicida più famoso al mondo.
Sarebbe un errore, però, soffermarsi solo su Canada. Il brevetto del glifosato è scaduto e a produrre i prodotti chimici per l’agricoltura a base di glifosato, oggi, non è solo la Monsanto (che, com’è noto, si è fusa con la tedesca Bayer, COME POTETE LEGGERE QUI), ma mezzo mondo!
Se ne deduce che il glifosato, oggi, è liberalizzato, con tutto quello che ne consegue. E poiché i derivati del glifosato sono molto efficaci sia come diserbanti, sia come prodotti che inducono la maturazione artificiale, non è da escludere che la sua utilizzazione possa essere maggiore rispetto a quanto immaginiamo.
Detto questo, un fatto comunque è certo: chi utilizza la ‘chimica’ in agricoltura produce di più ed esporta prodotti agricoli a prezzi molto bassi.
Non a caso, una delle critiche che oggi viene mossa all’agricoltura biologica è che produce poco e non sarebbe in grado di sfamare una popolazione mondiale in crescita. Critica un po’ demenziale, quasi che, per sfamare l’umanità sia necessario avvelenarla… Ma tant’è!
Ma questo è un altro tema. Quello che ci interessa sottolineare è che chi, in agricoltura, fa uso di sostanze chimiche ‘pesanti’ produce di più di chi cerca di limitare al minino la chimica in agricoltura e molto di più di chi produce in biologico.
Il secondo elemento fondamentale che oggi fa la differenza in agricoltura è il costo del lavoro.
In Italia il costo giornaliero di un operaio agricolo si attesta intorno a 80 euro (e forse anche qualcosa in più).
In Nord Africa e in Asia – aree del mondo che ‘invadono’ i nostri mercati con le loro produzioni agricole – il costo del lavoro, in media, è pari in media, a un ventesimo del costo del lavoro italiano.
E’ chiaro che la nostra agricoltura non può essere competitiva con chi produce con un costo del lavoro di gran lunga più basso del nostro e con un incontrollato uso della ‘chimica’.
Precisiamo che il ‘Caporalato’ non riguarda solo il Mezzogiorno, ma tutta l’Italia (QUI UN ARTICOLO SUL CAPORALATO NEL NORD ITALIA).
Ebbene, rispetto a questo tema cosa ha fatto e cosa fa la politica italiana? Nulla! E cosa fa l’informazione, oltre a stracciarsi le vesti quando – quasi sempre nel Sud Italia, raramente nel Centro Nord Italia – si scopre lo sfruttamento di lavoratori che arrivano dai Sud del Mondo? Nulla!
Tenete conto che è proprio attraverso questi due strumenti – uso smodato della chimica in agricoltura e basso costo del lavoro – che i liberisti che oggi controllano l’Unione Europea stanno portando avanti un disegno preciso: lo smantellamento delle agricolture dell’Europa mediterranea.
La prima fase di questa folle globalizzazione dell’economia è il fallimento degli agricoltori; la seconda fase dovrebbe essere l’acquisto dei terreni agricoli dei nostri agricoltori a prezzi stracciati.
La prima fase, per alcuni settori dell’agricoltura – per esempio, per il grano duro del Mezzogiorno d’Italia – è già in fase avanzata, se è vero che, da qualche anno, il prezzo del grano duro è bloccato a 18-20 centesimi al quintale, un prezzo inferiore allo stesso costo di produzione del grano duro, che si attesta intorno a 23-24 euro per quintale.
La seconda fase – l’ ‘assalto’ agli agricoltori per togliergli i terreni (e magari anche le case in cui vivono) – è ancora agli albori e, per ora, è mediata dai Tribunali (non dimentichiamo che il passato Governo italiano di ‘centrosinistra’ ha provato a dare più potere alle banche, per metterle in condizione di ‘aggredire’ meglio i creditori…).
Il grano duro del Sud Italia non è la sola coltura destinata a diventare irrilevante (da sostituire con il grano duro estero: cosa che avviene già da anni). Un altro prodotto preso di mira è il latte di pecora, che in Italia ha un costo di produzione superiore a un euro al litro e che, in questo momento, viene pagato agli allevatori a 0,75 centesimi, con la vaga promessa di un aumento…
Accordo sbagliato arrivato dopo la protesta dei pastori sardi, i quali si sono adeguati al ‘contentino’ offerto dal Ministro leghista delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio, il citato 0,75 euro al litro, più improbabili aumenti. Accordo che va bene momentaneamente alle industrie.
Problema non risolto, perché sul latte ovino italiano incombe il latte ovino rumeno che costa oltre quattro volte meno di quello italiano e che, se non cambieranno le condizioni, è destinato a sostituire il latte ovino italiano.
Rispetto a questi problemi gli agricoltori sono soli. L’attuale Governo nazionale – con riferimento alla gestione leghista del Ministero delle Politiche agricole – sta tutelando gli agricoltori del Centro Nord Italia, non certo gli agricoltori del Sud, destinati, se le cose non cambieranno, ad essere massacrati non tra vent’anni, ma tra qualche anno.
Le possibili soluzioni? Ci sono. Ma di questo parleremo domani.
Foto tratta da emmetv.it