In questo capilo del racconto l’autore rievoca una lezione sul mondo dei ciechi, che nel Regno delle Due Sicilia erano oggetto di una particolare assistenza che, all’epoca, era all’avanguardia nel mondo. Il dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio dal titolo “La parabola dei ciechi” (foto sopra)
di Domenico Iannantuoni
Cari ragazzi,- Esordì il maestro.
– In questo secolo di ingegno e di progresso, in questo
diciottesimo secolo che evolve così rapidamente ed il cui
tempo è scandito da innovazioni giornaliere
meravigliose e che portano ad immaginare un futuro
brillante, il nostro Stato non poteva esimersi dal
potenziare le già nostre antiche attitudini alla
salvaguardia della bontà di vita dei meno fortunati. Vi
voglio parlare dei ciechi, per i quali qui a Napoli ed in
tutto il nostro Regno sono attive istituzioni vecchissime
ma sempre poste all’avanguardia nel mondo.
– A Capodimonte, in una delle nostre Regge, facente parte
della Collezione Farnese, il nostro Carlo III sistemò un
dipinto bellissimo e che tutti voi potrete andare e vedere,
Si chiama “La parabola dei ciechi”. “De parabel
blinden”). E’ un dipinto molto vecchio e databile intorno
al 1568 ad opera di Pieter Bruegel il Vecchio.
– Arnold Hauser, disse riferendosi a questo dipinto:
“Attraverso quest’opera Pieter Bruegel si propose di
dimostrare quanto di equivoco ci sia nell’esistenza
umana.”- Secondo me corrispondente al pensiero di
Giacomo Leopardi.-
– Il dipinto raffigura sei uomini ciechi e sfigurati, che
camminano lungo un percorso delimitato da un fiume da
un lato e da un villaggio da un altro. Il primo cieco è già
caduto con la schiena in un fossato e, essendo tutti
aggrappati l’uno all’altro con i bastoni, sembra
trascinare i propri compagni con lui.
– L’opera di Bruegel traduce in immagini la parabola
evangelica del cieco che guida un altro cieco, in cui
Cristo si rivolge ai Farisei e dice: “Sono ciechi e guide
di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e
due cadranno in un fosso!”.
– Bruegel, contravvenendo agli stili del suo tempo, non
rappresenta i ciechi con gli occhi chiusi, bensì, per
ognuno dei sei, ne cura la patologia oculare riportandola
chiaramente nel dipinto. Del primo uomo non si vedono
gli occhi, nel secondo i bulbi sono stati eviscerati, il terzo
soffre di leucoma viscerale, il quarto di atrofia del nervo
ottico, il quinto è fotofobico ed il sesto è danneggiato dal
pemfigoide bolloso. Vengono quindi riportate le malattie
degenerative della vista.
– Da noi e soprattutto nell’antica Grecia, la cecità era
considerata una condizione necessaria per ricevere doni
sovrannaturali dagli dei. In Europa medioevale i ciechi
erano protagonisti di miracoli…Bruegel ci riporta alla
visione del suo tempo nel quale la concezione greca del
cieco è rovesciata. I ciechi vittime di scherzi o addirittura
bruciati sul rogo.
– Ma oggi ai nostri tempi, né la visione Greca o cattolica,
né quella protestante, possono lasciarci ignari del destino
di questi nostri fratelli sfortunati.
– Essere ciechi, quale il significato di questa terribile
malattia? Che ciascun cieco segue gli altri, bastone in
mano, trionfante verso il destino? No di certo.
Un’allegoria vecchia di almeno tre secoli e superata e
che deve farci riflettere.
– Sentire i rumori, sentire gli odori, capire le forme con il
tatto, aggraziarsi dei buoni sapori e disgustarsi di quelli
cattivi…ma manca la vista! Il principale senso che ci
permette, secondo il nostro credo banale e piccolo, di
vivere nella nostra società. Non è così!
– Da noi, nei nostri istituti per ciechi, questi imparano a
leggere ed a scrivere con il metodo inventato dal grande
scienziato francese Simon Renè Braille che codificò
l’alfabeto per i ciechi. Loro imparano a suonare lo
strumento musicale più gradito, studiano la storia, la
grammatica, la matematica e la filosofia e camminano
per le strade aiutati da un semplice bastone sottile che gli
consente attraverso il rumore che esso rilascia al
battimento delle superfici, di capire la natura del
percorso. Sviluppano così un sesto senso e spesso si
muovono nei nostri contesti che a fatica si comprende
della loro cecità. I ciechi vedono anche meglio di noi ciò
che interpretano con la loro immaginazione. Affinano gli
altri sensi in modo estremo, capiscono le inflessioni ed
i toni della voce e sentono meglio gli odori che noi
emaniamo.
Eravamo tutti incantati da questa lezione stupenda del maestro
Riggio, e spesso chiudevamo gli occhi ascoltando la sua voce,
per capire meglio il senso della cecità.
– Ora vi presento un mio amico che è fuori dalla classe da
almeno una mezzora, ma non si sta annoiando,
credetemi.- Il maestro andò alla porta l’aprì e fece
entrare una persona alta e distinta, piuttosto giovanile e
con indosso un paio di occhiali scuri ed un bastoncino
piuttosto lungo alla mano destra. Questi seguì con
naturalezza il nostro maestro e si fermò proprio in
prossimità della cattedra rivolgendo lo “sguardo” verso
di noi, cioè verso la parte della classe dove lui
individuava la nostra presenza.
– Ecco a voi il Sig. Francesco Amoroso.- Tutti
applaudimmo.
– Il Sig. Amoroso, ha circa trent’anni ed è cieco dalla
nascita, egli ora vi terrà una lezione di storia.- E gli lasciò
la parola.
– Cari ragazzi, innanzitutto ringrazio di cuore il vostro
maestro Riggio per questa opportunità che mi ha dato e
cioè quella di portare la mia testimonianaza a voi dei
cinque sensi. Vi voglio parlare ….di come fu fondata la
Magna Grecia e del perché del nostro ruolo nel
mondo…-
Fu una lezione meravigliosa, in classe il silenzio era totale. Il
Sig. Amoroso camminava in su ed in giù e ci “guardava” come
se ci vedesse davvero. La sua voce era completa nelle sue
tonalità ed impressioni per dare più significato ad alcuni passaggi
o personaggi del tempo passato. Il suo parlare era musicale.
Mentre ci spiegava questa storia tutti avevamo dentro di noi
come uno schermo sul quale vedevamo le cose che ci narrava in
modo nitido e completo. Sentivamo i suoni diversi, dal fragore
del mare in tempesta ai silenzi delle montagne assolate, le voci
delle folle ed i cigolii dei carri. Bellissima esperienza. Quando
il Sig. Amoroso finì ci alzammo tutti in piedi e lo appalaudimmo
con un tal entusiasmo che il direttore che passava di lì in quel
momento si sentì costretto ad entrare. Vide la scena, guardò il
Sig. Amoroso ed il Maestro Riggio e poi nel silenzio
sopraggiunto disse:
– Il Sig. Amoroso, che conosco ormai da cinque anni, deve
avervi omaggiato di una sua lezione…mi spiace di non
avervi assistito. Ragazzi, fate tesoro di ciò che avete
capito e “carpito” da questi momenti di studio e di
attenzione. Rispettate i diversi da voi e cercate di
afferrare quanto la loro diversità sia compensata dalla
loro volontà e non meravigliatevi mai quando vi vedrete
superati in bravura da chi attraverso la sofferenza ha
saputo costruire una vita diversa ma parimenti utile
all’umanità.-
Altri applausi dopo il breve discorso del Direttore seguirono e
subito dopo la campana del finis ci obbligò a lasciare l’aula.
Lasciammo da soli il maestro Riggio, il Direttore e quindi il Sig.
Amoroso, che parlavano tra di loro, e ci allontanammo nel
corridoio per uscire.
Quel giorno, non so perché, feci fatica a narrare l’evento a casa,
ma poi, presi coraggio e ne parlai a mia madre che stava alla
luce della finestra della sala a ricamare con l’aiuto del suo telaio
tendi-stoffa. Ella mi ascoltò immediatamente e smise dopo poco
anche di ricamare per non perdersi nulla del mio racconto.
Sorrideva e poi mi accarezzò con affetto e disse:
– Caro Francesco, non dimenticarti mai di questa lezione
di storia bellissima, mai del Sig. Amoroso e delle
sofferenze che i ciechi devono subire lungo la loro vita,
ma soprattutto non dimenticarti mai che la Provvidenza
Divina, somministra sempre per il bene dell’uomo.
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