Caserta è nota per la sua Reggia. Ma nella storia del Sud Italia Caserta è importante perché il Regno delle Due Sicilie sperimentò a San Leucio un modello economico e sociale che è stato un esempio di solidarismo in tutto il mondo. Ovviamente, la storia ufficiale non parla di tutto questo; ci raccontano falsi storici su Garibaldi e sul Borbone!
di Domenico Iannantuoni
– Ed eccoci ragazzi al nostro racconto mensile…un po’
diverso dagli altri ma sempre avvincente per i suoi
contenuti sociali e storici. Ci fu un tempo, qui nel nostro
Stato, in cui si sperimentavano con passione tutte le
tecniche sociali legate allo sviluppo ed al progresso.
L’ing. George Stephenson era ancora lontano dal suo
primo progetto di locomotiva che nacque nel 1814, ma
noi, nel Regno di Napoli, già misuravamo i meccanismi
economici pensati dal Genovesi e fondammo un sito di
“idee” e di novità internazionali quale fu San
Leucio…ascoltatemi.-
Il maestro si avvicinò alla cattedra ed impossessatosi del suo
grande libro, lo aprì in un punto ben preciso ed inizò a leggere.
“Il seicentesco portale d’ingresso al palazzo monumentale del
Belvedere di San Leucio si erge ancora oggi nella sua
imponenza, quale arco originario di accesso alla
proprietà feudale dei principi d’Acquaviva di Aragona di
Caserta, accogliendo da secoli i tanti visitatori delle produzioni
locali di seta. Questa località del casertano è ormai divenuta
famosa nel mondo per il modello imprenditoriale e statale,
voluto dal governo borbonico per far decollare una
concorrenziale produzione di seterie nel Regno.
“San Leucio, difatti, nacque per finalità ludiche, in quanto re
Carlo III volle acquistare la collina e tutta la proprietà degli
Acquaviva (1750) per farne una serie di riserve di caccia e
residenze di svago della famiglia reale nell’ambito di un
complesso programma di sviluppo territoriale, che prevedeva la
realizzazione della maestosa reggia e di un immenso parco nella
piana di Caserta su progetti del Vanvitelli.
Questo romitorio dei Borbone, comprensivo di vigna e
boschetto, di un edificio a Belvedere e di un rudere di una
cappella dedicata a San Leucio, in breve tempo si trasformò in
un centro-modello sperimentale delle attività manifatturiere di
proprietà della Corona.
“Sotto re Ferdinando IV, comunque, furono intraprese per sua
volontà le prime iniziative che videro nel 1774 il primo
intervento di restauro del palazzo in S. Leucio, nonché
l’edificazione del Regal Casino di caccia, la recinzione
muraria, la costruzione di una vaccheria e l’acquisizione di altri
poderi. La tragica perdita del di lui primogenito Tito di
Borbone, durante una battuta di caccia (1778), portò re
Ferdinando a favorire l’insediamento d’individui in detta
proprietà, garantendo occupazione e servizi. In alcuni locali
del Belvedere fu creata una scuola per la pubblica istruzione dei
giovani residenti, inoltre il re assegnò altri locali per installare
e potenziare l’attività artigianale serica, rispondendo ai
moderni propositi delle riforme illuministiche sull’economia
produttiva e sue leggi sociali, tanto disquisiti dal Filangeri e dal
Tanucci.
“Furono, così, deliberati investimenti in moderni
macchinari (il filatoio ad acqua, il mangano a ruota idraulica),
ritrovati tecnici, materiale produttivo e soprattutto formalizzata
un’organizzazione paternalistica del lavoro con incentivi,
specializzazione ed accorgimenti in stile modello anglosassone
sul Welfare di Owen nei suoi stabilimenti industriali. Dal 1780,
presso il Sito Reale di S. Leucio decollò una produzione
specialistica di manufatti di seta (veli, rasi, floranze, velluti,
scialli, fazzoletti, calze, guanti etc), divenendo così un centro
produttivo d’avanguardia tra i primi nel Regno di Napoli. La
seta, comunque, restò la manifattura di particolare interesse
governativo proprio in risposta a quelle teorizzazioni
economiche degli illuministi di metà settecento, propensi a tale
attività quale motore per lo sviluppo industriale della nazione.
Negli anni a seguire, il sovrano deliberò ulteriori interventi di
ampliamento dell’area produttiva e di quella residenziale delle
maestranze e loro quadri dirigenti, sotto il controllo del ministro
Caracciolo. Il Belvedere venne ulteriormente ristrutturato, si
realizzò una filanda (1783), un filatoio (1787), vari opifici, le
residenze San Carlo e San Ferdinando per gli operai (1786), la
trasformazione dell’antico Casino nell’Edificio della Seta
(1789) con locali amministrativi e di rappresentanza. I lavori di
recupero, seguiti in gran parte da Francesco Collecini,
riguardarono anche la parrocchia di San Ferdinando, ivi
esistente, la cui area sacra andò ad integrarsi con la successiva
chiesa di Santa Maria delle Grazie (1803).
“Le mire espansionistiche di re Ferdinando IV giunsero, perfino, alla
progettazione di una nuova città chiamata Ferdinandopoli,
nonché alla istituzionalizzazione della Colonia Reale di San
Leucio, quale centro comunitario completamente autonomo e
chiuso verso l’esterno, regolato da un apposito statuto
pubblicato sotto il titolo di Origine della popolazione di
S. Leucio e suoi progressi fino al giorno d’oggi colle leggi
corrispondenti al buon Governo di essa di Ferdinando IV
(1789). Questo codice legislativo, anticipatore di diversi
principi sociali della moderna società industriale, è la
testimonianza comprovante l’anzidetta identità reale riformista
illuminata, sensibile alle teorizzazioni utopiche del frate
domenicano Tommaso Campanella nella sua opera La
Città del Sole.
“Re Ferdinando, sollecitato dalla consorte Maria
Carolina d’Asburgo con l’occulta collaborazione del massone
Planelli, scrisse di suo pugno le linee guida di questa
comunità ideale, partendo dalla condivisione di taluni principi
platonici sulla Res Publica o dell’Utopia di Tommaso Moro circa,
ad esempio, la perfetta uguaglianza sociale tra gli individui,
nonché lo scopo principale del governo di garantire il bene di
tutti i cittadini senza alcuna distinzione. Detto codice sociale,
inoltre, fissò diritti e doveri degli abitanti della Comunità ,
quale l’obbligo dell’istruzione gratuita per i ragazzi (dai 6 ai 15
anni) onde scongiurare, in accordo con gli assiomi del
Campanella, la diffusione dei delitti tra la povera gente o dei
vizi della ricchezza egoistica. Tra i divieti imposti quello di non
ricorrere al lusso ed al fasto, uniformandosi nella
semplicità del vestire, quello di non avviare i figli al lavoro
prima dei 15 anni, con obbligo di una turnazione regolare ed
orario ridotto, quello di non utilizzare le doti ed i testamenti
sulla proprietà privata, che seppur tutelata doveva concorrere
al principio della comunanza dei beni (beni ereditari alla
moglie e poi al Monte degli Orfani, cassa comune gestita dal
prelato locale.
“Questo perfetto sistema di vivere sociale, che
prevenne le conquiste pensionistiche e di assistenza sanitaria (le
case provviste di servizi igienici assegnate ai lavoratori,
progetto di un ospizio, la Casa degli Infermi, per gli invalidi del
lavoro) della nostra epoca, contrariamente al modello
platonico, fece perno sull’esaltazione delle arti industriali e
della scienza per il raggiungimento di una maggior
felicità umana e conseguimento del progresso civile.
Difatti, il codice stabiliva la possibilità di contrarre
matrimonio tra i residenti, rispettando i limiti di età (20-16
anni) e soprattutto il conseguimento del diploma al merito di
specializzazione nelle arti rilasciato dai direttori dei mestieri
(che si occupavano dell’istruzione tecnica e con i direttori
tecnici, addetti al controllo degli impianti, supportavano il
direttore generale). Inoltre, speciali bonus in denaro erano
previsti per quegli operai che si erano evidenziati per buona
produttività e specializzazione raggiunta. Di contro, gli abitanti
che non raggiungevano certi traguardi erano obbligati a
seguire scuole di formazione o venivano espulsi dalla Comunità.
Il Re Ferdinando completò, combinando questo suo sistema
ideale con iniziative reali, quali le citate realizzazioni
progettuali a cui si aggiunsero l’ampliamento della filanda
(1790-96), la realizzazione della cucullera per la preparazione
dei bozzoli di seta e della trattoria (1794-98), l’impiego di
artigiani francesi, genovesi e piemontesi. Purtroppo, il
maestoso progetto della neo-città Ferdinandopoli fu
abbandonato a seguito delle invasione delle truppe francesi e
della nascita della Repubblica Partenopea (1799).
La Comunità ed il Sito Reale sopravvissero negli anni della
Restaurazione grazie sempre alle sovvenzioni della Corona
borbonica, nonostante, comunque, l’inserimento di una
gestione privata con appalti affittati a terzi”.
Continua/
Foto tratta da passaggilenti.com
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